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Seconde case in Sardegna, è una questione di classe

di Andrea Frau, FGC Cagliari

Nei giorni scorsi in Sardegna il dibattito pubblico si è infiammato sul tema della possibilità di raggiungere la Sardegna da parte dei proprietari di seconde case che non sono residenti nell’isola.

La Sardegna è l’unica regione italiana ad essere, dal primo Marzo, in zona bianca, e come esplicitato nelle ultime FAQ del governo: “Dal 16 gennaio 2021, le disposizioni in vigore consentono di fare “rientro” alla propria residenza, domicilio o abitazione, senza prevedere più alcuna limitazione rispetto alle cosiddette “seconde case”, “anche in un’altra Regione o Provincia autonoma (da e verso qualsiasi zona: bianca, gialla, arancione, rossa)”.

Diverse migliaia di persone si sono trasferite in Sardegna negli scorsi giorni, fino a quando ieri il Presidente della RAS Cristian Solinas, in seguito alle forti pressioni esercitate da una grande parte della popolazione (una petizione diretta al presidente della RAS ha raggiunto più di 44 000 firme), ha emesso un ordinanza secondo cui: “L’ingresso in Sardegna con la finalità di recarsi presso le proprie abitazioni diverse da quella principale da parte di persone non residenti è consentito solo in presenza di comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità e/o di indifferibilità documentata ovvero per motivi di salute”.

La situazione ha fatto emergere, giustamente, forti preoccupazioni nella popolazione sarda, già scottata da quanto accaduto quest’estate quando a seguito della riapertura delle discoteche avvenuta su spinte provenienti da fasce della borghesia del settore del turismo e delle attività stagionali ci fu un’impennata dei contagi in Sardegna, che prima di allora erano vicini allo zero. La pressione dei colossi del turismo determinò un ritardo per la chiusura delle discoteche a dopo Ferragosto, nonostante il parere del comitato tecnico-scientifico che aveva espresso la necessità di una chiusura immediata.

La situazione che si prospettava era sicuramente di diversa portata, ma ad accomunare le due situazioni c’è una scorretta gestione della pandemia, per cui la salute pubblica viene posta in secondo piano rispetto all’interesse dei padroni, o persino alla possibilità per specifiche fasce della popolazione (certo non a basso reddito, se si parla di seconde case in Sardegna) di passare dalla zona rossa ad una seconda casa in zona bianca, dove le misure di distanziamento sono meno stringenti.

Tra la giusta rabbia emersa gli scorsi giorni, si è in parte creato un clima di contrapposizione tra sardi e continentali, con sfoghi e insulti verso chi arriva che talvolta scadevano in mero razzismo.

Se è vero che chi si è o si sarebbe potuto permettere di passare la quarantena nella seconda casa in Sardegna difficilmente appartiene ai ceti popolari, e che provvedimenti come questo riflettono una disparità tutta di classe rispetto al modo in cui si vivono le misure restrittive, è altrettanto vero che il dilagare di un sentimento di contrapposizione tra sardi e continentali rischia di creare divisioni anche interne ai lavoratori. La questione quindi, va interpretata da un punto di vista di classe, e orientata di conseguenza.

Vale la pena poi soffermarsi su alcune delle retoriche emerse negli scorsi giorni in Sardegna, anche a sinistra, tra cui quelle che dipingono come centrale il conflitto tra Sardegna e Italia, o tra sardi e capitalismo italiano, mancando di una posizione coerentemente di classe: le misure in questione, come l’intera gestione della pandemia non sono determinate secondo l’interesse dell’Italia a discapito di quello della Sardegna, ma secondo l’interesse (o in questo caso più secondo delle dinamiche dettate da favoritismi) dei padroni, compresi quelli sardi (come avvenuto quest’estate), a discapito di quello dei lavoratori e della salute pubblica.

Da rigettare con forza anche l’ormai conosciuto ricatto tra salute e lavoro, secondo Repubblica infatti “per un’isola dove il tasso di disoccupazione è altissimo (il 15% contro la media europea del 6,7%) e molti sono occupati soltanto stagionali, impiegati nell’economia del turismo, rinunciare agli introiti delle vacanze di Pasqua è dura”. Addirittura si tratterebbe del “Paradosso Sardegna, l’isola ha paura dei turisti”, come scrive il Giornale, come se per salvare l’economia del turismo si dovesse accettare di mettere a rischio la salute pubblica.

È chiaro che la gestione della pandemia non può dipendere da logiche di profitto o dalle comodità di una minima parte della popolazione, ma perché si tuteli la salute pubblica è necessario lottare per una società basata sui bisogni dei lavoratori. Per farlo è necessario indicare il nemico giusto.

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