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AST Terni: vittoria o sconfitta per i lavoratori?

di Manuele Panella

Con il referendum del 15, 16 e 17 dicembre, i lavoratori delle acciaierie dell’AST di Terni approvano con circa l’80% dei consensi l’ipotesi di accordo tra i sindacati e la multinazionale tedesca proprietaria dell’impianto, la ThyssenKrupp: o almeno, questo è quanto riferito dai media con toni molto altisonanti e semplicistici. Dopo la chiusura dell’accordo abbiamo infatti sentito parole di elogio di tutti i tipi da parte di sindacati e governo: dal tweet di Renzi, che parla di “un accordo sudato, un ottimo accordo”, alle parole del Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, che parla di una manovra che reinserisce ottimamente l’Italia nel mercato siderurgico, rilanciando uno dei settori industriali “strategici” e centrali per il Paese, fino alle parole di Susanna Camusso, Segretario Generale della CGIL, che parla di “vittoria per i lavoratori” e definisce l’accordo come un premio per la costanza della lotta dei sindacati in una delle vertenze più difficili degli ultimi decenni. Ma possiamo davvero parlare di una vittoria per i lavoratori? I lavoratori sono davvero riusciti a salvarsi da licenziamenti, cassa integrazione, dalla chiusura di uno dei due forni della fabbrica e dall’azzeramento di 13 milioni di salario integrativo? I lavoratori sono davvero riusciti a costringere i loro padroni a mettere da parte i loro profitti per tutelare il loro lavoro? A pochi giorni dalla sua approvazione, pubblichiamo un’analisi di ogni punto di questo accordo, e dimostriamo come la “vittoria dei lavoratori” tanto decantata da governo e sindacati confederali non sia altro che l’ennesima farsa che camuffa il modo subdolo con cui il capitale è riuscito, ancora una volta, a tutelare i suoi interessi aggirando bisogni e diritti degli operai.

I punti dell’accordo

–       Taglio del 20% delle spese della ThyssenKrupp per le ditte terze, ovvero tutte quelle ditte (tantissime) associate all’AST tramite procedure di appalto. Chiaramente, a pagare le spese di questo taglio di spesa sono soltanto i lavoratori, poiché i tagli si riversano sul costo del lavoro, con conseguenti licenziamenti o cassintegrazioni: il caso più grave è sicuramente quello della ILSERV, ditta associata all’AST, che ancora prima che venisse concluso l’accordo (quindi ancora prima dell’approvazione definitiva dei tagli sulle spese) ha subito messo in cassa integrazione 200 dei suoi 330 dipendenti. Ma il taglio alle spese per le ditte terze avrà conseguenze ancora più devastanti: poiché si tratta di piccole ditte (con massimo una ventina di lavoratori), difficilmente potranno reggere ai tagli sul budget e tante fra queste hanno già annunciato l’imminente chiusura, con una stima di migliaia di lavoratori (circa 1000-1200) che non sapranno più come sfamare le loro famiglie. Nessuna tutela per i lavoratori di queste ditte esterne, nessuna garanzia per il loro futuro, solo l’abbandono da parte dei sindacati, la delusione, la rabbia, ma soprattutto la presa in giro: mentre l’accordo viene propagandato come una vittoria per i lavoratori e mentre i giornali scrivono di come sia stato approvato con l’80% dei voti, in pochi sanno che il 18 e il 19 dicembre lo stesso referendum si è tenuto per i dipendenti delle ditte terze e che solo il 15% di questi ha votato: un astensione di massa, frutto della delusione per l’abbandono da parte dei sindacati confederali, che fa sì che il voto del referendum non rappresenti affatto la soddisfazione dei lavoratori per l’accordo. Tutt’altro. Nell’accordo l’unico riferimento che viene fatto al futuro di queste ditte è il punto sull’applicazione dell’art. 9 comma IV del CCNL Metalmeccanici, mentre per i loro lavoratori (in preda alla disoccupazione) è dedicata solo una conclusione retorica, lontana da qualunque concretezza e affatto rassicurante, la quale afferma che la Regione Umbria, la Provincia e il Comune di Terni si impegneranno a garantire la reintroduzione di alcuni dei lavoratori licenziati per corsi di formazione o nuove mansioni, qualora necessario, nel momento in cui l’appalto verrà concesso a nuove ditte esterne. Per citare l’accordo: le istituzioni si impegneranno a “promuovere […] specifici protocolli, accordi ed iniziative finalizzati al rafforzamento delle competenze ed alla qualificazione del personale del sistema delle imprese appaltatrici al fine di favorire la continuità occupazionale ed il reimpiego dei lavoratori presso le aziende eventualmente subentranti in esito a procedure di appalto”. Serve davvero una faccia tosta per decantare un accordo simile come una vittoria della lotta.

–       Fuoriuscita “incentivata” di 147 lavoratori. Questo è uno dei punti più caldi e subdoli dell’accordo. L’accorpamento all’AST di ditte terze quali Tubificio, SdF ed Aspasiel ha comportato una forte eccedenza di impiegati rispetto al numero degli operai. Di qui la necessità dell’azienda di ripristinare il precedente rapporto operai-impiegati pari a 3:1, utilizzando la manovra delle uscite “incentivate”, ovvero il licenziamento in cambio di 80.000 euro lordi da portare a casa per il lavoratore uscente. Prima della stesura dell’accordo l’azienda era riuscita ad ottenere 143 uscite incentivate, mentre l’accordo ne prevede altre 147. Si raggiunge così il numero di 290 uscite, propagandate dai fautori dell’accordo come uscite “volontarie” e, in qualche modo, “retribuite” con l’assegnazione di 80.000 euro di buona uscita. Ma fino a che punto si può parlare di uscite volontarie? I lavoratori hanno accettato questa condizione avendo davanti a sé come alternativa solo una sospensione degli stipendi: la suddetta multinazionale ha infatti utilizzato la sospensione delle mensilità di ottobre, novembre e dicembre, insieme alla sospensione delle tredicesime, come arma di ricatto da un lato per convincere i lavoratori ad accettare la buona uscita (in una situazione di estrema necessità risulta chiaro come tanti lavoratori abbiano preferito riuscire a portare a casa qualche soldo, poiché in nessuno dei due casi sarebbe stato assicurato loro un futuro certo), dall’altro per convincere gli altri ad accettare l’ipotesi di accordo del 3 dicembre (che altro non è se non una copia conforme della bozza di accordo proposta dal ministro Guidi, vantaggiosa per le richieste della Morselli, l’amministratore delegato della Thyssenkrupp). Dunque i soldi non vengono garantiti per gli stipendi dei lavoratori, ma per le uscite incentivate invece possono essere liquidati subito: il risultato sono lavoratori non solo sfruttati, ricattati e, di fatto, licenziati, ma anche presi in giro più del dovuto. Ma non finisce qui: altra minaccia fatta dall’azienda per spingere gli operai a votare il fatidico “sì” all’accordo è stata quella del ritorno al piano industriale proposto lo scorso 17 luglio, quindi con la chiusura di uno dei due forni dello stabilimento e conseguenti licenziamenti, ignorando qualunque contrattazione sindacale. Ecco spiegate dunque queste 290 uscite “volontarie” incentivate, ed ecco spiegato questo 80% di voti favorevoli all’ipotesi di accordo! Ma il capitale non si accontenta mai e, con l’aiuto dei sindacati traditori, si è toccato il fondo: l’ipotesi di accordo non pone un freno ufficiale alle uscite incentivate, ragion per cui, anche dopo l’incontro, gli esuberi sono arrivati a più di 350 nonostante l’accordo ne prevedesse 147, creando vuoti dappertutto e difficoltà nel creare le squadre. Secondo quanto dichiarato dal dirigente del personale Tk-Ast, Arturo Ferrucci, ai coordinatori delle Rsu, lorganico di Ast, tolte le controllate, arriverà entro il 31 dicembre a 1.986 dipendenti. Nel totale si è già sotto la soglia dei 2.400 lavoratori, al minimo storico.  

–       Riassetto commerciale delle acciaierie con l’inserimento dell’AST nella divisione TK Materials. Anche qui, ennesima beffa per il futuro già incerto delle acciaierie ternane, che si riducono ad essere solo un centro servizi per il commercio tedesco dell’acciaio gestito dalla multinazionale ThyssenKrupp. La rete commerciale, e quindi la gestione delle vendite e dei pacchetti clienti, avverrà in Germania, mentre a Terni si gestiranno solo pratiche precedenti e successive alla vendita. Pare davvero di essere vittime di uno scherzo se si pensa che a disposizione dell’AST sono stati messi dei centri servizi di Germania, Francia, Spagna e Turchia quando l’AST stessa si ritrova ad essere solo un centro servizi per il commercio di acciai gestito in Germania dalla multinazionale.

–       Investimenti di 100 milioni di euro per l’eco-compatibilità e la sicurezza del processo produttivo e 10 milioni di euro per “programmi di ricerca e innovazione” in collaborazione con le università e con il Centro Sviluppo Materiali, ma oltre alla retorica dell’innovazione, della sicurezza e della tutela dell’ambiente, non si fa nessun riferimento al problema principale della produzione di acciai nel territorio ternano in quanto a impatto ambientale, ovvero la dispersione di scorie e l’avvelenamento dell’aria e delle falde freatiche, oltre al fatto che lo stesso impianto è ormai fortemente datato e nell’accordo non si riscontra un piano che possa essere considerato sufficiente e dettagliato per l’ammodernamento della struttura.

–       Eliminazione dei premi trimestrali e delle fasce di merito con una diminuzione di 2000 euro annui di retribuzione, a fronte di una competitività tra i lavoratori che rimane tale e viene stimolata con l’introduzione del “premio di produttività” e del “premio di fedeltà”: il primo consiste in un premio per il rendimento del lavoro che ammonterebbe a soli 723 euro lordi erogati nel mese di luglio successivo all’anno di verifica dell’obiettivo, mentre il secondo consiste in un premio in denaro che potrà essere di 500 euro, 1000 euro o di una mensilità in base al numero di anni di servizio. Poche briciole concesse in cambio di una ulteriore divisione degli operai e della loro competizione, in un contesto di crisi del comparto produttivo delle acciaierie, dovuto soprattutto a tutti gli esuberi, che potrebbe portare ad un’ulteriore riorganizzazione del lavoro e della produzione con nuovi licenziamenti. Dunque, obiettivo raggiunto per i padroni: poche briciole concesse e operai ancora una volta spremuti per il massimo profitto.

L’ennesimo tradimento dei sindacati confederali e la necessità della lotta di classe organizzata

I fatti di Terni, con il tradimento dei sindacati confederali e la vittoria dei padroni mediaticamente camuffata con tutti i raggiri possibili, non costituiscono una novità per la storia del movimento operaio. Di certo, però, rappresentano una forte spinta in avanti per la lotta organizzata dei lavoratori in Italia, specie in una fase storica in cui la classe lavoratrice di questo Paese ha difficoltà a riassumere coscienza di sé stessa e della sua condizione per organizzarsi in una lotta definitiva contro le catene della proprietà privata dei mezzi di produzione; in una fase storica in cui viene sottovalutata la centralità del conflitto capitale-lavoro e in cui la propaganda del regime capitalistico tenta di farci pensare in tutti i modi che la classe operaia non esista più; in una fase storica in cui i lavoratori risentono dell’assenza di un Partito rivoluzionario che li organizzi e li guidi nella lotta per la loro emancipazione. L’unità dei lavoratori nella lotta per le acciaierie è stato il presupposto fondamentale di questo lungo periodo di agitazione, che ha visto ben 44 giorni di sciopero, oltre a diversi momenti di conflitto, tra i quali non sono mancati l’occupazione della sede di Confindustria e la repressione in piazza operata a Roma dalla polizia a suon di cariche e manganellate.

Affermazioni come quelle pronunciate da Stefano Neri (Pres. di Confindustria Terni), “danni incalcolabili”, durante le forme più alte di mobilitazione raggiunte dagli operai, è un manifesto della centralità della lotta operaia come unica che può colpire duramente gli interessi della classe dominante ed esprime la grande potenzialità di essa. La conclusione della vertenza AST non può quindi che suscitare la peggiore rabbia e la peggiore amarezza, poiché ancora una volta abbiamo visto il peggior volto dell’opportunismo, del collaborazionismo, del tradimento. Abbiamo assistito all’opera di CGIL, CISL, UIL (sigle che all’inizio affermavano di essere schierate con i lavoratori, in cui questi vedevano l’unica speranza per una lotta che potesse salvare il loro lavoro e la loro condizione di vita), che da un giorno all’altro hanno accettato di rimodulare gli scioperi e abbassare quasi completamente il livello del conflitto: il risultato è stato la delusione e la resa dei lavoratori delle ditte terze, che si sono ritrovati abbandonati e condannati a un futuro di disoccupazione, la riduzione tremenda della partecipazione operaia ai picchetti fuori dalle acciaierie (con una tattica di conflitto, quale quella di bloccare solo le vie di uscita dei prodotti, che si è rivelata inefficace per non dire patetica) e un accordo sulla vertenza i cui vantaggi sono stati per la ThyssenKrupp, se non per il fatto (la cui importanza non è nostro intento sminuire) di esser riusciti a evitare la chiusura di uno dei due forni della fabbrica e l’azzeramento di 13 milioni di salario integrativo, salvandone 9 su 13; accordo, tra l’altro, approvato dai lavoratori più per ricatto e per astensione che non per reale convinzione. La lotta non è una contrattazione al ribasso, non è un gioco in cui le vite di lavoratori e famiglie possono essere svendute alla migliore offerta. La lotta è un percorso il cui risultato finale può essere solamente uno: l’eliminazione della speculazione capitalistica a scapito del lavoro altrui.

A tal proposito, ribadiamo la necessità per i lavoratori della rottura totale con i sindacati confederali e concertativi quali CGIL, CISL e UIL, la cui collusione con il padronato ha sempre rallentato e ostacolato l’organizzazione dei lavoratori per una lotta coerente e continua. Ribadiamo la necessità della lotta di classe dei lavoratori per ottenere un salario minimo garantito, la creazione di nuovi posti di lavoro tramite la riduzione della giornata lavorativa e dei ritmi di lavoro a parità di salario (eliminando così la concorrenza al ribasso tra lavoratori, favorendo l’unità di classe), l’espropriazione e nazionalizzazione con il controllo operaio delle multinazionali, delle aziende che licenziano e delocalizzano (rigettando il ricatto o così o niente).

Il proletariato non è organizzato, è debole e incosciente? Noi rispondiamo come Lenin: “Esatto. Per questo tutto il problema è di combattere i capi piccolo-borghesi, i sedicenti socialdemocratici […] che addormentano le masse, inducendole ad aver fiducia nella borghesia”. La gioventù comunista si organizza in tutta Italia per poter lottare a fianco dei lavoratori, così a Terni come in qualunque altro luogo di lavoro di questo Paese, per la costruzione del Partito Comunista, non per esprimere una astratta solidarietà di facciata, ma per costruire l’offensiva di classe, per rovesciare questa società di sfruttamento, per la costruzione del socialismo. Solo la lotta paga, e la lotta non finisce qui.

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