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L’esempio di Ferruccio Nazionale, caduto antifascista a 22 anni

*di Ivan Boine

ferruccio-2“Aveva tentato con le armi di colpire la Decima”. Questa la scritta sul cartello messo al collo del cadavere penzolante di Ferruccio Nazionale, giovane operaio e partigiano impiccato 73 anni fa dalla Xª Divisione MAS a Ivrea (provincia di Torino) nella piazza del municipio, che oggi porta il suo nome. La storia di Nazionale è una storia come tante altre, la storia di un giovane che decide di prendere le armi e combattere contro la dittatura fascista e l’occupazione tedesca, decisione che lo porta al sacrificio estremo in nome della libertà e della costruzione di un mondo diverso.

Non sono molte le informazioni su Ferruccio Nazionale, ma dalle poche che abbiamo possiamo facilmente capire chi fosse. Ferruccio nasce nel 1922 a Biella, figlio di Giovanni, operaio tessile, e di Linda Mussatti, casalinga. Cresciuto a Ivrea, dove la famiglia si era trasferita in cerca di lavoro, Ferruccio mostra da subito uno spirito ribelle. Diventa anche lui, come il padre, operaio. È proprio la fabbrica il luogo dove i giovani come Ferruccio, che vivono sulla propria pelle lo sfruttamento padronale di cui il fascismo è il massimo difensore, maturano la scelta di combattere contro il fascismo per costruire una società nuova sulla base delle rivendicazioni della tradizione operaia.

Nella primavera del 1944 Ferruccio decide di aderire alla lotta armata e si unisce ai partigiani canavesani inquadrati dal Partito Comunista nella 76ª Brigata Garibaldi – nella quale combattevano già alcuni suoi amici – sotto il comando di Oreste Ferrari (Tin) e di Attilio Tempia (Bandiera I). Il suo nome di battaglia sarà “Carmela”.

piazza-ferruccioLa 76ª Brigata opera tra la Valchiusella e le campagne intorno a Ivrea, diventando una vera e propria spina nel fianco dei repubblichini e dei nazisti, soprattutto grazie al grande sostegno popolare di cui gode. Per queste ragioni nell’area del Canavese viene dislocata la Xª Divisione MAS, reparto dell’esercito italiano che dopo l’8 settembre aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Nel fare pressioni sulla popolazione eporediese si distingue don Augusto Bianco, cappellano militare, che sfrutta la sua autorità religiosa per affiancare al timore della violenza fisica il timore di Dio – con risultati molto efficaci, visto che la stragrande maggioranza delle persone è cattolica. In questo modo il sostegno popolare ai partigiani diminuisce sotto i colpi dell’oppressione della Decima. Per queste ragioni la 76ª Brigata individua nel prete fascista un ostacolo da eliminare a tutti costi. Si tratta di un’azione molto rischiosa, da compiersi in città alla luce del giorno, un’azione molto più simile alla guerriglia urbana dei Gruppi d’Azione Patriottica (GAP) che alla guerra di montagna delle Brigate. Viene scelto proprio Ferruccio, o meglio Carmela, per il coraggio dimostrato in numerose azioni nelle valli: se la sua spericolatezza è stata tenuta a freno dai comandanti partigiani per esigenze di disciplina militare, è proprio di essa che la Brigata ha bisogno per l’uccisione di don Bianco.

Il mattino del 29 luglio 1944, don Augusto Bianco, scortato dai repubblichini, cammina per strada impartendo benedizioni ai passanti. Nazionale, uno di loro, improvvisamente estrae dalla giacca una bomba ma viene bloccato da un militare prima di riuscire a innescarla. Gli uomini della Decima gli si gettano addosso, iniziano a pestarlo e lo trascinano in caserma, dove infieriscono sul giovane ormai morente. I fascisti legano al collo del ragazzo il cartello sopracitato e impiccano il cadavere nella piazza del municipio, costringendo la popolazione a guardare affinché capisse che chi avrebbe osato lottare contro l’oppressione avrebbe fatto quella fine. A guerra conclusa la Repubblica Italiana assegnerà a Nazionale la Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla Memoria.

La maggior parte dei partigiani nella Lotta di Liberazione era costituita da giovani lavoratori, operai e contadini, eredi diretti della tradizione del movimento operaio italiano, del Biennio Rosso represso dalle squadre fasciste in difesa degli interessi padronali. Proprio durante la Resistenza migliaia di giovani compresero il legame tra il fascismo e le contraddizioni della società capitalista. Compresero che per creare una società nuova fondata sul potere popolare e sulla giustizia sociale bisognava superare proprio le contraddizioni del capitalismo, quelle contraddizioni che avevano favorito il fascismo e la sua scalata al potere.

Questo è l’insegnamento più importante che ci lasciano i giovani partigiani come Ferruccio Nazionale. Oggi vediamo avanzare nelle periferie e radicarsi tra i giovani delle classi popolari diverse organizzazioni di estrema destra che si rifanno all’esperienza fascista. Di fronte ai numerosi appelli all’unità delle forze antifasciste, appelli spesso promossi da quegli stessi partiti (o da organizzazioni giovanili legate ad essi) che quotidianamente attaccano i diritti dei lavoratori e delle classi popolari, dobbiamo opporre l’esempio e l’insegnamento che ci hanno lasciato i partigiani. L’unico modo per contrastare la cosiddetta “destra sociale” neofascista è lottare contro il sistema che genera e utilizza come sua difesa il fascismo, è lottare contro il capitalismo, contro questo stato di cose. Tutto il resto sono solo parole al vento.

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