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Obiezione di coscienza e aborto: il caso di Roma.

di Federica Savino e Giulia Maderni

Dal 17 Novembre scorso all’ospedale Umberto I di Roma sono state sospese le prenotazioni per le interruzioni volontarie di gravidanza. A tutte le donne che telefonano con l’intenzione di procedere con l’IVG viene detto che al momento non è possibile prendere alcuna prenotazione, in quanto l’unico medico non obiettore è andato in pensione; non potendo inoltre prevedere quando si rimedierà a questa immensa mancanza,  per un ospedale pubblico non è possibile neppure mettere in lista d’attesa le donne. Dopo quasi due mesi di sospensione il servizio IVG riprenderà a raccogliere le prenotazioni da lunedì 22 Dicembre, quindi direttamente a partire da gennaio sarà possibile effettuare l’operazione: una vera e propria interruzione di pubblico servizio.

Il caso del Policlinico Umberto I è anche il chiaro esempio di quanto i tagli alla sanità si facciano sentire in termini di sottrazione di servizi ai cittadini; basti pensare che per indire un concorso necessario ad assumere medici esclusivamente votati all’applicazione della 194 si è dovuto incorrere in questa situazione. Nel Lazio, come nella maggior parte delle regioni d’Italia, i concorsi pubblici per personale sanitario sono bloccati da ormai moltissimi anni, a discapito dei colleghi che lavorando a ritmi massacranti, si trovano a far fronte come possono alle necessità di un numero sempre maggiore di pazienti.

Se al già esiguo numero di medici e infermieri presenti nelle strutture pubbliche, si aggiunge il numero in crescita esponenziale di personale obiettore di coscienza, ecco che il reato di interruzione di pubblico servizio potrebbe essere una possibilità quanto mai vicina e concretizzabile.

L’obiezione di coscienza ha raggiunto nelle nostre strutture pubbliche numeri elevatissimi, nel Lazio circa il 90% dei ginecologi risultano essere obiettori di coscienza e le altre regioni italiane non possono vantare una situazione migliore, con una media nazionale che arriva all’85%. L’obiezione di coscienza è diventata una vera e propria piaga della sanità italiana, sta minando le basi del Sistema Sanitario Nazionale.
La situazione è molto grave. Quello che sta accadendo in uno degli ospedali più grandi di Roma a breve potrebbe accadere in tutte le strutture pubbliche d’Italia e così, nonostante la legge 194, attraverso l’invocazione dell’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario, non sarà più possibile garantire un diritto alla donna che intende interrompere la propria gravidanza.

Il rischio a cui stiamo andando incontro è quello di favorire il settore privato infatti, con il dilagare di medici obiettori nelle strutture pubbliche, inevitabilmente coloro che hanno le possibilità economiche ricorreranno ad altre vie. Non solo, questo processo potrebbe riportare indietro di quarant’anni quando le donne erano costrette a rivolgersi al mondo degli aborti clandestini, mettendo a repentaglio anche la propria vita. Attualmente non è legale praticare interruzioni di gravidanza in strutture private, ne a titolo volontario, ne in regime di urgenza per aborto spontaneo: questo era stato previsto dalla legge proprio per mantenere sempre alti i livelli di controllo epidemiologico e di sanità pubblica sulle IVG. Ma si potrebbe arrivare anche con modifiche di legge ad aprire la possibilità di erogare questi servizi ai privati.

Oltre all’interruzione volontaria di gravidanza ci sono anche situazioni in cui è necessario effettuare un aborto di tipo terapeutico per salvare la donna da probabili complicazioni sanitarie, anche in questo caso l’ospedale Umberto I non potrebbe agire.            Nonostante l’articolo 6 della legge 194 affermi che “ L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” l’obiezione di coscienza si abbatte sul nostro servizio sanitario nazionale, anche a costo di doversi trovare di fronte a gravi condizioni mediche e non essere in grado di praticar un aborto terapeutico perché l’unico medico non obiettore è andato in pensione, per una pura questione etica e morale.
Si sta mettendo in discussione il diritto alla salute, un diritto costituzionalmente garantito, che l’obiezione di coscienza lede giorno dopo giorno, tutte le volte che l’obiezione di coscienza aumenta i suoi seguaci perdiamo il nostro diritto alla salute. L’obiezione di coscienza è il prodotto di una morale e di un’etica religiosa che viene messa al primo posto, anche prima del diritto alla salute di ogni cittadino. Un retaggio culturale cattolico quello stesso che accusa altri popoli di fondamentalismo, che invoca la libertà delle donna dal burqua e si fa portavoce di maggiori diritti per le altre popolazioni non occidentali, in casa propria invece lede profondamente la libertà di scelta della donna e vìola suoi diritti inalienabili.
L’obiezione di coscienza sta invadendo le nostre strutture pubbliche al punto da indurre  la giunta regionale del Lazio ad emanare un decreto per puntualizzare i parametri dell’obiezione di coscienza: si ribadisce che non è possibile appellarsi all’obiezione di coscienza per la prescrizione dei farmaci né per la prescrizione della stessa interruzione volontaria di gravidanza, ma che essa concerne solamente la pratica della prestazione sanitaria.

La necessità di emanare un decreto da parte della regione, per porre limiti entro cui è possibile invocare l’obiezione di coscienza,  è un chiaro segnale di quanto la situazione stia raggiungendo elevati livelli di criticità.

Se la legge 194 venisse correttamente applicata non sarebbe necessaria alcuna blindatura operata da parte della regione Lazio. La legge infatti non prevede che i medici possano invocare l’obiezione per la prescrizione dell’IVG né tanto meno per la prescrizione di farmaci anticoncezionali o per la pillola del giorno dopo. Tanto come la legge non prevede l’obiezione di coscienza per altre professioni come i farmacisti, che si sentono autorizzati a non vendere certi medicinali perché obiettori.

I consultori familiari che dovrebbero essere dei punti di riferimento soprattutto per una fascia di popolazione giovane sono ormai sviliti nei loro compiti perché il personale sanitario obiettore fa da padrone.
La legge va applicata correttamente e soprattutto va modificata nelle sue parti dove si predispone l’obiezione di coscienza: non è possibile scendere a compromessi, come qualcuno sostiene cercando di stabilire la percentuale di medici obiettori, l’articolo 9 della legge 194 va abrogato!

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