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Mario Draghi, una garanzia per i padroni italiani

*di Ivan Boine

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella riceverà oggi al Quirinale Mario Draghi, per conferirgli l’incarico di formare un nuovo governo. Il Presidente della Camera, Roberto Fico, a cui Mattarella aveva dato un mandato esplorativo, ha infatti rimesso ieri tale mandato affermando che un nuovo governo PD-M5S-LeU-IV sarebbe stato infattibile.

E allora arriva Draghi, che Mattarella ci dipinge come l’ultima spiaggia, come l’unica figura in grado di traghettare il paese in questa situazione di emergenza sanitaria e crisi economica. Non possiamo che dargli ragione: l’ex capo della BCE è l’unica figura che può unire le diverse voci dei capitalisti italiani, al di là del teatrino parlamentare che ci regalerà ancora sfuriate ed elogi. E infatti la Borsa di Milano ha aperto oggi in forte rialzo del +2,12%, così come aprono in positivo le borse europee.

Se il PD è molto disponibile, i Cinque Stelle dichiarano – per voce di Crimi e Toninelli – che voteranno contro, anche se ben sappiamo dell’estrema eterogeneità e imprevedibilità dei pentastellati; restando nella maggioranza uscente, LeU dichiara che sarà difficile votare a favore di un governo Draghi, ma non pone alcun veto. I partiti più autenticamente liberali ed europeisti – Italia Viva, Azione e Più Europa – sono tra i più grandi sostenitori della proposta di Mattarella. Il centrodestra, da parte sua, si schiera com’era prevedibile: Forza Italia favorevole (come anche Cambiamo! del presidente ligure Toti), Fratelli d’Italia contrari, Lega aperta ad ascoltare le proposte di Draghi (che Salvini sostiene già da inizio anno).

Potremmo definirlo “buono per ogni stagione”, visto che è stato una figura di primo piano delle diverse fasi della politica economica italiana ed europea. Dopo una formazione tra l’Università La Sapienza di Roma e il MIT (Massachusetts Institute of Technology), alla carriera da professore universitario ha unito quella da dirigente pubblico e aziendale. Draghi è stato Direttore generale del Tesoro dal 1991 al 2002, ricoprendo tale carica quindi nei governi Andreotti VII, Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi, D’Alema I e D’Alema II, Amato II e Berlusconi II. Il Direttore generale del Tesoro è colui che elabora gran parte dell’iniziativa economica, monetaria e finanziaria del Ministero di Economia e Finanza. Possiamo, quindi, affermare che Draghi è stato protagonista della stagione delle privatizzazioni di importanti settori pubblici e di società partecipate, tra cui spiccano IRI, Eni, Enel, Telecom, Comit e Credit. Draghi è stato tra coloro che più hanno fatto affinché le politiche neoliberiste venissero applicate in Italia tramite l’accelerazione del processo d’integrazione europea.

Dopo un trascorso in Goldman Sachs, è stato Governatore della Banca d’Italia dal 2005 al 2011. In questo periodo è stato fautore di un disimpegno totale di Bankitalia dalle operazioni di mercato e promotore della creazione di colossi bancari come Intesa San Paolo. Non solo, ha apertamente sostenuto la necessità di tagliare la spesa pubblica (leggasi diritti sociali), di riformare il sistema pensionistico e il mercato del lavoro, anticipando la Riforma Fornero e il Jobs Act.

Nel 2011 lo vediamo nominato Presidente della Banca Centrale Europea. Tra le sue prime azioni vi è quella di richiedere all’Italia politiche di austerità per raggiungere i parametri degli altri paesi europei. La sua presidenza si caratterizzerà dalla spinta per il rispetto ferreo del pareggio di bilancio da parte degli stati membri (che tra il 2011 e il 2012 veniva adottato dai paesi UE), nelle politiche in difesa dell’euro e dell’eurozona, sostenendo prima l’austerità più dura e poi mediando con i governi nazionali affinché le banche e le grandi aziende di ogni paese venissero salvaguardate.

Dal 2015 si è riscoperto seguace del «socialismo liberale», motivo per cui nel tempo ha favorito un passaggio dall’austerità a una politica della BCE incentrata su una posizione più morbida verso quei paesi – tra cui l’Italia – che, per quanto non rispettassero tutti i parametri, avevano attuato le riforme richieste. Oggi, specialmente dall’accelerazione della crisi economica in seguito alla pandemia, Draghi si inserisce in quella cerchia di economisti che sostengono la necessità di un maggiore intervento pubblico in economia, come emerso dal Gruppo dei Trenta di cui fa parte. Intendiamoci, non si tratta di opinioni senza un riflesso concreto: gli investimenti pubblici in tempo di crisi non trovano l’opposizione nemmeno della Commissione europea, a patto che a crisi terminata vengano ripristinati i paletti sul bilancio.

Sulla questione dell’intervento pubblico in economia, le idee di Draghi – riportate sul Financial Times – sono molto chiare. Paragonando l’attuale situazione a quella di una guerra, l’ex presidente della BCE parla chiaramente di un intervento statale per aiutare il settore privato. Il passo successivo è affermare chiaramente che lo Stato deve farsi carico (in parte o totalmente) dei debiti dei privati e delle perdite registrate dalle imprese. Accrescere il debito pubblico, quindi, per salvare i profitti dei padroni: se contiamo che le maggiori entrate dello Stato arrivano dalla tassazione sul lavoro dipendente, significa utilizzare questi soldi per coprire i debiti, i buchi, le perdite di banche e imprese. In altre parole, Draghi propone la vecchia ricetta di trasferire soldi dalla classe lavoratrice a quella padronale.

Si comprende, quindi, il senso del discorso di Mattarella. Draghi è la «figura più competente» per formare un «governo di alto profilo», che riunisca «nomi di grande esperienza» e che sia «stimato a livello internazionale». In sintesi, è la figura più adatta per tutelare gli interessi del grande capitale italiano sul piano europeo e globale, in modo da scaricare la crisi sulle classi popolari. Draghi piace un po’ a tutti: ha il sostegno dei mercati, lo appoggiano quegli “intellettuali progressisti” alla Mentana, bravi a criticare il sistema ma suoi strenui difensori. Non è un caso che Bonomi, guida di Confindustria ed esponente dei settori più aggressivi della classe padronale, elogiasse Draghi già dopo il discorso da lui pronunciato nell’estate scorsa a Rimini, in occasione dell’incontro annuale di Comunione e Liberazione.

D’altra parte, la nuova “svolta statalista” dell’ex capo della BCE piace anche a Maurizio Landini, che lo ritiene una persona autorevole e utile al paese. Il segretario del più grande sindacato del paese conferma quindi la linea collaborazionista con i padroni e con il governo: la dirigenza CGIL fa già capire che non sosterrà le eventuali mobilitazioni, come succede da anni.

Ora la palla passa a Camera e Senato. Non sappiamo se il Parlamento gli darà fiducia, ma ci sono già tutte le premesse per un governo all’insegna del massacro sociale.

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