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Una reazione viva ad un fenomeno da combattere

SONY DSCEbbene sì abbiamo “scoperto” che esiste il razzismo negli stadi. Si è letto, in questi giorni, tutto e il contrario di tutto, su quanto è accaduto nella partita di Busto Arsizio, l’amichevole Pro Patria – Milan disputatasi durante la pausa natalizia del campionato di calcio di Serie A.

L’amichevole, “in cui il Milan doveva provare un nuovo centrocampo”, sarebbe dovuta essere poco più che una scampagnata a pochi kilometri da casa, per la squadra rossonera, e si è trasformata, invece, in un vero e proprio caso mediatico. I giocatori di colore milanisti hanno ricevuto, fin dall’inizio, una raffica di insulti dai tifosi di casa, accorsi in massa per l’occasione. Niente di più di quello che accade in ogni partita sia in campionato che nelle coppe europee. La differenza? I tifosi erano pochi, così come erano pochi quelli che non fischiavano, lo stadio era più piccolo – militando il Pro Patria in una categoria minore – e, siamo onesti, si trattava di una partita che, nei fatti, non contava assolutamente nulla.

É proprio questo, a nostro parere, l’elemento centrale da sottolineare. Non perché, sia chiaro, è nostra intenzione difendere il razzismo e i razzisti. Ma in quanto la gogna mediatica, e non solo – la società Pro Patria è stata sanzionata per il comportamento dei propri tifosi con la squalifica del proprio campo per una giornata di campionato – è pericolosamente ipocrita.

Nei giorni immediatamente successivi, tutti, dal Presidente del Milan Berlusconi all’ultimo dei dirigenti della FIGC, hanno pronunciato parole infuocate contro i “razzisti”. Addirittura, e qui siamo davvero al paradosso, è stato sospeso un assessore leghista del comune di Busto Arsizio in quanto è indagato nell’inchiesta sui cori razzisti. Siamo al paradosso non perché questo “signore” no meriti una sospensione dal suo incarico municipale, quanto perché, ad attaccarlo, è intervenuto addirittura Borghezio che tutti quanti ricordiamo solo ed esclusivamente per la miriade di offese, insulti e minacce – anche di morte – che negli anni, in tutti i raduni padani, ha rivolto agli immigrati.

Lega Nord di cui Bossi è stato per moltissimi anni segretario, lo stesso Bossi cofirmatario della legge, insieme a Fini, sull’immigrazione, una legge davvero razzista e xenofoba, proprio quando al Governo avevamo, guarda un po’, il Presidente del Milan Berlusconi.

Difficile, insomma, credere che a queste persone interessi seriamente combattere il fenomeno del razzismo, negli stadi, come in ogni luogo.

E l’ipocrisia sta ancora nel credere che il razzismo sia un fenomeno “da stadio”. Il razzismo è presente, ed è foraggiato, ad ogni livello nella nostra società. È un prodotto del nostro sistema economico in cui il “diverso” è sofferto soprattutto perché “ci ruba il lavoro”, offrendo ai padroni, che non disdegnano, una manodopera a basso costo. Il diverso, rumeno o sudamericano che sia, è odiato perché il padrone delocalizza la fabbrica nel suo paese, proprio perché lì non ci sono diritti, non c’è limite allo sfruttamento, e il “costo del lavoro” è più basso. Insomma è odiato perché è individuato, in modo errato, come la causa della nostra precarietà e del nostro sfruttamento economico.

Per combatterlo non è sufficiente che se ne parli solo in relazione allo stadio.

Tuttavia analizziamolo anche solo in relazione al calcio giocato perché, ancora una volta, vogliamo dimostrare come non sia, nemmeno qui, prioritaria per nessuno, dirigenti della lega, politici, giornalisti e compagnia cantante, la lotta contro il razzismo.

I cori razzisti, i fischi e gli insulti (questi ultimi rivolti spessissimo in modo davvero “democratico” e orizzontale a tutti i giocatori avversari, soprattutto se forti e temibili), sono qualcosa di tristemente comune a tutte le partite di calcio, di ogni livello, ordine e grado. Ovunque ci sia una partita, dai primi calci alla Champions League, ci sono insulti e comportamenti antisportivi da parte dei supporter, siano essi genitori o tifosi organizzati.

Tutto questo non è mai stato combattuto, da nessuno e soprattutto non è mai stato combattuto dagli organi federali del sistema calcio che avrebbero tutti gli strumenti per farlo.

Sulla base di quanto è accaduto, almeno in Serie A, probabilmente due partite su tre dovrebbero essere sospese per poi essere giocate a porte chiuse ad ogni turno. Con la differenza che i gesti come quello di Boateng prima, e del Milan dopo, sono praticamente inesistenti nelle partite ufficiali, e, schierandoci anche noi, provocatoriamente, con quello che ha dichiarato Zeman, probabilmente laddove avvenissero sarebbero sanzionati con un provvedimento disciplinare da parte dell’arbitro. Così è avvenuto ad esempio in occasione della partita tra le nazionali under 21 di Serbia e Inghilterra dove a pagarla è stato il giocatore di colore Danny Rose espulso per aver reagito ai cori razzisti anche lui, guarda un po’, tirando un pallone all’indirizzo dei tifosi avversari.

In conclusione riteniamo che, con tutti i limiti di cui abbiamo parlato sopra, sia assolutamente apprezzabile il gesto di Boateng; una reazione viva ad un fenomeno da combattere. Adesso, però, dovrebbero essere gli stessi giocatori, sfruttando anche la notorietà che gli è propria, a cominciare una campagna educativa in favore dei propri tifosi, schierandosi apertamente contro il razzismo, perché, come dappertutto, non schierarsi ed essere indifferenti, è l’atteggiamento peggiore.

Tuttavia siamo anche convinti che questo calcio moderno, inserito perfettamente nello schema capitalistico della società, dove tutto è business e niente è emozione vera e reazione sincera, debba essere abbandonato e che si debba costruire, partendo dai quartieri, proprio come tante realtà stanno facendo in giro per l’Italia, un’alternativa.

E’ importante prendere esempio dalle tante squadre popolari che stanno nascendo e che fanno dell’antirazzismo la propria bandiera quotidiana, integrando ragazzi di tutte le etnie, parlando di sport pulito, competitivo e agonistico, ma non falso e corrotto dall’odio, dai soldi e dalle pay tv.

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