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La lotta della gioventù palestinese oltre il conflitto inter-religioso

di Agostino Alagna

Grandi manifestazioni infiammano l’intero territorio Palestinese, così come i quartieri arabi nel territorio occupato da Israele, dall’inizio di ottobre. Il popolo della Palestina continua a manifestare in tutta sincerità la sua rabbia contro la brutale realtà dell’occupazione e il silenzio assordante della cosiddetta comunità internazionale. La regione Mediorientale è da sempre centro di permanenti conflitti tra le principali potenze imperialiste per via della posizione strategica, la quale permette di controllare flussi di idrocarburi e vie di trasporto e della abbondante presenza di risorse di gas e petrolio. Israele, storico alleato degli USA anche se non senza contraddizioni, ha una posizione e un ruolo centrale, di maggiore potenza nella regione. Il permanente conflitto israelo-palestinese non è quindi estraneo all’infuocato quadro internazionale, dove tutte le potenze imperialiste sono interessate ai vasti giacimenti di gas nel Mediterraneo, alcuni di recente scoperta, situati nelle acque e territori disputati, così come al rafforzamento delle proprie posizioni geopolitiche e geo-strategiche nell’ampia regione crocevia di tre continenti (Africa, Asia e Europa). In questo contesto, Israele sfrutta i favorevoli rapporti di forza internazionali per soffocare le aspirazioni del popolo palestinese con la complicità delle stesse autorità borghesi palestinesi, la cui natura di classe non è fondamentalmente diversa nella ricerca di accordi e compromessi.

Mentre “studiosi” e “analisti” discutono se la serie di attacchi all’arma bianca contro coloni e soldati israeliani possa essere definita o meno come una “Terza Intifada” le masse popolari tornano a far sentire il loro grido contro l’occupazione sionista. Decine di azioni sono stati portate avanti da giovani palestinesi, quasi sempre freddati efferatamente della forze israeliane che stanno assumendo come prassi quella di neutralizzare qualsiasi arabo, uomo o donna, di qualunque età che porti un coltello senza nemmeno tentarne l’arresto, facendosi giudici e boia, sicuri dell’impunità garantita loro dal governo. Il bilancio tocca oggi quota Sessantanove morti, tutti giovani di cui buona parte minorenni, alcuni caduti per l’inalazione di lacrimogeni, altri sotto i colpi della brutale risposta delle guardie di frontiera e della polizia israeliana nel tentativo di disperdere le manifestazioni ai confini dei territori palestinesi. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, soffiando sulle fiamme dello sciovinismo israeliano, ha recentemente dichiarato alla Knesset che “queste azioni provengono dal desiderio di distruggere Israele e non dalla disperazione del popolo palestinese”, precedentemente il sindaco di Gerusalemme aveva invitato i cittadini ad uscire di casa armati esacerbando gli animi e legittimando la violenza delle frange sioniste più radicali.

Mentre nel paese le forze sioniste fomentano la psicosi totale anti palestinese, il governo israeliano schiera migliaia di soldati e forze di polizia ai confini con Gaza e la Cisgiordania, così come nei quartieri arabi, veri e propri ghetti per il proletariato palestinese che vive sotto l’occupazione. L’establishment israeliano, ed in particolare il primo ministro Benjamin Netanyahu, si dicono pronti ad usare il “pugno di ferro” per reprimere la sollevazione della gioventù della Palestina, protagonista indiscussa di questa nuova ondata di proteste, e del popolo stremato da decenni di occupazione, assassinii, privazioni, bombardamenti, arresti sommari e torture. Nel suo comunicato di metà ottobre l’Unione dei Giovani Progressisti Palestinesi (giovani del FPLP) chiamando a rafforzare la sollevazione popolare e l’azione di massa, dichiarava: “In questo momento, quando le orde di coloni terroristi stanno invadendo e chiudendo le strade della Cisgiordania occupata, mentre l’esercito di occupazione circonda Nablus e Gerusalemme con le sue truppe e agenti d’intelligence, assediando paesi e villaggi, sorgono gli eroi della Palestina, il fior fiore della gioventù palestinese, lottando nel cammino glorioso della liberazione, seguendo la chiamata che ha ereditato dai suoi genitori e nonni. E’ il messaggio sollevato dai giovani palestinesi Diaa Talahemh, Muhamad Al-Halabi, Fadi Alloun, la cui carne e sangue sono stati versati dall’occupante e i suoi coloni assassini, lottando per la Palestina e il suo popolo. Diaa si ribellò, Muhamad si sacrificò, Fadi è stato martirizzato, mentre Qais al-Saadi e i suoi compagni hanno resistito a Jenin affrontando l’attacco dell’occupazione. Le strade di Gerusalemme palpitano con un nuovo orgoglio e onore palestinese attraverso i figli e le figlie di Issawiya e Jabal Mukabber e di tutta la nostra città lanciando le sue pietre e molotov con le loro mani, ribellandosi con le loro vite. Nablus, la Montagna del Fuoco, fronteggia l’occupante e sfida il suo assedio, unita al suo popolo e al suo eroismo. Questa è una battaglia per la libertà e la dignità, la battaglia di tutti, una battaglia che fa vergognare gli occupanti e umilia il suo esercito, una battaglia che si libera con le fiamme della rivoluzione e la costanza in tutta la Cisgiordania, affrontando e superando coloro che svalutano la nostra vita, rubano la nostra terra e dignità, e bruciano i nostri figli e le nostre persone vive. […] Università, scuole, istituzioni, centri giovanili, sindacati di donne, vicini e comitati popolari dei villaggi e accampamenti, club sportivi e tutta la nostra gente negli accampamenti e nella diaspora, un popolo con una causa, sono chiamati a partecipare nelle attività del sollevamento popolare, mobilitare e approfondire tutte le sue capacità in appoggio alla sollevazione e alla sua continuità”.

Dopo aver risposto al lancio di alcuni missili da Gaza (distrutti dal sistema di sicurezza anti missilistica) Israele ha bombardato obiettivi nel territorio palestinese, rispolverando metodi di repressione da Terzo Reich, quali la distruzione delle case degli “attentatori” e la totale chiusura dei quartieri arabi, fino ad arrivare al rifiuto di consegnare le salme dei palestinesi uccisi alle proprie famiglie.

Quella che viene strumentalmente designata oggi dalla stampa borghese come causa delle rivolte in generale, cioè l’irruzione violenta di alcuni uomini della polizia israeliana all’interno della Moschea di Al Aqsa e le controversie sulla Spianata delle Moschee, altro non è che la punta dell’iceberg delle lotte e delle rivendicazioni del popolo ed in particolare della gioventù palestinese. Identificare quello che sta accadendo oggi come una serie di rivendicazioni di tipo religioso significa soltanto fare il gioco della propaganda israeliana. Lo Stato Sionista ha demolito 17.000 case di palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme negli ultimi tre anni con lo scopo di cacciarli dalle loro terre e dominare sulle risorse naturali del paese, continua lo stato d’assedio di Gaza che perdura da 9 anni in cui Israele ha condotto 3 criminali guerre, di cui l’ultima nel 2014 ha causato 2.500 vittime civili, la distruzione di 3.000 case, centri sanitari e scuole. 800.000 palestinesi sono stati incarcerati da Israele dal 1967 ad oggi, 52.000 palestinesi si trovano deportati nelle carceri israeliane dove la tortura è di regola, 7.500 bambini palestinesi sono stati incarcerati negli ultimi dieci anni. I cosiddetti “ragazzi dei coltelli” sono i figli, i nipoti e i fratelli degli umiliati e assassinati nella pulizia etnica sionista.

La sollevazione a cui stiamo assistendo ha radici profonde, essa è la manifestazione della sincera rabbia di una nuova generazione di palestinesi vissuta sotto l’opprimente cappa degli accordi di Oslo e ingannata da quell’élite politica borghese palestinese che ha beneficiato dello status quo. Mentre le principali fazioni politiche chiamano ai “Venerdì della Rabbia”, a scontrarsi con l’esercito e la polizia, restano ben distanti dalla base delle proteste, incapaci di inquadrarle in un orizzonte politico più ampio e di rivendicazioni reali, di conferire loro una strategia che non sia esclusivamente quella di mandare al macello la gioventù in scontri di strada tragicamente impari con le forze di occupazione. Nella sua dichiarazione a sostegno della sollevazione popolare contro l’occupazione, il Partito Comunista Palestinese sottolinea come “gli avvenimenti nell’arena palestinese riflettono una eroica azione di resistenza che è l’inizio di un focolaio della terza intifada […] che mostra i sacrifici subiti dal nostro popolo per rispondere all’occupante usurpatore e alle sue truppe di coloni. E’ stato provato al nostro popolo che gli accordi di Oslo hanno portato ad una vera catastrofe per il diritto del nostro popolo e la sua giusta causa”; nell’ambito del recente incontro con una delegazione internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, svolto a Ramallah, il PC Palestinese ha indicato che “il popolo palestinese soffre la divisione politica, la giudaizzazione di Gerusalemme, l’accaparramento delle terre, le pratiche del razzismo fascista che sono il risultato del nocivo accordo di Oslo” accusando l’attuale politica verso la causa palestinese da parte dell’Autorità Palestinese, incapace di “prendere delle decisioni per la sua condotta, incapacità che colpisce i principi fondamentali del nostro popolo”. I comunisti palestinesi (che subiscono la pesante repressione anche da parte dei servizi di sicurezza palestinesi) propongono la costituzione di “Comitati Popolari di Difesa” nelle città e villaggi palestinesi sulla base della vincente esperienza della rivolta dell’87 e accusano l’Autorità Palestinese di esser nelle mani della classe borghese palestinese che rende asservita l’economia palestinese a quella israeliana, in base agli accordi sottoscritti con la borghesia israeliana per lo sfruttamento della classe operaia palestinese che produce abbondante plusvalore nelle industrie israeliane. Rifiutando il settarismo religioso, gli accordi di Oslo e la “soluzione” dei “2 Stati”, il PC Palestinese considera come alternativa all’attuale situazione la costruzione di uno Stato di Palestina, Indipendente, Democratico e non Settario, come primo passo della costruzione della società socialista contro la borghesia sia israeliana che palestinese, visto che entrambi condividono gli stessi anti-popolari interessi economici e politici.

Assistiamo oggi all’ennesima escalation della repressione israeliana contro la classe operaia palestinese e al massacro, pienamente appoggiato dall’opinione pubblica e più o meno supportato anche da quelle fazioni israeliane “progressiste” che oggi invitano alla calma, di decine di giovani cinicamente assassinati per le strade mentre con i loro attacchi solitari e spontanei sancivano il fallimento della politica arrendevole dell’establishment politico. Esprimiamo oggi la nostra solidarietà internazionalista alla lotta del popolo della Palestina, rigettando ogni strumentalizzazione di natura religiosa della sincera espressione di rabbia popolare contro l’occupazione del territorio e la segregazione del popolo della Palestina.

Nessuna pace con l’occupatore sionista e i suoi piani imperialisti nella regione!

A fianco della gioventù palestinese fino alla vittoria.

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