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“Decreto Lavoro” firmato Renzi, l’ultimo atto di un copione ventennale.

 Di Andrea Merialdo

Con l’approvazione della riforma del lavoro targata governo Renzi si chiude un copione durato quasi 20 anni. Iniziò tutto nel 1997 con il “Pacchetto Treu”, votato dalla maggioranza di Centro-Sinistra: questa legge rese legale il lavoro interinale ed istituì a livello legislativo il rapporto di tirocinio. Fu il primo tassello che spalancò in Italia le porte al precariato giovanile (e non solo).

Nel febbraio 2003 viene approvata la “Legge 30”, proposta dal governo Berlusconi: qui la situazione peggiora ulteriormente, in particolare vengono creati i Contratti a Progetto, contratti ufficialmente di collaborazione, ma in realtà subordinati, in cui non sono previste tutele di base come ferie, maternità e malattia. Passano gli anni e nessun governo che si è alternato ha cercato di migliorare la situazione, anzi si è continuato a difendere lo smantellamento dei diritti iniziato alcuni anni prima. Si arriva ad oggi con la nuova riforma che, in sole 9 pagine di Decreto-Legge, toglie le ultime garanzie per i lavoratori.

Si inizia con i contratti di Apprendistato. La precedente legge prevedeva che i datori di lavoro che assumevano con quel contratto potevano avere notevoli sgravi contributivi per 3 anni, a patto che assumessero almeno il 30% degli apprendisti. Da ora questo vincolo decade e quindi i datori di lavoro potranno usufruire di sgravi senza avere nessun vincolo per l’assunzione dei lavoratori.

Per quanto riguarda la formazione dell’apprendista, viene tolto l’obbligo di integrare la formazione aziendale con quella pubblica. Per quanto riguarda il tempo determinato, invece, viene tolto di fatto il vincolo che, per i contratti a termine inferiori ad un anno, venisse apposta nel contratto di lavoro una “casuale” per giustificare la durata dell’assunzione. Il numero massimo dei rinnovi di un contratto a termine viene aumentato ad 8 volte per un massimo di 36 mesi complessivi di rapporto di lavoro. Con questi due soli articoli di fatto vengono smantellati gli ultimi vincoli che i datori di lavoro avevano. Spesso questi vincoli erano facilmente raggirabili dai datori di lavoro, a causa spesso dell’impossibilità del lavoratore di appellarsi in sede giuridica oppure a causa dei mille buchi della legge italiana.  Continua inoltre a rimanere, in particolare per i giovani disoccupati, il problema del sussidio di disoccupazione. Attualmente i sussidi sono due.

Il primo è il Mini-Aspi (a requisiti ridotti) che prevede un’indennità pari al 75% della busta paga media per chi ha versato o deve almeno 13 settimane di contributi INPS: la durata dell’indennità è pari alla metà delle settimane lavorate. L’indennità decade se il lavoratore viene assunto con un contratto di lavoro subordinato superiore ai 5 giorni. L’altro sussidio è invece l’Aspi, la cui durata massima varia in base all’età anagrafica del lavoratore. Per quest’anno i lavoratori con età inferiore ai 50 anni lo percepiranno per un massimo di 8 mesi, chi è sotto i 55 anni avrà diritto a 12 mesi e chi è sopra i 55 anni 14 mesi. Il requisito è di aver versato per almeno un anno i contributi INPS contro la disoccupazione. Ma il problema è che a questi sussidi la maggior parte dei lavoratori, in particolare i giovani, non hanno accesso a causa dei vincoli troppo limitativi.

Il fatto che il governo si sia mosso in maniera così rapida per approvare questa riforma conferma che Renzi di fatto è l’uomo scelto dal padronato e dalle UE per eseguire tutte le loro richieste, sfruttando il tam tam mediatico che lo ha portato prima alla vittoria alle primarie e poi al governo del paese. Subito dopo la vittoria alle primarie ha promesso, con i suoi show televisivi, interventi a favore del lavoro ma in realtà ha sferrato un colpo decisivo ai lavoratori. In particolare perché la soluzione della “flessibilità” non si traduce in più posti di lavoro, come viene invece esposta.

Anche la promessa dei “cento euro in più” in busta paga per i redditi fino ai 1500 euro mensili, anche se venisse fatta, sarebbe solo una misura propagandistica con benefici quasi nulli, visto che sarà difficile avere un lavoro continuativo. Di fatto il cosiddetto “nuovo volto della sinistra” o “volto giovane della politica” è l’ultimo attore di una copione che è in atto da quasi 20 anni, in cui il Centro-Sinistra è stato il principale attore.

L’unico modo per bloccare questa situazione è creare un fronte di lotta che unisca tutti i giovani lavoratori, di ogni categoria e luogo di lavoro. Un particolare riferimento va fatto a quei luoghi di lavoro, come le agenzie interinali, che sono state sempre abbandonate dalle organizzazioni sindacali. I principali obiettivi di un movimento di questo tipo devono essere l’estensione dei sussidi di disoccupazione a tutti i giovani disoccupati, l’istituzione di un salario minimo garantito intercategoriale, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e l’abolizione di tutti i contratti lavoro precari (da quelli della legge Treu fino ad oggi) per un lavoro stabile e sicuro per tutti. Solo con queste parole chiave nette si può creare un forte movimento giovanile di classe.

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