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Le mani sulla RAI

Così la tv di stato diventa una Spa e, con il canone in bolletta, a guadagnarci sono le tv private

Dalla Rai dei partiti alla Rai del Governo, da servizio pubblico a televisone-azienda, guidata in tutto e per tutto dal suo amministratore delegato. Come nelle reti private. La riforma della tv di Stato, che attribuisce a Palazzo Chigi un’influenza molto più ingombrante che in passato sulla Rai, è diventata legge. Ora sarà direttamente il Ministero dell’Economia a scegliere il capo dell’azienda, che non sarà più un semplice direttore generale ma un vero e proprio Ad: carta bianca su nomine e assunzioni e sui contratti fino a 10 milioni, insieme al compito di riscrivere lo Statuto aziendale entro 60 giorni. Insomma ai vertici della Rai, dopo la riforma, ci sarà un leader dai super poteri, nominato per direttissima dal Governo e alleato fedele di chi il posto glielo ha assegnato. «Il Presidente del Consiglio aveva promesso di togliere la Rai ai partiti e restituirla ai cittadini. E invece l’ha messa alle dirette dipendenze del governo», commenta l’Usigrai, sigla sindacale dei giornalisti del servizio pubblico, insieme alla Fnsi (Federazione nazionale della stampa). L’attuale Consiglio d’amministrazione a 9 membri (eletto lo scorso agosto) resterà in carica per altri 2 anni e 7 mesi. Poi, nel 2018, sarà nominato un nuovo Cda con soli 7 componenti, dove le forze maggioritarie in Parlamento potranno contare sulla maggioranza certa dei voti. Dopo anni di lottizzazione, con la spartizione dei canali radiotelevisivi su base elettorale, potremmo passare ad una Rai nelle mani di un partito solo: quello di Governo.
«Con un doppio colpo, Palazzo Chigi ha portato sotto il proprio diretto controllo i due pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza dei Servizi Pubblici: fonti di nomina e finanziamenti.» Sì perché allo stesso tempo, con la Legge di Stabilità, il governo si è preso anche il controllo anno per anno dei finanziamenti alla tv di Stato. Il famoso “canone” da pagare in bolletta, diventa così uno degli strumenti più forti per condizionare la gestione e le scelte editoriali della Rai. Il governo, infatti potrà ogni anno cambiare la distribuzione di quei fondi: in sostanza, una Rai più asservita potrà essere “premiata” con più finanziamenti, una Rai più autonoma potrà essere “punita” con un ulteriore taglio delle risorse. Per di più i cento euro del canone finiranno solo in parte nelle casse della tv pubblica. Alla Rai andrà circa 1miliardo e 650 milioni: la cifra che ha incassato negli ultimi anni, tagliata però del 5%, così come deciso dalla precedente Legge di Stabilità. Degli introiti aggiuntivi guadagnati con il nuovo canone solo il 50% andrà alla Rai (nel 2017 e nel 2018 la quota scenderà al 30%). Il restante 50% sarà destinato invece ad altri scopi: innanzitutto a finanziare le tv private locali, a cui il Governo vuole riservare circa 50 milioni di euro. Anziché creare un fondo apposito però, il Governo prende i soldi direttamente dalle tasche dei cittadini senza alcuna forma di trasparenza. E i soldi che potevano servire a finanziare inchieste accurate, documentari, fiction di qualità (insomma, un servizio che sia davvero pubblico) finiranno invece nelle mani dei privati. Dal nuovo canone quindi non sembra arrivare nulla di buono. Non serviranno a migliorare l’offerta della tv di stato quei cento euro, “presi” ai cittadini senza alcuna equità sociale (cento euro per tutti, non una cifra proporzionale al reddito: chi ha di più paga di più, chi ha di meno paga di meno). Anzi. Insomma, l’ennesima riforma Rai, l’ennesimo regalo ad imprenditori privati, governanti e potenti.

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