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Un rivoluzionario in divisa di attore

Qualche anno fa andai in visita a Cuba come membro della delegazione del Partito Comunista. In uno dei pomeriggi che avevamo liberi feci un giro per L’Avana da solo e conobbi un gruppo di ragazze e ragazzi cubani per strada. Con la consueta curiosità che appartiene a quel popolo e specialmente ai giovani iniziarono a parlare e a chiedermi notizie. Ci scambiammo informazioni, impressioni su Cuba, sul mondo occidentale. Gli parlai anche di me e quando seppero che ero un giovane comunista mi invitarono a bere qualcosa. Andammo in un bar, ne scelsero uno dove si pagava in moneta locale, non di quelli per turisti insomma, e iniziammo a parlare di tutto. Io chiedevo a loro informazioni su Cuba, loro a me dell’Italia. La cosa che mi colpì di più furono le domande sul cinema e in particolare su Gian Maria Volonté. La competenza e l’interesse che mostravano per il cinema italiano in generale e per la figura di Volonté mi lasciò pieno di domande. Pensavo a quanti nostri coetanei, in Italia, avrebbero avuto la stessa conoscenza, lo stesso interesse, nel paese a cui quel patrimonio artistico apparteneva. Poche settimane prima a l’Avana una rassegna cinematografica aveva ricordato Volonté, Mastroianni e altri grandi del cinema italiano con la proiezione gratuita di alcuni suoi film. Un evento che evidentemente aveva avuto un discreto risalto a livello nazionale. Negli ultimi anni della sua vita Volonté aveva girato alcuni film a Cuba, quando in Italia l’ostracismo nei suoi confronti gli aveva sbattuto in faccia tutte le porte della produzione cinematografica. Qualcuna negli anni precedenti aveva in piena coerenza con le sue idee e il suo impegno deciso di chiuderla da sola. «Io non faccio film borghesi» e neanche la tentazione di ingaggi milionari, quando aveva acquisito una grande e meritata notorietà, poteva smuoverlo dalle sue convinzioni.

«Io accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema. E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è generalmente politico. Il cinema apolitico è un’invenzione dei cattivi giornalisti. Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita.»

Si può essere comunisti indossando la tuta blu della fabbrica, la divisa aziendale del proprio lavoro; vestendo i panni degli studenti nelle scuole e nelle università, o indossando la divisa verde militare dei guerriglieri che combattono armi alla mano per liberare un paese. Lo si può essere anche vestendo i panni dell’attore, trasformando l’arte e la cultura da elemento dell’oppressione di classe in strumento di emancipazione, di presa di coscienza rivoluzionaria. Per Volonté questo era il compito più profondo di un artista. Un attore al servizio di una causa, un militante appassionato davanti a una cinepresa.

E’ un mito di una certa sinistra borghese che l’arte e la cultura svolgano una funzione emancipatrice in sé stesse e di per sé. E questo è tanto più vero se si prende la produzione culturale e intellettuale di un’epoca nel suo complesso, senza avere la pretesa di dividere con un’accetta e voler separare meccanicamente sulla base di un giudizio critico ciò che è cultura e ciò che non lo è, specialmente quando questa divisione arbitraria, tipica dei circoli intellettuali e radical-chic, non tiene in conto ciò che quotidianamente le masse percepiscono come cultura, con quali strumenti contribuiscano a formare il loro pensiero e la loro coscienza. La cultura, l’arte, il cinema non sono mai “apolitici”. La semplice scelta di cosa trattare e di come trattarlo segna una scelta politica perché decide su quali argomenti, su quali riflessioni e con quali conclusioni debba formarsi il pensiero collettivo. Ecco perché scegliere quali film fare sulla base del tema è scegliere da che parte stare in questa lotta, in che modo svolgere la propria funzione. Scegliere se essere elemento di un ingranaggio del sistema, finalizzato all’imbarbarimento, al disinteresse, all’accettazione senza critica, magari in cambio di lauto compenso, o fornire un proprio contributo all’emancipazione generale delle masse.

E’ una scelta che non ha nulla di individualista o edonista. Non è la scelta del ruolo dell’attore. Non è volersi vedere a tutti i costi nei panni dell’eroe positivo, anzi. Basta prendere due film eccezionali come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e “Sbatti il mostro in prima pagina”. In entrambi i film la parte di Volonté è distante anni luce dalle sue convinzioni politiche. Lui interpreta il ruolo del nemico di classe, del servitore degli interessi della borghesia. Il suo viso, i suoi gesti, sono quelli del nemico, devono rimanere impressi come tali, devono contribuire a delineare la negatività del personaggio, del suo ambiente, del sistema che rappresenta. Il monologo sulla repressione che interpreta – e contribuisce a scrivere – vestendo i panni del dirigente di polizia in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, o la modifica del titolo dell’articolo e le considerazioni sul ruolo dell’informazione, in “Sbatti il mostro in prima pagina”. La modernità di questi film, dei suoi ruoli, dei dialoghi a ancora attualissimi, caratterizzati dalla volontà di demolire sistematicamente i miti fondanti dell’ideologia borghese, della neutralità dello Stato, dei suoi apparati repressivi, dell’informazione e del suo ruolo primario e non neutrale nella società e nella formazione del consenso.

Un attore eccezionale nella recitazione, nell’immedesimazione del personaggio. Molti lo hanno definito uno dei migliori attori in assoluto a livello mondiale. La caparbietà con cui studiava, provava, entrava, creava o imitava un personaggio non aveva pari. Imitò alla perfezione Lucky Luciano, Aldo Moro in “Todo Modo”, film “maledetto” per cui fu necessario eliminare i primi due giorni di girato per evitare la somiglianza troppo eccessiva. Oppure Mattei nel film di Rosi. Non disdegnò oltre al cinema e al teatro neanche film televisivi, purché rispecchiassero i suoi canoni. Spesso utilizzava i soldi dei suoi compensi per produrre spettacoli di teatro popolare che si inserivano in campagne di lotte politiche, come nel caso dei quartieri popolari di Roma, della battaglia sulle case.

Sono passati esattamente venti anni dalla morte di Volonté e per descriverlo non c’è migliore espressione della sua, quando parlava di «rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita». Chi è stato Gian Maria Volonté? Forse uno dei migliori esponenti di una stagione culturale e artistica italiana, indissolubilmente legata all’impegno politico civile, cosciente del proprio ruolo nella società, della necessità di svolgere con i propri mezzi dell’arte e della cultura una lotta costante.  Un’intellettuale organico, ad un ideale prima di tutto. Ad un’idea prima che ad un Partito, anche qui non per superiorità intellettuale, ma per le vicende politiche e storiche che contribuirono a trasformare il PCI da Partito Comunista, coerentemente rivoluzionario a partito sempre più impantanato nelle logiche socialdemocratiche e riformiste, con cui entrò in contrasto, anche se privo di molti dei toni tipici di quell’epoca e mantenendo sempre un certo rapporto. Nel 1976 quando fu eletto consigliere comunale abbandonò il suo scranno per tornare al cinema. “Mi accorsi che esisteva un baratro tra il mio bisogno di comunismo e la carriera politica che loro mi proponevano. Volevano fare di me un funzionario, un animale politico invischiato nella partitocrazia; io avevo bisogno di ricerca, di critica, di democrazia. Ho capito che stavo perdendo la mia identità e ho scelto il rapporto con me stesso”.

Un ruolo militante che Volonté poneva anche nel modo di fare cinema, nel ruolo dell’attore, nei rapporti con i registi e con i produttori. Fu militante anche in questo, in prima fila nel promuovere le lotte degli attori per il pieno riconoscimento del loro lavoro artistico. Ma fu anche l’attore che più di tutti volle porre le basi per un cinema a direzione “collegiale” in cui il rapporto attore-regista non fosse meccanica esecuzione. Per rivoluzionare la direzione dell’arte bisognava rovesciarne anche le premesse: esprimere una nuova visione collettiva, collegiale della decisione, che lasciasse all’attore la possibilità di incarnare appieno il suo ruolo. Una compartecipazione alla realizzazione del film che usciva dal tradizionale ruolo dell’attore. Anche questo gli alienò molte simpatie, contribuì ad allontanarlo ulteriormente dal mondo dello spettacolo. Molte porte si chiusero, insieme a quelle che volontariamente Volonté aveva deciso di chiudere. Ma soprattutto finiva lentamente una stagione del cinema italiano, con la metà degli anni ’80, insieme al declino politico del socialismo, declinava anche l’idea del cinema impegnato, dell’impegno politico in generale. Lo spazio per Volonté andava restringendosi.

Gian Maria Volonté morì mentre girava il suo ultimo film in Grecia. Il regista Angelopoulos ha raccontato che fino al giorno prima di morire aveva cantato Bandiera Rossa e altri canti di lotta italiani. Per chi non concepisce la distinzione tra personale e politico, tra individuale e collettivo, tra la propria vita ed un ideale, un progetto di cambiamento sociale, la fine del secondo scorso, gli ultimi anni della vita, sono indubbiamente stati vissuti con il peso di una sconfitta. Una sconfitta politica, e allo stesso tempo artistica e personale, che si trasformava in marginalità, ora che ancora di più, anche nel mondo intellettuale le tensioni ideali andavano allentandosi, e i cambi di casacca, le abiure e i ripensamenti la facevano da padroni, esponendo chi aveva mantenuto la coerenza dei propri ideali alla mercé dei vincitori.

Ma è davvero sconfitto un attore ricordato per il suo cinema per i suoi ideali ancora oggi? Dai giovani di un paese socialista che a migliaia di chilometri ancora ne parlano venti anni dopo la sua morte, ai giovani italiani di oggi che iniziano a comprendere la natura reale del capitalismo, a ricercare modelli diversi di arte, cultura, cinema, a vedere in Volonté uno degli esempi di una stagione di lotte, di speranze di ideali e che guardano con ammirazione i ruoli, i gesti, le parole di quel grande rivoluzionario in divisa d’attore.

 

 

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