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Estrema destra e responsabilità della sinistra (Part 3)

Non si può, dopo aver analizzato le evidenti responsabilità delle sinistre nei successi del Front National in Francia, soprassedere sulle vicende che hanno portato l’anima più nera della destra nazional-clericale a diventare forza di governo in Ungheria, uno degli Stati più antichi e importanti dell’Europa centro-orientale, fino al 1990 repubblica democratica socialista. Non possiamo perché, nella sua (momentanea?) unicità, il regime neofascista costruito dal “presentabile” Viktor Orban con l’appoggio esterno di alcune milizie paramilitari si è reso possibile proprio grazie alla negligenza e alla complicità di tutte le forze socialdemocratiche  riunite oggi a Bruxelles nel Partito Socialista Europeo e impegnate in varia misura fin dal 1956 a delegittimare “da sinistra”, assieme alle destre e ai liberali dell’allora europa “occidentale”, il fu governo socialista di Budapest già allora impegnato nella repressione delle ali più estreme del nazionalismo sciovinista magiaro foraggiate e incoraggiate dagli uomini dell’intelligence statunitense.

Nel corso della seconda guerra mondiale l’Ungheria era retta da un regime parafascista alleato della Germania e dell’Italia, e le truppe ungheresi parteciparono in grande stile all’Operazione Barbarossa, cioè l’invasione dell’URSS nel 1941. In posizione spesso conflittuale con questo regime fascistoide, operava in Ungheria anche un partito neonazista paramilitare, detto “delle Croci Frecciate”, che nel 1935 arrivò ad ottenere il 25% dei voti, e che nel 1944 fu insediato al governo dai Tedeschi. Rispetto alla rivolta d’Ungheria del 1956, perciò non fu realistico ritenere che i nazifascisti non vi svolgessero alcun ruolo; ma la propaganda occidentale preferì, ovviamente, sorvolare sul particolare. Il corrispondente italiano dall’Ungheria più prestigioso, Indro Montanelli, si soffermò soprattutto sulla descrizione dell’opposizione “da sinistra” all’URSS, poiché ciò avrebbe contribuito maggiormente a mettere in crisi le coscienze dei comunisti italiani ed europei, come poi è in parte effettivamente successo.

La storia dei successi dell’estrema destra ungherese nel cristianissimo Magyarország (letteralmente “Stato dei Magiari”: così si chiama ufficialmente l’Ungheria nel consesso internazionale in seguito alla riforma costituzionale voluta da Viktor Orban, che ha di fatto reso legge il primato dell’etnia magiara sulle altre minoranze “storiche” ungheresi – slavi, rom, ebrei, cetnici, tedeschi ecc – considerate come “ospiti” più o meno graditi a seconda degli umori dell’enstablishment e non più come cittadini “alla pari”) va ancora oggi di pari passo con la criminalizzazione strumentale del comunismo sovietico a livello internazionale, al punto che ogni politica reazionaria e segregazionista portata avanti in questi ultimi due anni dal Partito Nazional Popolare (Fidesz) con l’appoggio del Jobbik è stata preceduta da una stretta repressiva ai danni dei comunisti – visti a ragione dal regime nazionalpopolare come gli unici in grado di opporsi a livello organizzato e di massa a queste politiche criminali – nella più totale complice indifferenza dell’Unione Europea, interessata unicamente a che lo stato membro post-socialista paghi il suo debito e mantenga in ordine i conti a qualunque “prezzo” e anche al costo di subire un grave danno d’immagine: quello di ospitare e foraggiare a settant’anni dall’ultima marcia delle Croci Frecciate una entità statale che oggi assomiglia oggi più alla Germania nazista che a una democrazia liberale.

Oggi in Ungheria assistiamo a un vero e proprio revival del decennio 1935-45 con tanto di tradizione e folklore. Nel totale disinteresse delle “democrazie” un partito fascista di governo ricerca periodicamente nel confronto o nella competizione “fraterna” con le milizie cattonaziste dello Jobbik (partito che da solo vale il 15% dei voti, oggi superato più a destra solo dalla neonata “Alba Ungherese”, gruppo della quale non si conosce ancora l’effettiva incisività) la ricetta del “buon governo”: protezionismo, autarchia, liste di proscrizione per gli ebrei con doppia cittadinanza (e senza), campi di concentramento e politica del terrore verso la grande minoranza rom – integrata e residente nel Paese da oltre 600 anni- , adunate, festival antisemiti e fanfare.

Revival benvoluto e benedetto – in senso letterale – dalla chiesa “compassionevole” di Papa Francesco, disposta a chiudere tutti e due gli occhi sul cranio sfondato dei rom e dei “fratelli maggiori” da parte dei neonazisti fuori controllo in cambio di un piccolo favore : rimettere le mani sull’immenso patrimonio immobiliare ecclesiastico – praticamente mezza Ungheria- nazionalizzato al termine della guerra mondiale dai governi socialisti.

In questo quadro desolante, la “preoccupazione” dell’Unione Europea e degli Stati Uniti in data 8 novembre per la restaurazione ufficiale del culto pubblico dell’ammiraglio Miklos Horthy   – capo dello stato fra le due guerre mondiali, alleato di Hitler e criminale di guerra, liberato dal carcere al termine della guerra tra l’altro proprio dietro pressione statunitense, graziato e spedito in esilio dorato nel Portogallo di Salazar, dove ha vissuto felicemente fino al 1957 –  onorato oggi con un busto di bronzo a Budapest, ha proprio la forma della foglia di fico. Dov’erano gli americani e le democrazie europee, quando il 19 novembre del 2012 andava in scena a colpi di decreto legge la criminalizzazione dei comunisti e la rimozione della memoria storica della resistenza antifascista in Ungheria? La criminalizzazione dei comunisti è stato il primo decreto liberticida proposto da Orban: il precursore di tutti i successivi.

Per comprendere al meglio la gravità di quanto successo, chiudiamo l’analisi di oggi riportando qui per esteso l’appello lanciato dal Partito Comunista Ungherese (oggi Partito dei Lavoratori Ungherese) a tutti i partiti fratelli, in data 11 maggio 2013, al termine di un congresso per ovvie ragioni straordinario:

«Il Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese ha svolto il suo 25° Congresso Straordinario l’11 maggio 2013. Abbiamo cambiato il nome del partito. Il nostro partito in futuro si chiamerà Partito dei Lavoratori Ungherese. Il cambio del nome del partito non significa alcun cambiamento politico né ideologico. Vogliamo continuare apertamente la nostra lotta contro il capitalismo, e non essere costretti all’illegalità. Per questo il congresso ha modificato il nome del partito per permettere la sua registrazione come Partito dei Lavoratori Ungherese. Sebbene cambi il nostro nome, i nostri principi non mutano. Continuiamo ad essere un partito marxista-leninista e comunista in lotta contro il capitalismo. Siamo stati obbligati a convocare questo congresso perché il governo ungherese ha lanciato un nuovo attacco, molto serio, contro il partito. Il 19 novembre dello scorso anno, il Parlamento a Budapest ha approvato una nuova legge, proibendo l’uso pubblico di nomi connessi con i “regimi autoritari del XX secolo.

 Questa legge è entrata in vigore il primo gennaio di quest’anno. In accordo con la Costituzione Ungherese e la politica del governo attuale, i “regimi autoritari” sono la dittatura fascista di Ferenc Szalasi, che esistette tra l’ottobre del 1944 e l’aprile del 1945, e tutti i governi della costruzione socialista tra il 1948 e il 1990. Va evidenziato che non è compresa la dittatura di Miklos Horty, dal 1919 al 1944. In base a ciò, nessun partito politico, compagnia, mezzo di comunicazione, via, piazza o luogo pubblico può portare il nome “di persone che abbiano avuto un ruolo dirigente nella creazione, sviluppo e conservazione dei regimi politici autoritari del XX secolo, né parole, né espressioni, né nomi di organizzazioni che possano essere messe direttamente in relazione con i regimi politici autoritari del XX secolo”.

Ciò significa che le 43 via Lenin, le 36 vie Marx, e le sei vie Stella Rossa sono state ribattezzate. Lo saranno anche le 44 vie Liberazione, che celebravano la liberazione dell’Ungheria dal fascismo hitleriano, e le 53 vie Endre Sagvari, che onorano il martire antifascista più importante dell’Ungheria, assassinato nel 1944 dalla polizia fascista. Il suo nome non deve essere pronunciato. Tutte le vie Esercito Popolare, Fronte Popolare e Repubblica Popolare devono sparire. La nota Piazza Mosca di Budapest è stata ribattezzata da poco. Di fatto, l’uso pubblico di parole e categorie come “comunista”, “socialista”, “liberazione” e molte altre è diventato illegale.

Perché le forze filo-capitaliste attaccano il nostro partito? Perché l’Ungheria è in crisi. Quasi 500.000 persone sono ufficialmente registrate come disoccupati, più dell’11% della forza lavoro. Una quantità simile di giovani lavora in altri paesi dell’Unione Europea, principalmente in Gran Bretagna, Austria e Germania, perché non trova impiego nel proprio paese. Il tasso di disoccupazione giovanile (minori di 25 anni) n Ungheria è più del 28%. Il governo del partito Fidesz-Unione Civica Ungherese, diretto dal primo ministro Viktor Orban, conosce benissimo questi dati, mentre proclama il “miracolo ungherese”. La realtà è che molta gente comune sta peggio che mai.

Le forze filo-capitaliste in Ungheria sanno fin troppo bene che solo il nostro partito propone un’alternativa reale alla disoccupazione di massa, alla povertà e all’occupazione coloniale dell’Ungheria da parte delle compagnie multinazionali. Sempre di più il popolo si sta risvegliando e si rende conto che non solo i governi capitalisti sono colpevoli della sua situazione. E’ il sistema capitalista in generale che non funziona, almeno per il popolo. Viene apprezzato anche il fatto che i comunisti ungheresi stiano dalla parte dei lavoratori. Il nostro partito ha accumulato un considerevole capitale morale nella nostra società. Vi ringraziamo per la vostra solidarietà con la nostra lotta. Fate conoscere la situazione che si vive in Ungheria e sappiate che potete contare sui comunisti ungheresi.”»

(Continua…)

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