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Trentuno anni fa il genocidio di Sabra e Shatila

di Salvatore Vicario*

Tra il 16 ed il 18 settembre 1982, il popolo palestinese e i popoli di tutto il mondo, furono colpiti da un orrendo crimine: i sanguinosi massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, in Libano, compiute dalle Falange Cristiane Libanesi e dall’Esercito del Libano del Sud, manovrati da Israele.

Con la scusa che l’OLP, dal Sud del Libano, attaccava posizioni del nord di Israele (nonostante il fatto che la resistenza palestinese da mesi non attaccava queste zone per non innescare una eventuale invasione), il Ministro della Difesa d’Israele, Ariel Sharon lanciò, il 6 Giugno 1982, l’Operazione “Pace per la Galilea” con decine di migliaia di soldati che occuparono il Libano, lacerato da una guerra civile dal 1975 tra cristiani maroniti (filo-occidentali, sostenuti da Israele e la cui principale organizzazione era la Falange Cristiana Libanese) e rifugiati palestinesi con musulmani libanesi (tra cui i guerriglieri palestinesi dell’OLP che cacciati dalla Giordania si stabilirono nel Sud del Libano e godevano del sostegno della Siria). Il governo d’Israele assicurava che in meno di 72 ore le sue truppe avrebbero espulso da Beirut e dal Libano i combattenti dell’OLP, eliminando anche i loro alleati della Sinistra Libanese. Tuttavia, la realtà fu ben diversa e la resistenza dell’OLP durò 88 giorno dando luogo a quello che è conosciuto come l’ ”Assedio di Beirut”. Dopo 88 giorni, con il Libano  praticamente distrutto a causa dei bombardamenti israeliani e senza servizi di base, l’OLP accetta la mediazione delle Nazioni Unite che offre ai combattenti palestinesi la possibilità di lasciare il Libano dirigendosi verso Tunisi, senza alcun tipo di attacco bellico. Gli Stati Uniti, attraverso il loro emissario Philip Habib, garantì ad Arafat e all’OLP la cura delle migliaia di civili palestinesi che venivano trasferiti nei campi rifugiati con la protezione di una forza multinazionale composta da soldati italiani, francesi e statunitensi. Ma ciò rimase solo una promessa e nessuno di questi contingenti protesse i civili palestinesi nel momento che le forze palestinese abbandonarono la zona per Tunisi come d’accordo con l’ONU.

Il Primo di Settembre del 1982, l’OLP (circa 15.000 guerriglieri) lascia il Libano. Il giorno seguente Sharon annuncia che 2000 terroristi si erano nascosti nei campi rifugiati palestinesi a Beirut. Il 3 Settembre gli USA abbandonano Beirut seguiti dall’Italia e dalla Francia, cosicché il 10 settembre tutti avevano già lasciato Beirut. Il 15 Settembre, nel giorno seguente l’assassinio del neo-eletto presidente libanese Bashir Gemayel (leader delle Falangi Cristiane Libanesi), l’esercito israeliano occupa Beirut Ovest (la parte araba della città di Beirut), accerchiando e chiudendo i campi di Sabra e Chatila, trasformandoli in veri e propri ghetti nella quale si trovano civili palestinesi e libanesi. Dell’assassinio di Gemayel, Israele e i suoi alleati incolparono ovviamente gli uomini di Al-Fatah, ma già dal 1988 varie inchieste giornalistiche indipendenti hanno provato che fu il Mossad (Agenzia d’Intelligence Israeliana) a compiere l’attentato che portò alla morte del presidente libanese, allo scopo di giustificare l’invasione di Beirut Ovest. I falangisti cristiani libanesi mossero le loro forze con estrema rapidità alla ricerca della vendetta, favoriti dalla presenza dei militari israeliani.

Secondo le dichiarazioni fatte da Ariel Sharon, il 22 Settembre del 1982 nel Knesset (parlamento israeliano), la decisione che i Falangisti entrassero nei campi rifugiati venne prese il 15 settembre del 1982 alle 15.30, con la seguente istruzione per il comando israeliano: “si proibisce alle forze del Tsahal (Forze di Difesa Israeliane) di entrare nei campi rifugiati. La “pulizia” dei campi sarà compiuta dalle Falangi e dall’Esercito Libanese”. Dalle 9 del mattino del 15 Settembre, il generale Sharon era presente sul posto per dirigere personalmente l’operazione israeliana e a mezzogiorno i campi di Sabra e Chatila erano accerchiati dai carriarmati e soldati israeliani che installarono checkpoint chiudendo completamente i campi. Il 16 Settembre 1982, il portavoce dell’esercito israeliano dichiara: “ il Tsahal controlla tutti i punti strategici di Beirut. I campi rifugiati, al cui interno si concentrano i terroristi, sono accerchiati e chiusi”. La mattina del 16 Settembre, vennero lanciate bombe contro i campi e cecchini cominciarono a sparare sui civili, a mezzogiorno l’Alto Comando dell’Esercito ordina ai Falangisti e all’esercito libanese di procedere con la pulizia dei campi. Poco dopo le cinque del pomeriggio una unità di circa 150 Falangisti entrò nel campo di Chatila, nello stesso momento il generale Amir Drori telefonò a Ariel Sharon annunciando: “i nostri amici stanno entrando nei campi. Abbiamo coordinato la loro entrata”. Sharon rispose: “Congratulazioni! Si approva l’operazione dei nostri amici”.

Per tre giorni e tre notti la milizia Falangista comandata da Elia Hobeika con asce, coltelli e fucilazioni di massa torturarono, stuprarono ed assassinarono migliaia di rifugiati civili palestinesi indifesi, la maggioranza di essi bambini, donne e anziani, con l’esercito israeliano a impedire la fuga dei civili. “Tutti sono stati torturati, attaccati mani e piedi. Agli uomini hanno tagliato le mani e i piedi e alle donne i seni”, così raccontò ciò che vide l’infermiera della Croce Rossa Internazionale, Mirna Mugitehian dopo l’entrata nei campi del massacro. Mai si potrà essere in grado di determinare il numero esatto delle vittime, perché migliaia di persone sono state sepolte in fosse comuni dal Comitato Internazionale della Croce Rossa o nei cimiteri di Beirut dai loro familiari, una grande quantità di corpi furono sepolti sotto gli edifici abbattuti dai bulldozer, mentre centinaia di persone furono catturate vive e trasportati in camion, specialmente il 17 e 18 settembre, verso destinazioni sconosciute e mai sono state ritrovate. Il 25 Settembre 1982 si tenne a Tel Aviv una manifestazione di protesta con la partecipazione di oltre 400.000 israeliani, in quella che ancora oggi è ricordata come una delle manifestazioni più imponenti della storia del paese.

Il sangue di migliaia di rifugiati palestinesi dei campi di Sabra e Shatila sono impresse nelle mani di Ariel Sharon, dello Stato d’Israele e dei suoi alleati, Stati Uniti su tutti. Un “atto di genocidio”, come qualificato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la risoluzione 521 (dicembre 1982), che è scolpito nella memoria dei palestinesi ma che comincia ad essere purtroppo dimenticato nel resto del mondo. Ma non basta solo ricordare, bisogna indagare le radici di quel massacro e di tutti i massacri perpetrati contro il popolo palestinese. Le radici del genocidio di Sabra e Shatila sono da ricercare nel progetto Sionista d’espansione di Israele, legato all’imperialismo degli Stati Uniti che continua a finanziare l’entità sionista e a patrocinare la costante aggressione di Israele contro il popolo palestinese, basato sul massacro continuo, sull’espropriazione, la rapina, lo sfruttamento delle loro risorse e la colonizzazione continua della loro terra. I massacri non sono finiti il 18 settembre 1982; non si sono mai fermati e continuano tutt’oggi. Basta ricordare il criminale attacco alla Striscia di Gaza nel 2009 con l’uso del Fosforo bianco e le brutalità compiute Deir Yassin; a Safsaf, Lydda, Tantura e Kufr Qasem; a Qibya, Qana, Jenin, Nablus, Rafah. I crimini continueranno fino a che non verrà realizzata la vera giustizia e la liberazione per tutti i rifugiati palestinesi con il riconoscimento del diritto a ritornare nelle proprie case e terre, e finché non verranno realizzati i diritti alla liberazione nazionale, alla sovranità e all’autodeterminazione del popolo palestinese.

31 anni dopo, le cause del genocidio di Sabra e Shatila sono tutt’ora presenti, con le potenze imperialiste che agiscono nell’area per la costruzione del “Grande Medio Oriente” secondo i loro interessi, fomentando settarismo e scontri inter-religiosi. I promotori di quel massacro, sono oggi impegnati nell’aggressione alla Siria, paese che oggi come all’epoca della guerra in Libano, è nemico degli interessi imperialisti sionisti e statunitensi.

* (commissione internazionale FGC)

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