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Riscoprire Gramsci, dovere di una nuova generazione rivoluzionaria.

Gramsci1Ha destato scalpore la denuncia ricevuta da un’attivista politica spagnola, colpevole di aver citato sul proprio account di twitter alcune frasi di Antonio Gramsci. Questa notizia che è circolata con una certa velocità sul web può essere lo spunto per una riflessione sulla figura di Gramsci, e di un suo certo utilizzo che in Italia ha condizionato molto nella coscienza collettiva la sua reale portata.

L’idea di una denuncia per incitamento alla violenza a carico di una persona, colpevole solamente di aver riportato delle frasi, pronunciate più di settanta anni fa, dimostra come il sistema capitalistico, e lo Stato che ne incarna l’apparato repressivo abbiano incredibilmente paura della portata di cambiamento profondo che quelle parole e quel pensiero esprimono. Mentre a reti unificate, disponendo di schiere di intellettuali, giornalisti e mistificatori di professione  di fronte alla più grave crisi che il capitalismo abbia mai avuto, tentano di convincerci della necessità di “parole nuove” del “superamento delle ideologie”, questo piccolo fatto di cronaca dimostra come al contrario lo spettro del comunismo, è ancora il terrore delle classi dominanti, sebbene indebolito dalla sconfitta storica della caduta dell’URSS, dalle difficoltà che noi tutti viviamo nella quotidianità della lotta.

In Italia la notizia viene accolta con maggiore stupore perché la figura di Antonio Gramsci è stata soggetta negli anni a forme di revisioni, ad un continuo taglia e cuci di sue citazioni, alla volontà profonda di trasmettere l’idea di un pensatore democratico. Il tentativo di fare l’impossibile: staccare Gramsci dalla figura di rivoluzionario comunista, per farlo approdare ad altri lidi, magari gli stessi dove quanti, continuando a professarsi suoi eredi, sono andati a finire.  È un processo che viene da lontano, da un utilizzo del pensiero di Gramsci per giustificare una certa fiducia nel parlamentarismo tipica della segreteria di Togliatti, al Gramsci “anti-stalinista” degli anni successivi al XX congresso, ai più recenti attacchi contro la storia del PCI che secondo qualche storico sarebbe stato abbandonato dal Partito negli anni del confino, all’idea di un Gramsci democratico, buono anche per le celebrazioni del PD, precursore ti ogni revisionismo.

E’ un fenomeno ben noto. Già Lenin in Stato e Rivoluzione ne metteva in luce le modalità. Mentre in vita l’accanimento era totale, e basterebbe vedere cosa fece il fascismo a Gramsci, la famosa “mente che non doveva pensare”, Lenin ricorda come “dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a “consolazione” e mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce.” Ecco questa sorte è toccata a Gramsci in Italia, una figura troppo grande per essere dimenticata, ma troppo importante per essere lasciata intatta in tutta la sua reale forza di pensiero.

A noi giovani, “sopravvissuti di un estremismo massimalista” – come ci ha descritti Saviano in un pessimo articolo dedicato a Gramsci uscito su Repubblica – esponenti a suo dire di quella “certa sinistra che vive di dogmi”, spetta il compito storico di recuperare la memoria e il pensiero di quelle persone che appartengono alla nostra storia, evitando di lasciare che altri impropriamente se ne impossessino, mutandone radicalmente idee e prospettive. Il fatto che in un paese come la Spagna, meno legata al processo di revisionismo politico della figura di Gramsci, rispetto all’Italia, il suo pensiero sia considerato da condannare per vie legali, da l’idea che forse quelli che Saviano chiama “dogmi” sono ancora verità scomode, che questo sistema non è disposto a tollerare.

Non lo era quando Gramsci era vivo e non lo è ancora oggi.

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