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La “cultura fisica” e il diritto allo sport nel socialismo.

*di Gilberto Fialà

La storia del socialismo reale non è fatta solamente di cambiamenti radicali in ambito economico, politico e sociale, ma include al contrario un vero e proprio ribaltamento nella concezione dell’essere umano, della sua cultura, della sua istruzione, delle sue relazioni interpersonali. Istruzione e cultura, infatti, nei paesi socialisti non solo diventano priorità per gli investimenti, ma progrediscono qualitativamente rispetto all’istruzione e alla cultura nei paesi capitalistici. Questo cambiamento avviene in ogni ambito possibile.

I paesi socialisti hanno sempre raggiunto grandi risultati in ambito sportivo, ma spesso anche chi riconosce questo sorvola sul profondo legame fra i meriti degli atleti provenienti da quei paesi, e il sistema economico e sociale che metteva al primo piano lo sport come elemento di realizzazione dell’individuo, permettendo a tutti di accedere allo sport senza barriere di carattere economico. I sovietici, ad esempio, fecero diventare la “cultura fisica” una parte fondamentale della formazione del giovane e concepirono lo sport come un diritto accessibile ad ogni cittadino, destinato ad essere, assieme a scienza e poesia, un elemento fondamentale per il progresso armonico della società.

L’educazione fisica in URSS venne posta sin dal 1917 al centro del sistema educativo, con la fondazione del Servizio Generale di Istruzione Militare dal quale nascerà, nel 1920, il Consiglio Superiore della Cultura Fisica, in seguito denominato Comitato per le Questioni della Cultura Fisica e dello Sport dell’Unione. I corsi dedicati allo sport divennero obbligatori sia nell’istruzione primaria, che nell’istruzione tecnico-professionale e nelle istruzioni superiori, tra cui l’università. Vennero diffusi inoltre programmi sportivi per le forze di sicurezza e le forze armate, le aziende, le cooperative agricole e statali e contemporaneamente le istituzioni sovietiche organizzavano corsi di ginnastica nelle loro ore libere. Questo lavoro era coordinato dalle Società Sportive Volontarie dell’URSS, collegate in maniera diretta ai sindacati e ai ministeri. In queste società si formavano diversi club sportivi legati a diversi settori e che sono ancora oggi largamente conosciuti nel mondo dello sport, nonostante questo sia stato mercificato negli anni ’90 dopo la controrivoluzione. Un attuale esempio è il CSKA di Mosca, che ancora oggi eccelle soprattutto nel calcio, nel basket e nell’hockey su ghiaccio. I CSKA erano i club sportivi formati da membri dell’esercito, mentre i club sportivi Dinamo erano legati alle forze di sicurezza e altri club, non così conosciuti, venivano formati da lavoratori di settori quali il trasporto marittimo o minerario. Straordinario fu il successo di queste società sportive: nel ’75 l’Unione Sovietica aveva più di 50 milioni di sportivi ripartiti su circa 219.000 collettivi sportivi.

Lo sport non diventava una professione, ma rappresentava una costante, uno svago nella vita dei lavoratori. Oggi infatti abituati alle cifre scandalose che coprono diverse stelle dello sport, ci viene difficile immaginare che i componenti delle squadre di calcio o di basket in URSS fossero pagati come i lavoratori del settore a cui appartenevano. In maniera più specifica negli anni ’70 e ’80 i salari erano di 200-300 rubli al mese, quasi il doppio del salario medio e con poca differenza tra le categorie inferiori e superiori. A questo salario vanno aggiunti i premi per le vittorie (come ad esempio i 500 rubli che si consegnavano ad ogni giocatore che vinceva la Coppa dell’URSS). Incredibile fu anche il successo delle Scuole di Sport per l’Infanzia e la Gioventù, famose per aver avviato molti sportivi che in seguito divennero campioni olimpici. In queste scuole entravano bambini e giovani sia su suggerimento dei maestri del loro centro studi, sia di propria iniziativa dopo aver superato alcune prove, ma spesso è accaduto anche che le stesse Scuole si recarono nei centri di studio a “selezionare” i giovani che presentavano spiccate qualità e capacità fisiche. In queste scuole, pur privilegiando la formazione sportiva, non si trascurava la formazione accademica e si preparava egregiamente l’accesso all’istruzione superiore. Una profonda diversità rispetto alla realtà che viviamo oggi, in cui l’educazione fisica nelle scuole è relegata a un paio d’ore settimanali vissute quasi come una perdita di tempo, mentre innumerevoli barriere economiche e sociali negano l’accesso allo sport ai giovani delle classi popolari.

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