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Baby ricchi: i figli di papà della “Roma bene” tra sperperi e odio di classe.

*di Enrico Bilardo

La capitale d’Italia è storicamente caratterizzata da una contrapposizione nettissima tra i quartieri ricchi, della cosiddetta “Roma bene” e i quartieri periferici, le cosiddette “borgate”. Questa contrapposizione si riflette su ogni elemento della quotidianità di ogni giovane, di ogni cittadino. E’ una contrapposizione che si respira per le strade, rafforzata anche dai fortissimi vincoli identitari che spesso si sviluppano nei confronti del proprio territorio di appartenenza. Negli ultimi giorni, la nuova trasmissione di Michele Santoro, “Italia”, ha evidenziato in maniera importante, tramite un reportage chiamato evocativamente “Babyricchi”, questa contrapposizione, mettendo in luce come sia vissuta in maniera viscerale sia dai giovani delle classi popolari sia dai coetanei dei quartieri ricchi. Il quadro che ne esce risulta a dir poco drammatico. Oltre ad un’enorme differenza socio-economica emerge un totale disorientamento ideologico, esistenziale si potrebbe dire, che caratterizza purtroppo entrambe le “categorie” mostrate.

Procedendo con ordine, il servizio inizia mostrando la realtà della “Roma bene”. Subito l’atmosfera appare a dir poco grottesca, con adolescenti che ostentano tutta la loro ricchezza in maniera totalmente fine a se stessa, mostrando le modifiche apportate alle proprie “microcar”, costate diverse decine di migliaia di euro, i propri accessori e i propri lussi. Il tutto viene accompagnato da dichiarazioni che hanno del surreale: molti ragazzi affermano di non aver mai preso un mezzo pubblico, di darsi allo sperpero in nome di una non ben definita “libertà” con il chiaro benestare delle varie famiglie. La tragicomica rappresentazione culmina nell’espressione di quello che si può definire – senza troppi giri di parole – vero e proprio “odio di classe” nei confronti di coloro che non possono godere dello stesso tenore di vita. I ragazzi si definiscono come persone “altolocate” che non hanno nulla a che spartire con i “plebei” delle borgate, privi di stile, di buon gusto, meritevoli di disprezzo in virtù della loro estetica. Dulcis in fundo, viene mostrato come molti di questi giovani ragazzi facciano parte di formazioni neo-fasciste che, in preda a un vero e proprio delirio ideologico, inneggiano all’ “anticapitalismo” dai sedili in pelle delle proprie microcar, per poi affermare che in realtà non esistono differenze tra ricchi e poveri e che vi sia la necessità di difendere le piazze e la città ( non si capisce bene da chi o da che cosa) fisicamente, scacciando con le buone o le cattive tutti coloro che non vengono evidentemente ritenuti degni di condividere gli spazi e l’aria di questi personaggi dell’ “alta nobiltà” romana.

Se da una parte questi grotteschi individui giustificano le loro azioni con presunte lotte a fenomeni criminali come lo spaccio, viene mostrato come spesso e volentieri gli stessi ragazzi della Roma Bene si ritrovino a trafficare droga in qualsiasi ambiente. Gli istituti privati, dove spesso questi ragazzi vengono mandati dai genitori, disposti a spendere migliaia di euro pur di garantire ai figli un diploma, diventano vere e proprie zone di spaccio, con professori impotenti dinanzi al contributo economico delle famiglie e ragazzi che si danno alla criminalità senza nemmeno avere una necessità economica che possa in qualche modo “giustificare” tale scelta. Lo spaccio, lo sballo, vengono semplicemente visti come attività in grado di ammazzare il tempo nel contesto di una situazione totalmente alienante e distaccata dalla concreta realtà contro cui deve combattere quotidianamente la maggior parte della popolazione.

Si passa poi alla rappresentazione del punto di vista dei giovani delle borgate. Purtroppo il quadro migliora solo in parte. Emerge subito un chiaro sentimento di contrapposizione nei confronti dei coetanei più ricchi, che guardano con disprezzo dall’alto al basso. I ragazzi di periferia si rendono conto di non avere nulla di meno, semplicemente di vantare una provenienza sociale diversa, il che non può essere certamente un merito o un demerito. Tuttavia qua emerge il vero trionfo delle classi dominanti, probabilmente evidenziato in maniera strumentale dal taglio giornalistico. Il sentimento che sembrerebbe provenire dai ragazzi più “poveri” è l’invidia, la volontà di porsi allo stesso livello dei coetanei della “Roma Bene” omologandosi al loro immaginario, alla loro estetica, alla loro condizione sociale. Emerge in maniera chiara un disprezzo maggiore nei confronti degli stranieri, con cui si è costretti a condividere i mezzi pubblici e il contesto sociale, rispetto a quello che viene provato nei confronti di chi ogni giorno sbeffeggia la condizione altrui ostentando il proprio ingiustificato lusso. La stessa sensazione di “alterità” che i cosiddetti “pariolini” affermano di percepire nei confronti dei coetanei delle classi popolari, con frasi come “noi semo diversi”, “siamo gente piuttosto altolocata”, viene provata dai giovani delle classi popolari non nei confronti di chi colpisce con disprezzo, ma nei confronti di chi è costretto a subire in maniera ancor più marcata le insostenibili contraddizioni di questi sistema economico.

Da una parte e dall’altra ci si rinchiude in un profondo e nichilistico individualismo: mentre i giovani della “Roma bene” vivono con il fine dell’ostentazione, che si concretizza nel lusso più sfrenato, nel continuo dispendio di soldi in accessori, macchine, droghe o trattamenti estetici, i giovani delle classi popolari vengono abituati a pensare che la riuscita della loro vita possa passare solo da un’improbabile ascesa sociale, che garantisca loro la possibilità di godere di tutti quei lussi di cui devono subire l’ostentazione, che possa permettere loro di accedere ai territori e alle piazze della Roma bene senza sentirsi necessariamente “diversi”. Il dominio dell’ideologia dominante viene perfettamente rappresentato da questo spaccato della gioventù romana.

I comunisti in un contesto del genere hanno un ruolo piuttosto chiaro: evidenziare come non possa essere un obiettivo omologarsi all’atteggiamento parassitario di individui che sono stati semplicemente più “fortunati” e che non esitano nel mostrare tutto il proprio disprezzo nei confronti di coloro che non si sono ritrovati nella stessa posizione. In una situazione del genere non si può che contraccambiare l’odio di classe, affermare la propria “alterità” radicale, che si concretizza non nel voler raggiungere gli stessi standard di vita lasciandosi tutti gli altri alle spalle, ma nel cercare di cambiare concretamente la società, rimediando alle ingiustizie, facendo in modo che non ci sia nessuno nella posizione di potersi sentire “altolocato” rispetto a qualcun altro. Non vi è invidia e non vi è sentimento di emulazione che possa essere provato nei confronti di chi sputa quotidianamente con i propri sperperi sulla tragica situazione della stragrande maggioranza dei giovani.

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