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Il referendum di Tsipras non è una soluzione.

Qualche mese fa Alexis Tsipras ha vinto le elezioni greche sulla base delle teorizzazione della possibilità di modificare l’Unione Europea dal suo interno, di convertire l’Europa delle banche nell’Europa dei popoli, di ottenere per il proprio Paese misure economiche in grado di invertire le politiche di austerità senza comportare l’uscita dall’Unione Europea e dall’euro. Sulla base di queste teorizzazioni la sinistra continentale si è mossa a sostegno del disegno di Tsipras. In Italia è sorta una lista che si chiamava, non a caso, l’Altra Europa. Senza entrare nelle miserie italiane la questione che oggi la situazione greca rende evidente è il completo fallimento di questa opzione. Un’illusione, quella di Tsipras, di poter modificare le politiche antipopolari della UE dal suo interno.

L’enorme fallimento si era reso chiaro nei giorni scorsi, quando il governo greco aveva sottoposto alla Troika – anche se con il nuovo corso ad Atene si preferisce parlare di “tre istituzioni”  –  un piano che non aveva grandi differenze con quello chiesto nei giorni successivi dai creditori. Migliaia di lavoratori erano scesi in piazza con il PAME, il KKE aveva chiamato la mobilitazione contro il programma del governo, ma cosa ancora più importante – sia per una maggiore neutralità sul giudizio del piano, sia per l’ottica di Tsipras – una parte rilevante di Syriza aveva dichiarato di non essere disponibile a votarlo. L’opposizione interna a Syriza infatti si era già pronunciata contro l’accordo. prima che il governo greco fosse ulteriormente umiliato dalla Troika con le nuove richieste. Dopo solo pochi mesi l’inganno della visione riformista della sinistra radicale veniva così ad infrangersi sullo scoglio della realtà dei rapporti di forza, che ricalcano pienamente i rapporti economici dominanti all’interno della UE e del sistema capitalistico. Il governo Tsipras era in evidente difficoltà e la chiamata del popolo greco al referendum non è altro che il tentativo di nascondere questa difficoltà con un ennesimo imbroglio.

Il referendum non è contro i memoranda firmati dai governi precedenti, non è contro i nuovi memoranda siglati dal governo greco, non è per il ripudio del debito pubblico, l’uscita dall’euro. Il referendum del 6 luglio chiede ai cittadini di rigettare le proposte della Troika, ma non chiede anche di pronunciarsi su quelle proposte dal governo. Si tratta di un referendum sul sovrapprezzo richiesto, ma non sull’accordo in sé. Se il No dovesse risultare maggioritario Tsipras correrà a Bruxelles, forte di un referendum popolare, non per stracciare i trattati della UE, ma per chiedere di accettare la proposta originaria del governo, quella che già era duramente contestata.  Lo ha fatto ben notare il comunicato del PAME. «Il Governo Greco ha rifiutato di inserire nel referendum la domanda sul Memorandum proposto dal Governo stesso che include un programma antipopolare da 8 miliardi di euro sottoscritto dallo stesso primo ministro Tsipras e presentato alla Troika. Pertanto la domanda del referendum chiederà ai Greci soltanto se approvino o meno il Memorandum proposto dalla Troika che in realtà ha poche differenze dalla proposta del Governo.» Stessa posizione espressa dal KKE «Il No del popolo Greco deve essere diretto verso entrambe le proposte: la proposta dei creditori e anche la proposta del Governo contenuta nelle 47 pagine, che ha subito l’aggiunta di ulteriori dettagli durante tutto questo periodo. Entrambe le proposte contengono misure selvagge e a spese del popolo. Il referendum ha le caratteristiche di un ricatto contro il popolo ed ha lo scopo di renderlo complice nei piani antipopolari imponendogli la scelta tra due mali.» Questo spiega il perché del voto contrario del KKE in aula e della scelta di partecipare al referendum inserendo nell’urna elettorale una scheda con scritto No ad entrambi i memoranda.  Sulle accuse al KKE dei tifosi nostrani non vale neanche la pena di spendere parole. Vale invece la pena di spenderle sulla strategia di Tsipras.

Antonio Gramsci scriveva che la classe operaia deve essere trattata da “maggiorenne e non da minorenne”  che ad essa non bisogna nascondere nulla di ciò che la riguarda “anche se questo possa farle dispiacere, anche se la verità sembri immediatamente dannosa”. Oggi la maggioranza dei greci è contraria all’uscita dalla UE e dell’euro, ritiene che questa scelta rappresenterebbe la caduta nell’abisso per il popolo greco. Questa posizione impedisce qualsiasi livello reale di avanzamento nella consapevolezza e nell’azione delle masse subalterne in Grecia, che restano prigioniere di questo ricatto. Morire lentamente in un mondo conosciuto, per non rischiare nell’immediato il salto in un mondo ignoto. Il problema è che Syriza ha contribuito ad alimentare e rafforzare questa posizione, inserendo la variante del ragionamento secondo cui è possibile sopravvivere allegramente nel mondo conosciuto. In poche parole, assecondando una posizione arretrata nelle masse e rinunciando alla propria funzione di avanguardia, la sinistra radicale si è convertita nel più utile, anche se inconsapevole, alleato del capitale. Cosa è l’opportunismo? Sacrificare una strategia giusta in nome di una tattica sbagliata, ma vincente nel breve periodo. Se Tsipras avesse chiaramente detto ai greci le cose come stanno non avrebbe vinto le elezioni, ma non avrebbe contribuito a imprigionare la sua attività con le sue stesse catene, contribuendo al contrario a spostare la posizione dei greci sulla questione della UE e dell’euro. Al contrario l’illusione di Syriza li ha disarmati.

La mossa del referendum rappresenta l’uscita temporanea dall’angolo per Tsipras, ma siamo tutti davvero convinti che vincerà il No? Premessa la correttezza del ragionamento del KKE  – per il quale anche il No, manterrebbe inalterata una parte altrettanto insostenibile si misure proposte dal governo –  siamo sicuri che il popolo greco sia preparato a votare per un piano che, anche contro le volontà del governo, potrebbe portarlo fuori dall’euro e dalla UE? Sebbene il governo Tsipras dica il contrario, l’opposizione socialdemocratica e popolare sta impostando proprio su questo terrore la campagna referendaria, facendo leva anche su quella parte della popolazione che era stata assicurata da Syriza della permanenza nell’euro. I sondaggi, per quanto contino, al momento danno il Sì in vantaggio. Insomma lo strumento referendario potrebbe convertirsi proprio nella mossa da Ponzio Pilato di Tsipras. Ma un’avanguardia non può fare Ponzio Pilato, deve assumersi le sue responsabilità e condizionare la direzione degli eventi, non lasciare che determinati fatti si compiano.

I “comunisti” e sinistri nostrani che gioiscono davanti al referendum, che tuonano contro il KKE e parlano di referendum come grande prova di  democrazia, dimenticano la lezione di Gramsci sulla forma del referendum. Gramsci definiva il referendum «antirivoluzionario» proprio in quanto «squisitamente democratico». Il ragionamento di Gramsci non fa una piega e risulta validissimo in questa situazione: il referendum è uno strumento democratico secondo i canoni della democrazia borghese, ma non come mezzo realmente democratico, ossia rivoluzionario. La consultazione immediata finisce per fare leva sul disorientamento delle masse, sulle loro debolezze intime, sui sentimenti negativi di stanchezza, rassegnazione. In questo senso il referendum non solo non diventa strumento ideale per un avanzamento ma finisce per «valorizzare le masse amorfe della popolazione e schiacciare le avanguardie che dirigono e danno coscienza a queste masse.» Chiaro che potrebbe accadere anche il contrari, ma il governo greco cosa farebbe in questo caso?

Tsipras non vuole l’uscita dall’euro, se questo accadrà sarà per decisione unilaterale della UE e il popolo greco ne subirà solamente gli effetti. Questo bisogna metterlo in evidenza, perché anche su questo elemento c’è molta confusione, ed è il principale elemento di propaganda della destra e di confusione di alcuni “sovranisti” di sinistra. L’uscita dall’euro e dalla UE da sola non è in grado di produrre un reale avanzamento delle condizioni dei lavoratori e delle masse subalterne in Grecia. Le valutazioni dall’esterno si riducono nella politica del tifoso, ma dimenticano che le masse greche vivono questa condizione sulla pelle. Una semplice uscita dalla UE e dall’euro produrrebbe nell’immediato una contrazione del potere d’acquisto delle masse popolari, lasciando salvi i capitali in larga parte già esportati all’estero (anche nei mesi del governo Tsipras, che fino a ieri non ha stabilito alcuna misura per vietarne la fuga) che non solo non subirebbero grandi danni, ma vedrebbero aumentato il loro valore in patria grazia al cambio più favorevole. L’unico modo reale per colpire i capitali e impedire che tutto sia posto a carico del popolo greco è una campagna di espropri dei grandi monopoli, con la socializzazione dei mezzi di produzione. In un medio periodo l’uscita dall’euro porterebbe alla Grecia indubbi benefici sul piano delle esportazioni, del turismo e di altri settori economici, con una moneta svalutata ed un’economia che ripartirà. Ma nel primo caso a beneficiarne sarebbero sempre i detentori dei mezzi di produzione e alle masse lavoratrici arriverebbe solo una parte ridottissima di tutto questo. Nel secondo caso, con il socialismo, a beneficiarne sarebbe tutto il popolo greco. In questo sta anche la differenza sugli accordi commerciali con i BRICS e altri paesi, nella direzione della rottura delle alleanze imperialistiche con UE e Nato. Ma anche qui, c’è la differenza sostanziale, che in molti sembrano non cogliere. Nel primo caso gli interessi permarranno quelli dei capitalisti greci, sostituiranno ad una vecchia oligarchia nuove oligarchie. Nel secondo caso, sfruttare le contraddizioni interimperialistiche permetterebbe ad un sistema socialista di rompere l’isolamento immediato, ma ogni misura sarebbe in favore del popolo, in quanto non esisterebbe – se non nelle forme ridotte ancora presenti – accumulazione privata del profitto. Tutto questo non può essere fatto con un No o con un Sì, ma richiede radicamento, lavoro, avanzamento delle posizioni rivoluzionarie nella classe operaia e nelle masse popolari greche. E la scelta tra un No e un Sì in cui nessuna delle due proposte vada nella direzione dell’uscita dalla UE, dall’euro e dalla Nato contestualmente alla rottura del potere del capitale, significa mettere i greci di fronte alla scelta di spararsi un colpo con una pistola o morire impiccati con una corda.

In queste due differenti strategie sta la differenza tra i comunisti e le loro posizioni rivoluzionarie e la sinistra radicale di oggi, che è divenuta la nuova socialdemocrazia, e che propone cambiamenti nell’ambito del mantenimento del sistema capitalistico. Si comprende allora perché la posizione dei comunisti in Grecia sia chiara e netta e non intenda lasciare il popolo greco davanti all’imbroglio di Tsipras. «Il popolo greco deve dire un grande NO all’accordo, NO alla propria continua bancarotta, NO ai partiti della strada a senso unico dell’UE e del potere del capitale. Il popolo greco deve tracciare una rotta verso la sua reale presa delle redini del potere.» Questa presa di potere nelle mani del popolo è la grande rottura, che la sinistra radicale dimentica sempre e che finisce inevitabilmente per convertirla in una nuova e moderna forma di socialdemocrazia.

 

 

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