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Esclusione dai mondiali, quali sono le cause e cosa si puo’ fare?

*di Antonio Viteritti

Dopo la sconfitta nello spareggio per la qualificazione al mondiale di Russia 2018 sulla stampa si sono lette varie analisi sulle ragioni della disfatta. Proviamo a dare la nostra visione, che vuole essere un ragionamento complessivo e propositivo sul calcio in Italia. L’eliminazione da questo mondiale è frutto di errori nelle scelte tecniche del Ct, ma nonostante ciò non si può certo dire che il calcio italiano sia in salute. Anche se avessimo staccato il pass per il mondiale sarebbe assurdo pensare che la nostra nazionale, per quanto di buon livello, potesse ambire a posizioni d’onore ed è altrettanto assurdo pensare che potremmo farlo in futuro. Questo perché il sistema calcio nel nostro paese da un lato è immobile, con sempre le stesse persone a dirigere e comandare negli organi federali, nell’interesse di conservare lo status quo e gli interessi delle grandi società, dall’altro è proiettato sempre più verso il calcio moderno, nel quale non serve che i giocatori si divertano o che si accenda la passione dei tifosi, ma conta esclusivamente il business.

Il processo di trasformazione del calcio in un business, che negli ultimi anni ha subito un’accelerazione, è un grosso danno per la nazionale e per i club perché ormai non contano più i risultati sportivi, la storia, l’onore di un club e la possibilità di far emergere nuovi campioni ma esclusivamente la capacità di trasformarsi in un brand commerciale, conquistare nuovi mercati, nuovi tifosi disposti a spendere e maggiori diritti TV. Quest’ultimi possono aiutare a comprendere perché la Serie A sia diventata meno competitiva, con sempre le stesse squadre ai vertici e l’incapacità delle piccole società a costruire progetti sportivamente vincenti o stabili. Infatti con il modello attuale di divisione dei proventi dei diritti Tv, la maggior parte finiscono nelle casse delle Big, mentre alle piccole rimangono solo le briciole, insufficienti per allestire squadre competitive o anche solo capaci di fare un campionato dignitoso. In questo modo le grandi mantengono la propria competitività e impediscono di colmare il gap con le piccole, rendendo questo sistema così svantaggioso per queste ultime che per esse è paradossalmente più conveniente la retrocessione grazie al premio paracadute. Inoltre, La riforma dei diritti Tv che è alle porte promette maggiore equilibrio economico per le società di serie A, in modo da migliorare la competitività del campionato, ovvero vendere meglio il prodotto-calcio, ma la situazione nelle leghe inferiori rimane invariata, con numerosi fallimenti di società storiche fra Serie B e Serie C, ultimo il Modena. In un calcio asservito ai soldi se non hai appeal per vendere il prodotto-squadra non bastano la storia e il calore dei tifosi a salvarti e ai grandi club non serve necessariamente vincere per fare profitto, basta vedere il modello Arsenal, più interessato a fare profitto che ha vincere trofei. Di questo calcio moderno le vere vittime sono i tifosi, divenuti clienti da conquistare in modo che per la loro passione si facciano spremere.

Il problema del calcio italiano però non risiede solamente nel suo asservimento alle logiche di mercato o nella struttura stessa della FIGC, dove veri e propri burocrati fanno il buono e il cattivo tempo senza che il loro potere possa essere scalfito, ma anche nel modello calcistico vero e proprio. Innanzitutto non esiste più quel calcio romantico che giocavamo da ragazzini per le strade di paesi e quartieri popolari, oggi se vuoi giocare a calcio devi iscriverti ad una scuola calcio, che nella maggior parte dei casi sono fuori dalla portata delle famiglie proletarie. Inoltre, anche fra i ragazzini che tirano i primi calci ad un pallone ormai “vincere è l’unica cosa che conta”, non si gioca più per fare sport o per divertirsi, ma per diventare campioni, per emergere e per fare soldi. Così facendo si crea una competizione marcia fra i ragazzi, specchio di questa società individualista, che non ha nulla a che fare con i valori che lo sport dovrebbe trasmettere. Emerge però non solo il ragazzo talentuoso, ma soprattutto chi anche da giovane riesce a permettersi un procuratore, che assicura stage presso grandi squadre e quindi maggiori possibilità di essere notati. D’altro canto le società, sempre alla ricerca di nuovi talenti, non si curaro di coltivare i giovani dei propri vivai, ma li bruciano incentivando ancora di più questa malsana competizione. Nell’analizzare il mondo del calcio non dobbiamo solo limitarci ad osservare le strutture federali o i giocatori, ma dobbiamo prestare attenzione anche alle condizioni di lavoro delle varie figure tecniche, come ad esempio i preparatori atletici, che nella maggior parte dei casi lavorano in nero e sottopagati o addirittura gratis in cambio di esperienza, svolgendo mansioni che sottraggono tempo, senza la giusta retribuzione e che finiscono per svolgere senza più passione per questo sport e per ciò che fanno.

Oltre ad analisi sulle cause della sconfitta, ognuno ha provato ad avanzare le proprie proposte. Sicuramente sono condivisibili anche se utopiche quelle che chiedono un rinnovo completo degli organi dirigenti della FIGC, anch’essi espressione dell’interesse delle Big a conservare il proprio strapotere e a vedersi concedere sempre più vantaggi. Proprio per questo un uomo come Tavecchio, non certo all’altezza, è presidente della FIGC e non si dimetterà, nonostante le richieste da più parti. C’è anche chi come Salvini e la Meloni hanno approfittato della sconfitta per muovere l’ennesimo attacco allo Ius Soli, affermando che la colpa della sconfitta è dei troppi immigrati presenti nel nostro calcio e chi, di contro, ha sostenuto che per rilanciare il calcio nazionale dovremmo approvarlo, sul modello di Francia e Germania, che così facendo hanno rifondato le loro nazionali rendendole estremamente competitive. Il ragionamento delle destre è estremamente ridicolo innanzitutto perché gli “stranieri” che hanno giocato lunedì sera erano solo 2 e sono stati fra i migliori in campo e, inoltre, perché un campionato non è competitivo solo se vi giocano giocatori di quel paese, basti vedere la Premier League che è il miglior campionato al mondo e vi giocano alcuni fra i migliori giocatori al mondo. Di contro, anche il ragionamento che vede nello Ius Soli la soluzione per rilanciare il calcio italiano è errato, innanzitutto perché va messo in discussione l’attuale sistema calcistico e non certo va adottata una misura di tamponamento come questa, e poi perché essa rafforza nazionali come Francia e Germania sottraendo giocatori di talento ai paesi originari, che sono spesso africani, est europei o mediorientali, che scelgono di giocarvi principalmente per soldi più che per spirito di appartenenza al Paese di adozione (ad esempio le nazionali europee pagano le convocazioni, quelle africane invece no.)

Da ciò risulta evidente come il calcio italiano viva una profonda crisi, dalla quale si può uscire solo con un cambio radicale. Innanzitutto bisogna cambiare l’atteggiamento dei club nei confronti della nazionale, che più volte la criticano per le convocazioni o per la gestione dei loro giocatori, arrivando anche ad inventare lievi infortuni per evitare che questi giochino le partite di scarso rilievo, ma soprattutto bisogna cambiare la gestione dei giocatori. Infatti molti giovani talenti sono bruciati a causa della mancanza di fiducia delle società in loro e dall’eccessiva competitività alla quale sono sottoposti. I più grandi club sono proprietari dei cartellini di migliaia di giocatori sparsi per i campionati italiani ed esteri, che vengono acquistati fin da ragazzini, inseriti nelle primavere e ceduti o mandati a girovagare senza dargli la possibilità di dimostrare il proprio talento, tanto si può sempre trovarne un altro che prenda il loro posto. Così facendo si impedisce a questi giovani talenti di crescere e maturare, finendo spesso per bruciarli ancora prima di dargli una reale possibilità, lamentandosi poi della mancanza di giocatori talentuosi! Ma non basta fare ciò, bisogna stravolgere gli organi della FIGC, inserendo persone con passione per questo sport e che non si lascino corrompere e influenzare. Infine bisogna cambiare anche il sistema delle scuole calcio, che devono essere popolari, permettendo anche a chi non può permetterselo di giocare a calcio, ed eliminare una figura parassitaria come quella del procuratore, gente che specula sul talento dei giocatori ed è interessata più agli introiti economici che ai risultati sportivi dei propri assistiti.

Il processo di ricostruzione della nazionale non può non passare da un cambio radicale nel calcio italiano, bisogna eliminare il business e ripensare il sistema calcio, dalle giovanili alla massima serie, dando spazio alla passione ed educando i ragazzi ad una cultura dello sport che sia aggregativa e non individualista, mettendo al primo posto la passione e il divertimento e non la brama di emergere.

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