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Oltre le tifoserie, quali prospettive e scenari per la Grecia?

Tsipras ha vinto le elezioni greche con una maggioranza importante, che unita al premio previsto dalla legge elettorale greca assegna 149 seggi al suo partito, due in meno della maggioranza assoluta necessaria per formare un governo. In generale i partiti legati alle esperienze di governo precedenti in Grecia hanno subito un tracollo senza precedenti. Nuova Democrazia, pur rimanendo il secondo partito del paese, e trainato dal duello con Syriza, perde molti punti percentuali. I socialisti del PASOK finiscono come penultimo partito ad entrare nel Parlamento, e stiamo parlando di un partito che fino a pochi anni fa aveva oltre il 30% dei consensi. Appare quindi evidente come il primo fondamentale dato delle elezioni greche sia la sconfitta dei partiti legati più strettamente al sistema di potere della UE, che in questi anni hanno applicato le regole e i tagli previsti da Bruxelles, portando il paese sull’orlo del collasso. Syriza, come previsto è riuscita a intercettare largamente questo malcontento verso le politiche di austerità. Fin qui tutto normale e scontato, ora, ciò che deve essere analizzato, sono le prospettive reali di quello che Syriza si propone, la questione delle alleanze e di come la sinistra radicale greca si propone di governare il paese e la sua reale valenza in termini generali.

La mancata costituzione di un governo Syriza-KKE.

Poche ore dopo il voto, conti alla mano, è già partita l’accusa al Partito Comunista di Grecia (KKE) per non essersi dimostrato disponibile ad entrare in un governo con Syriza, perdendo così, a detta di molti nella sinistra radicale europea, una storica occasione. Ma le cose sono andate proprio così? E’ possibile attribuire al KKE, con 15 deputati, la responsabilità delle scelte di un partito che di deputati ne conta 149? E’ stato davvero il KKE a negare un governo con Syriza, o anche Tsipras non aveva alcuna intenzione di governare con il KKE? E soprattutto perché questo è avvenuto? Dietro queste domande stanno le prime considerazioni essenziali sulla natura del governo di Syriza, le riflessioni sull’arretratezza del dibattito politico in Italia, e della capacità di leggere le reali posizioni politiche che oggi un’area di sinistra radicale, post comunista, o non più comunista a sua insaputa, sta realmente sostenendo.

A tutti quanti sostengono che il KKE sia un partito “settario”, che sia su di esso che grava la responsabilità delle mancanza di un governo con Syriza vorremmo ricordare alcune questioni essenziali. Pochi giorni prima delle elezioni il segretario generale del KKE Koutsumpas aveva dichiarato: «Naturalmente il KKE non è indifferente alla questione del governo. Il KKE afferma chiaramente che sarà presente in un governo in cui il popolo assuma il potere nelle sue mani, un governo che socializzi immediatamente la ricchezza e allo stesso tempo si disimpegni dalla UE e dalla NATO, le quali impediscono un percorso di sviluppo favorevole alle persone e mettono in pericolo i diritti sovrani del popolo e del paese. Un governo che abolisca immediatamente i memorandum, la relativa legislazione e cancelli il debito unilateralmente.»

Come si potrà vedere la proposta dei comunisti è chiara e netta, e non prevede alcuna forma di settarismo. I comunisti non rifiutano aprioristicamente il governo, come qualcuno sta sostenendo in queste ore, ma vincolano la loro partecipazione ed il loro appoggio ad un governo alle questioni essenziali: disimpegno dalla UE e dalla Nato, abolizione dei memorandum e ripudio unilaterale del debito pubblico, insieme a misure di carattere economico immediato che portino a socializzare la ricchezza, ovviamente a partire dalla nazionalizzazione e affidamento ai lavoratori (che in Grecia hanno una condizione di organizzazione ben superiore all’Italia e sarebbero in grado di gestire questo processo) delle grandi imprese private del paese. Syriza sarebbe stata disposta a sostenere un programma del genere? La risposta è ovviamente contraria, perché da tempo Syriza ha mitigato molte delle sue proposte programmatiche più radicali.

Più volte e con diversi incontri Tsipras ha rassicurato la permanenza della Grecia nella Nato, così come ha dichiarato di voler saldamente rimanere all’interno dell’Unione Europea e del sistema monetario dell’euro. Questi elementi non hanno carattere secondario né tantomeno ideologico. Un governo che decide di non svincolarsi dalla gabbia della UE e delle alleanze imperialiste, di permanere all’interno del sistema delle leggi di mercato, è un governo che –  anche se ispirato dalle migliori intenzioni –  potrà condurre solo una parte minima delle riforme promesse. E’ un governo che qualora volesse osare di più sarà sempre esposto ai meccanismi e alle regole del sistema nel quale si muove, e anche ai rischi di una sua involuzione. C’è qui la sostanziale differenza – che non dovrebbe sfuggire ai comunisti di ogni paese, e che quando sfugge è la dimostrazione plastica del problema –  tra la gestione del potere nell’ambito del sistema borghese e delle sue istituzioni sovrannazionali, del mantenimento della propria politica all’interno delle leggi del sistema di mercato e dall’altra parte l’utilizzo dello strumento del governo per svincolarsi da esse. Da una parte si possono produrre riforme, anche di carattere radicale, ma che sono inevitabilmente limitate dal carattere del sistema in cui si permane e dall’accettazione delle sue regole, dall’altra l’opzione di un cambiamento di sistema, che è propria dei comunisti.

In che modo si limita la delocalizzazione all’estero delle imprese produttive nell’ambito di un sistema, quello europeo, che consente la libera circolazione di merci, capitali e servizi? Come si impedisce di esportare all’estero capitali nazionali, impedendone i prelievi coatti, che sarebbero più che necessari per finanziare una seria politica sociale e di sviluppo del paese? In che modo, restando ancorati al controllo sovrannazionale della moneta che si utilizza, è possibile operare una seria politica economica e fiscale, non potendo controllare i tassi di interesse, il peso della valuta e operare in relazione alle politiche economiche del paese con una moneta il cui carattere e la cui funzione, di conseguenza gli interessi che sostiene, sono determinati al di fuori del proprio paese? Pensare di modificare dall’interno nella gestione di un paese i rapporti di forza, permanendo nel mezzo di un sistema economico, politico e giuridico che è concepito in altro modo è possibile?

Si comprende allora che la questione di un ipotetico governo Syriza-KKE è una questione solo apparente, perché le proposte politiche tra i due partiti sono più radicalmente differenti di quelle che uniscono Syriza ad altre formazioni, tra cui proprio l’ANEL con cui ha stretto un’alleanza di governo. Tsipras non ha mai proposto al KKE la costituzione di un governo insieme, così come il KKE, valutando il programma di Syriza lo ha escluso a priori, non per settarismo, ma per valutazione dell’evidente differenza dei programmi.

Il KKE ha in ogni caso dichiarato che voterà eventuali misure proposte dal governo di Tsipras che vadano nella direzione degli interessi immediati della classe operaia e delle masse popolari greche, non chiudendo la porta all’appoggio immediato e limitato a provvedimenti il cui carattere sia effettivamente favorevole per il popolo greco. Su questi provvedimenti, non mancherà l’appoggio del KKE, che lungi dall’essere il partito settario e che “pensa solo alla rivoluzione”, come qualcuno dice, nelle città che amministra ha tagliato radicalmente l’oppressione fiscale, ha varato programmi sociali importanti relativamente alle scuole, agli asili, al diritto alla casa, ben più radicali di quelli varati dalle amministrazioni locali di Syriza.

 La natura  di Syriza e l’alleanza con l’ANEL.

Syriza è una realtà composita al cui interno convivono anime differenti e con valutazioni politiche anche abbastanza diverse. Dai dati elettorali si capisce chiaramente come Syriza abbia largamente preso nel panorama politico greco il posto dei socialdemocratici del PASOK. Quello che è vero in termini percentuali è vero anche in termini di composizione, perché una parte rilevante dei membri del partito, anche tra deputati, dirigenti politici e sindacali, viene proprio dalle file del PASOK delusa dagli anni dei governi di coalizione nazionale sotto le imposizioni della Troika. In effetti Syriza, se si eccettua la figura carismatica e centrale di Tsipras, ha molte similitudini con i processi in atto in Italia, sebbene i commentatori e militanti italiani che guardano alla Grecia, vogliano negarlo. Molti dei transfughi della socialdemocrazia greca, non hanno fatto altro che quello che si apprestano a fare alcuni dell’area della sinistra del PD in Italia.

In Syriza sono presenti anche realtà più radicali e a sinistra di Tsipras. La piattaforma di sinistra conta circa un terzo del partito e una parte comunista, formata da organizzazioni più piccole che sono confluite nell’alleanza di partiti e forze politiche che compone Syriza. Queste correnti interne al partito – di cui andrebbe valutato anche il peso in termini di seggi – premevano per l’alleanza con il KKE e vedono male la concretizzazione dell’alleanza politica con l’ANEL, partito che nasce da una scissione di Nuova Democrazia e che siede nel gruppo dei Conservatori e riformisti. Anche questa scelta è nella realtà più indicativa di quanto si creda e la sua valutazione ultima va ravvisata nel sistema di interessi che la nuova alleanza viene a creare.

Il grande capitale monopolistico greco è ovviamente allineato al disegno di matrice europea, ha sostenuto in questi anni i governi di unità nazionale ND-PASOK, ha appoggiato le misure della troika traendone vantaggio. Una parte della borghesia – come accade anche in Italia e in altri paesi europei – al contrario è stata colpita dalle misure europee e vede di buon occhio un ritorno ad una maggiore sovranità nazionale in capo agli stati, generando elementi di nazionalismo. L’alleanza strategica che oggi Syriza va a realizzare è dominata da quest’ultimo elemento di carattere più o meno nazionalista. È in questo senso che ad un governo di unità nazionale filo-europeista, schierato con le politiche di austerità, viene sostituito da un governo di unità nazionale sinistra/destra di matrice antiausterità, ma comunque legato alla permanenza nell’UE. Una mossa evidentemente preparata da tempo e non certo in pochi minuti, almeno da quando proprio l’ANEL, oggi alleato di Tsipras, fece saltare la votazione del Presidente della Repubblica, mandando così i greci al voto e spalancando la vittoria a Syriza.

Qualcuno ha scomodato l’idea della “contraddizione principale” per giustificare questa mossa di Tsipras, ponendo proprio il rifiuto dell’austerità come elemento principale. Questa è da tempo la linea della Sinistra Europea e non a caso mette proprio in evidenza la differenza sostanziale con i comunisti, per i quali ancora oggi la contraddizione principale in questa fase è quella tra capitale e lavoro, che a livello generale diviene lotta all’imperialismo e al sistema politico che lo rappresenta. La grande coalizione anti-austerità messa in piedi da Tsipras, con l’idea di unire il popolo greco contro il nemico esterno, dimentica che il nemico non è solo esterno ma anche interno, e pone le masse popolari alla coda di alcune rivendicazioni borghesi, in cambio di pochi e limitati cambiamenti. Ricevere il voto delle masse popolari, non sempre significa rappresentarne a pieno gli interessi, e questo è uno di quei casi.

La maggioranza ottenuta da Syriza in ogni caso non consente un governo stabile, prima di tutto per le contraddizioni interne allo stesso partito di maggioranza relativa, in cui non tutte le componenti sono allineate con le linee guida del programma di Tsipras. L’esposizione inoltre alle proposte e ai compromessi con la destra di ANEL potrà portare a ulteriori scenari nei prossimi mesi.

 La valenza del cambiamento greco e le prospettive future.

La reale valenza della vittoria di Tsipras va dunque letta senza schematismi e con una certa capacità di prospettiva storica. A differenza di quanto si dica non è la prima volta che un partito della sinistra europea governa uno stato. E’ già accaduto in Italia, ma si potrà obiettare che il peso delle forze di sinistra era minoritario nella coalizione. Accade in diversi paesi a livello regionale o di stati federali, e anche qui si può obiettarne il carattere limitato. È tuttavia accaduto a Cipro, a livello nazionale con l’AKEL, che ha mantenuto la sua presenza nella UE e di cui onestamente pochi si sono accorti dell’esistenza, a testimonianza del fatto che permanendo all’interno di una gabbia, i propri margini di azione sono effettivamente limitati. Questo per precisare solo alcuni punti, perché in ogni caso la Grecia di oggi non riveste la stessa importanza di Cipro.

La vittoria di Tsipras e la delicata situazione greca aprono comunque una prospettiva storica importante, non in senso immediato di aspettative in sé dal Governo, quanto per gli accadimenti che a breve periodo potranno verificarsi e che devono vedere le forze rivoluzionarie preparate. Proprio per la sua natura non tutti i processi economici e politici saranno stabiliti dal governo greco, anzi. Proprio in reazione alle proposte – per quanto non rivoluzionarie, di carattere radicale che Tsipras proporrà – bisognerà valutare quali saranno le risposte della Troika e a sua volta a cosa porteranno. Come reagiranno i grandi capitali alle proposte del nuovo governo? A cosa è disposto a cedere oggi il capitale in cambio di evitare che la Grecia si trasformi nella polveriera d’Europa? Quali saranno i livelli di compromesso da raggiungere e in che modo influiranno sulla situazione della Grecia? E’ possibile pensare che strade negative aprano la porta ad una radicalizzazione ulteriore della situazione e nel qual caso quale può essere il compito delle forze di classe e come esse sono organizzate? Tsipras non è evidentemente Renzi, né un capo di stato legato alla socialdemocrazia classica. Rappresenta una nuova forma di socialdemocrazia dal carattere di sinistra che si sostituisce alla vecchia ormai logora e improponibile. Sarà quindi normale attendersi prese di posizione positive in questa situazione sia in politica interna che in politica estera, e i comunisti le sosterranno, ma resta un problema centrale.

Come in una partita in cui si scontrano le aspirazioni di diversi giocatori, non tutte le mosse sono in mano al governo. Anzi, una parte di esse è saldamente nella mani della controparte che dispone di mezzi ben più potenti. Questo è il problema centrale della politica di promettere un cambiamento e volerlo realizzare su un terreno di scontro che è scelto dall’avversario e che oggi non è congeniale neppure a cambiamenti di natura riformista specie se di carattere radicale come quelli proposti. Lo scenario greco non è astrattamente prevedibile, perché non sono del tutto prevedibili le circostanze che andranno a crearsi e che non dipendono direttamente dalle scelte del governo greco, quanto dall’azione e dalle reazioni del grande capitale e delle istituzioni internazionali. Le pressioni che si eserciteranno sulla Grecia saranno enormi: fughe di capitali, borse in fibrillazione, e potrebbero produrre anche nelle masse greche forti movimenti, alcuni dei quali potrebbero essere cavalcati anche dalle forze più reazionarie.

Syriza è un partito elettorale che non dispone di forte radicamento nel Paese. Ha avuto molti voti, con una crescita repentina a cui non corrisponde una vera e propria organizzazione di popolo alle sue spalle. Se si confrontano le piazze e le mobilitazioni di Syriza e del KKE si ha immediatamente chiara questa situazione, come se si confronta l’influenza reale in ambito sindacale, di movimento studentesco, di presenza nei quartieri delle città. Il secondo grande difetto di Syriza, è che esso promette una trasformazione radicale della società, senza porsi il problema dell’organizzazione delle masse. Così come in termini politici accetta la compatibilità con l’economia di mercato ed il sistema borghese, lo fa anche in termini organizzativi, accettando la logica del voto come partecipazione massima alla vita politica. Questo aspetto potrebbe non essere secondario se davvero si dovessero venire a produrre – anche e soprattutto non per diretta volontà del governo greco – situazioni di cambiamenti repentini e tensioni generate dai meccanismi del sistema nel quale la Grecia permane.

La scelta di Tsipras di concedere il ministero della difesa al segretario dell’ANEL  è stata una prova tangibile di questa situazione. Syriza ha preferito rassicurare gli ambienti dell’esercito, cedendo la difesa del suo governo in ottica nazionale all’alleato di destra, con vari esiti possibili per il futuro. Anche per colpa delle illusioni di Syriza il popolo greco non è preparato ai possibili scenari che potrebbero verificarsi se le trattative con la Troika non concederanno molto alla Grecia. Syriza illude il popolo greco su un possibile cambiamento in questo sistema, che potrebbe non dipendere direttamente dalle sue scelte, non si prepara ad organizzarlo fino alle estreme conseguenze, alle quali non vuole arrivare per contrarietà politica, ma che potrebbero prospettarsi come uniche possibili se la situazione dovesse precipitare.

Nel primo caso al popolo greco spetteranno le briciole e qualche illusione, nel secondo le conseguenze potrebbero essere più gravi. Per ora nessun provvedimento da una parte e dall’altra, solo annunci e mosse tecniche per preparare la trattativa e i rapporti di forza che la condizioneranno. Di certo per il popolo greco la partita è appena iniziata. E i comunisti lo sanno bene. In ogni caso un pezzo di storia passa per Atene.

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