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Immigrazione e guerra tra poveri. Da Roma a Treviso ecco come si difende il capitale.

di Federico Bongiovì*

Durante la notte tra il 16 e il 17 luglio, nel comune della provincia trevisana Quinto di Treviso, alla notizia dell’imminente arrivo in paese di circa 100 profughi, cui ne sarebbero dovuti seguire altri 60, che per volere della prefettura sarebbero dovuti essere alloggiati negli appartamenti sfitti delle palazzine di via Legnago, la popolazione, e in particolare i residenti di alcuni degli appartamenti di quegli stessi stabili, hanno reagito indicendo un presidio al fine di impedire l’entrata stessa dei rifugiati. Sull’ondata di odio razzista e fascista foraggiata dai militanti di gruppi riconducibili alla galassia di estrema destra, che sono penetrati negli appartamenti destinati ai migranti e hanno rubato alcuni pezzi di mobilio definendoli “un bottino di guerra da consegnare ai veneti colpiti dalla tromba d’aria”, i condomini poi hanno appiccato il fuoco agli arredi dei suddetti appartamenti. Non paghi di quanto commesso durante la notte, il giorno seguente, all’arrivo dei volontari che portavano viveri agli esuli, che infine erano stati ivi sistemati, alcuni esponenti dei movimenti neofascisti hanno impedito, questa volta privi dell’appoggio della folla circostante, che alcune volontarie consegnassero i pacchi di cibo.

Tali biechi comportamenti si commentano da se. Questi scontri, sostenuti e fomentati delle destre in parlamento e fuori, le quali chiamano il popolo italiano a un ipotetico scontro fra razze in difesa della Patria invasa, non sono altro che l’applicazione nella realtà dell’espressione gergale “guerra tra poveri” e rappresentano una delle armi più potenti della borghesia grazie alla quale continua a distogliere le masse dall’obbiettivo rivoluzionario, indirizzandole verso un falso nemico: l’immigrato. Le cause intrinseche che hanno portato la popolazione di Quinto ad andare a braccetto con questi rigurgiti fascisti sono da ricercarsi nelle condizioni socio economiche in cui versa questa zona del Paese.

Prima che l’attuale crisi economica iniziasse a flagellarla, la provincia di Treviso, e dunque lo stesso Quinto, possedevano un’economia improntata in larga maggioranza sui settori secondario e primario, che assicuravano, come a tutto il nord-est più in generale, una posizione non solo di benessere, ma soprattutto di crescita continua ed esponenziale, anche rispetto al resto d’Italia. Questa sostanziale ricchezza e l’abbondanza di richiesta di forza-lavoro ha attirato, fin dagli inizi degli anni duemila, un gran numero di stranieri, extracomunitari e non, che erano alla ricerca di un lavoro per sopravvivere, il quale era loro assicurato in quel periodo dall’enorme fabbisogno di manovali, poco o per nulla specializzati, degli innumerevoli impianti industriali della zona. Nonostante la crisi, il falso mito del benessere occidentale è rimasto invariato, e dunque il flusso migratorio, seppure sia diminuito, non si è mai arrestato, portando Treviso a divenire una delle province italiane con la più alta percentuale di stranieri (11,4%).

I trevigiani, però, dal 2006 a ora hanno assistito non solo a una brusca frenata della crescita industriale, ma anche e soprattutto a un’improvvisa e strutturale riduzione delle aziende operative nella zona. Citando un rapporto del mese di giugno di quest’anno dell’Economia e Società Trevigiana, organo che raccoglie le principali imprese della zona, dal 2009 al 2015 il fatturato e dunque la capacità produttiva delle aziende trevisane è diminuito di 20 punti base, e più specificatamente 1524 ditte operanti nel settore manifatturiero sono fallite, così come 1762 in quello edilizio e 2506 in quello agricolo, portando in meno di sei anni il tasso di disoccupazione dal 3,4% all’8,3%.

Gli occhi dei trevigiani, da anni governati dalle numerosissime giunte di destra e leghiste, ma anche da una sinistra borghese complice, che si è avvicinata sempre di più alle politiche razziste della destra (basta ascoltare le dichiarazioni in merito ai fatti di Quintino dell’attuale sindaco di Treviso Giovanni Manildo, PD, che dichiara: “In questo senso pur non condividendo il metodo, posso dire di capire la frustrazione (…) davanti a questi arrivi. Ci stanno rubando energie e risorse che invece vogliamo destinare alle nostre città.”) hanno visto così negli immigrati in continuo aumento la causa unica della perdita del lavoro e, più in generale, del costante peggioramento del loro stile di vita. Una dinamica iscrivibile non certo ai singoli individui, ma intrinseca al sistema capitalista come già Marx nel libro primo del “Capitale” aveva enunciato. Messa in dubbio dai socialdemocratici ed opportunisti di tutti i tempi e tutti i paesi ecco come rispondeva loro Lenin:

«I riformisti borghesi, e sulle loro orme alcuni opportunisti nelle file della socialdemocrazia, affermano che nella società capitalistica non avviene la pauperizzazione delle masse. La «teoria della pauperizzazione», essi dicono, è sbagliata: il benessere delle masse, benché lentamente, cresce, l’abisso fra gli abbienti e i nullatenenti non si approfondisce, ma sta colmandosi. Negli ultimi tempi tutta la falsità di simili affermazioni si rivela alle masse in modo sempre più evidente. Il carovita aumenta. Il salario degli operai, persino con una lotta a base di scioperi la più tenace e con il miglior esito per gli operai, cresce molto più lentamente di quanto si elevino le spese che la forza-lavoro sopporta. E accanto a questo fenomeno la ricchezza dei capitalisti aumenta con una rapidità vertiginosa. […] E i generi alimentari, il vestiario i combustibili, gli affitti, tutto è aumentato di prezzo. L’operaio si impoverisce in assoluto, diventa cioè addirittura più povero di prima, è costretto a vivere peggio, a nutrirsi con più frugalità, insufficientemente.  […] Nella società capitalistica la ricchezza aumenta con incredibile rapidità, mentre le masse operaie si impoveriscono».

Opere, vol. XVIII, Editori Riuniti 1966, pp. 418-19

 Sulla falsa riga di quanto avvenuto in Veneto, la mattina del 17 luglio a nord di Roma, in località Casale San Nicola, il pullman che trasportava 19 richiedenti asilo all’ex scuola Socrate, dove questi avrebbero dovuto ricevere alloggio, è stato bloccato da un presidio composito di manifestanti, residenti e militanti di estrema destra, che da settimane ormai appoggiano il Comitato dei residenti di Casale San Nicola nella sua battaglia contro l’accoglienza dei profughi. Le rivendicazioni dei residenti e dei neofascisti sono le medesime di quelle dei cittadini di Quinto di Treviso e possono essere facilmente riassumibili nell’espressione “l’Italia agli italiani”.

Sarebbe troppo oneroso e l’elenco risulterebbe infinito, ma episodi simili o eguali accadono quotidianamente in tutta Italia. L’humus nel quale deflagrano questi moti di ira di popolo è il medesimo: sono le periferie degradate, dove la criminalità ha preso il nome di Stato e, con la complicità di quest’ultimo, si è sostituita ad esso; sono le province più colpite dalla crisi, dove le piccole o medie aziende a gestione familiare sono fallite e gli stabilimenti delle grandi multinazionali hanno delocalizzato nei paesi in via di sviluppo, in ricerca di un minor costo del lavoro; sono infine le aree depresse, in cui la mancanza di un qualsiasi futuro spinge i giovani a lasciare la scuola e a finire direttamente fra le braccia dei movimenti di estrema destra.

È necessario spendere due parole dunque su quanto compiono i militanti delle destre, grazie alle cui azioni insieme all’operato dei media queste proteste raggiungono un nuovo picco di barbarie razzista. Costoro hanno un solo obbiettivo che è la salvaguardia ad oltranza del sistema vigente, ossia il Capitalismo, nascosto dietro la “difesa della razza”, della “Nazione” o del “popolo” a cui nel caso di Treviso, per esempio, demagogicamente intendono donare la refurtiva di quella che è una vera e propria rapina alla comunità stessa invece di colpire il reale furto perpetrato dalle classi dominanti contro i lavoratori e le masse popolari. Ciò lo dimostra ad esempio la loro stessa linea politica nei riguardi degli immigrati, che non creano problemi ai loro occhi quando i padroni li schiavizzano nei campi, durante la raccolta dei pomodori, o nei capannoni dove, cucendo capi per costosi marchi d’alta moda, muoiono bruciati vivi, ma che immediatamente divengono la causa unica della sofferenza sociale quando anch’essi alzano la testa e chiedono un uguale trattamento, facendo così il primo passo per uscire da quella massa di lavoratori sottopagati e schiavizzati da cui la borghesia attinge impunemente e a piene mani per i propri interessi.

Le destre, siano esse estreme o appartenenti all’ala moderata, in generale confermano ancora una volta la natura di cani da guardia dei ceti dominanti, dei padroni, del Capitale. Esse, allo scopo di continuare a raccogliere proseliti e a conquistare o mantenere ruoli di potere, perseverano nello sfruttare i drammi sociali e familiari del popolo, vendendo merda e odio come soluzione. La povertà in cui gran parte del popolo versa e in cui sempre più persone si troveranno non è causata dal migrante, come continuano a blaterare dai loro circoli i neofascisti, ma è figlia del sistema stesso. Soltanto smascherando costantemente le “teorie” fasciste da un lato e contrastando allo stesso modo quel buonismo cosmopolita diffuso in molti ambienti anche della sinistra “radical chic” si potrà convogliare quella rabbia popolare, sacrosanta, ed indirizzarla contro l’unico e vero nemico: il capitale e i suoi lacchè.

* militante FGC, studente del liceo C. Botta.

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