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Dispersione scolastica, in 20 anni la scuola perde 3,5 milioni di studenti

Una settimana fa è uscito il dossier curato da Tuttoscuola in merito alla dispersione scolastica. Secondo le statistiche raccolte nel periodo che va dal 1995 ad oggi hanno abbandonato la scuola 3 milioni e mezzo di studenti prima di aver conseguito il diploma, un dato che rapportato su un totale di 11 milioni di studenti rappresenta ben il 30,6%. L’indagine, ripresa anche dall’Espresso, mostra come il tasso della dispersione scolastica negli ultimi anni si sia lievemente abbassato ma che la percentuale degli abbandoni sia ancora molto alta e che rappresenta un problema evidente per il nostro paese e per la gioventù. Nell’ultimo ciclo quinquennale che va dall’anno scolastico 2013/2014 al 2017/2018 hanno abbandonato la scuola 151.555 studenti, ovvero il 24,7%, circa uno studente su quattro. Analizzando i dati su base territoriale possiamo constatare che i picchi più alti si trovano nelle Isole, nel Sud e nel Nord Ovest. Emblematici sono i dati della Sardegna 33% (uno studente su tre ) e della Campania 29%. Ma anche di Sicilia e Toscana 28%  e della Lombardia con il 25,8%.

In media uno studente su quattro lascia la scuola prima del diploma, una vera catastrofe. Quest’ anno la scuola aprirà le porte a 590 mila ragazzi che affronteranno il primo anno delle scuole superiori, stando alle statistiche di questi 590 mila, ben 130 mila non arriveranno al diploma ma scompariranno dai banchi. Come mai questo dato così sconfortante? Di chi è la colpa?

L’Italia investe nell’istruzione e nella ricerca il 4% del PIL, e il 7,9% in rapporto alla spesa pubblica complessiva, molto meno degli altri paesi europei, per un totale di circa 65,2 miliardi di euro annui. (Dati del 2016 presi da questo dossier del 2017 https://ec.europa.eu/education/sites/education/files/monitor2017-it_it.pdf)(Tuttoscuola dice 46 miliardi) Per ogni studente lo stato garantisce circa 7 mila euro annui.

 Riprendendo le analisi sulla scuola pubblica compiute negli ultimi anni, notiamo uno scenario davvero inquietante fatto di continui tagli da parte dei governi di centro destra e di centro sinistra che nell’ultimo ventennio si sono alternati alla guida del paese, applicando le stesse politiche di austerità nel mondo dell’istruzione pubblica. Tra le più notevoli la Legge Finanziaria del 2008 che programmava tagli per il triennio 2009-2011 per un totale di quasi 14 miliardi di euro. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) del 2011 aggiungeva altri 8 miliardi di tagli ai fondi statali per la scuola pubblica nel triennio 2012-2014. In altre parole nell’arco di sei anni le scuole hanno ricevuto 22 miliardi in meno, e sono state ridotte letteralmente in ginocchio­.  Il Governo Renzi non ha minimamente invertito la rotta, ma al contrario ha proseguito nel solco dei suoi predecessori. Mentre si tagliavano miliardi alla scuola, li si utilizzava per il salvataggio delle banche, per le spese militari, si regalavano alle grandi imprese o ai creditori di un debito pubblico che solo nel 2016 è costato 66,5 miliardi di soli interessi.

Anche il governo Gentiloni a fine mandato, nella Legge di Bilancio 2018, ha previsto il taglio  di 160 milioni di euro complessivi alla scuola statale nel triennio 2018-2020. Un trend in negativo che non si è mai arrestato.

Tutti questi dati dimostrano come nell’arco di tempo preso in considerazione da Tuttoscuola (1995-2018), quindi dagli anni che  precedono l’introduzione dell’autonomia scolastica e di conseguenza il sempre più marcato tentativo di accelerare il processo di aziendalizzazione delle scuole, fino ad arrivare ai giorni nostri con la Buona Scuola del governo Renzi, sono stati operati tagli su tagli, spesso anche drastici, che hanno costretto la scuola pubblica a cambiare totalmente natura. Il dato della dispersione scolastica mette in evidenza come sia difficile per le famiglie dei lavoratori permettere un percorso di studi duraturo ai propri figli. Le riforme che sono state imposte dall’UE , di revisione e compressione della spesa pubblica, hanno smantellato è fatto a pezzi quella che era l’istruzione pubblica italiana conquistata negli anni con dure battaglie dal movimento operaio e studentesco.

Un’ istruzione che nel corso del tempo è diventata sempre più classista, modellata in base alle esigenze delle grandi imprese e del grande capitale. In un periodo di crisi il capitale ha bisogno di manodopera a basso costo per aumentare i profitti ed ha piegato l’istruzione a queste esigenze. Esempi lampanti di questo sono l’appiattimento della didattica ad un sapere sempre più nozionistico oppure l’introduzione dell’alternanza scuola lavoro obbligatoria.

Ogni anno le spese per frequentare la scuola aumentano. Il costo del materiale scolastico, dei libri, dei trasporti e del contributo scolastico sono sempre più notevoli. A queste spese possono aggiungersi anche quelle per i corsi e i progetti pomeridiani a scuola. Tanti ma tanti soldi che incidono sul percorso degli studenti così come sulla scelta di proseguire o meno gli studi una volta dopo aver raggiunto il diploma. Dei circa 476.500  diplomati, si iscrivono all’università in media poco più della metà. Di questi se ne laureano circa uno su due. La dispersione universitaria è quindi intorno al 50% frutto dei tagli sempre più drastici al diritto allo studio e da tasse sempre più elevate. Per questo si arriva al punto che tra i figli di genitori con bassa istruzione l’incidenza dei laureati resta in Italia tra le più basse nell’Unione europea.

I governi si sono sempre vantati di avere un sistema d’istruzione inclusivo ma in realtà sono stati esclusi ben 3 milioni e mezzo di giovani negli ultimi venti anni. Ragazzi e ragazze che spesso, subito dopo il primo biennio di scuola superiore, hanno preferito abbandonare gli studi perché non hanno trovato nella vita scolastica di tutti i giorni, e nello studio, una chance per la propria emancipazione e per il proprio riscatto, ma anzi hanno avuto a che fare con un vero e proprio incubo, con una scuola sempre più classista ed improntata all’ esaltazione dell’individualismo e della competitività.

Non bastano gli sforzi delle maestre, dei professori, degli educatori e delle associazioni che in molte realtà provano a non lasciare indietro nessuno. La scuola di oggi non include tutti ma al contrario va ad esasperare le disuguaglianze economiche e sociali ma anche le differenze soggettive (caratteriali) dei singoli studenti.

Non è un caso se negli istituti professionali e tecnici, frequentati nella maggior parte dei casi da studenti provenienti da realtà molto dure, la dispersione scolastica è molto più alta rispetto ai licei. Rispettivamente il 32% nei professionali, il 27,3% nei tecnici e il 19,2% nei licei (con un minimo nei licei classici 12% e un massimo nello scientifico tradizionale 20,6%).

Ogni anno la scuola statale perde per strada 40/45 mila studenti, quasi sempre a seguito di una bocciatura. E chi sono i bocciati? Secondo le statistiche il maggior numero dei bocciati proviene dalle classi popolari. Con la bocciatura aumenta di sei volte la possibilità di allontanare uno studente dai banchi, e questo avviene molto più nei professionali e negli istituti tecnici. “Bocciare in base all’applicazione rigida del principio che si deve raggiungere la sufficienza in tutte le materie” scrive Tuttoscuola, “può portare ad abbandonare del tutto gli studi e a non coltivare nell’ambito dell’istruzione i talenti di tanti.”

Migliaia e migliaia di giovani che sono “scappati via” da scuola perché non avevano le possibilità economiche o non erano invogliati, vengono quasi sempre restituiti alla strada, alla delinquenza e ad un futuro sempre più buio e precario.

Non è questa una scuola inclusiva né tantomeno fatta a misura per gli studenti delle classi popolari. Non è certamente questa la scuola per cui in passato si è lottato. Fino a quando la scuola e la ricerca saranno succubi delle logiche del profitto non ci sarà mai una scuola in grado di non lasciare indietro nessuno. Solo una scuola gratuita e di qualità per tutti può farlo.

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