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“The Founder” e il mito della scalata sociale

*di Lorenzo Vagni

In queste ultime settimane nelle sale cinematografiche italiane è stato proiettato “The Founder”, film che racconta la storia vera di Raymond Kroc, imprenditore statunitense che da semplice venditore di frullatori ed accessori domestici di scarso successo, nel giro di pochi anni diventa proprietario della più grande catena di fast food e ristorazione al mondo: McDonald’s.

La vicenda è ambientata negli Stati Uniti del 1954. Venendo casualmente a conoscenza del successo di un piccolo locale nella città di San Bernardino, in California, ideato e gestito da due fratelli, Richard e Maurice McDonald, e impressionato da un metodo di preparazione dei pasti e di servizio al cliente completamente nuovo per l’epoca, Kroc riesce a subentrare ai fratelli nella gestione del marchio, aprendo nuove filiali in tutti gli Stati Uniti, fino ad estromettere definitivamente i due fratelli attraverso un’operazione di compravendite immobiliari dei terreni e degli immobili sui quali sorgevano i locali. Insomma, la trama è quella tipica dei film che narrano le storie di imprenditori di successo che riescono nella scalata sociale.

Tralasciando il fatto che con questo film viene presa a modello una multinazionale che non gode di certo di buona fama per il trattamento dei propri dipendenti (forse gli studenti che saranno spediti a lavorare presso questa azienda ne avranno un assaggio…), è possibile fare alcune riflessioni sul messaggio sociale che questo genere di film trasmette ai giovani.

Un concetto ripetuto incessantemente in The Founder, e che più in generale costituisce un leitmotiv per questo genere di film, è che il segreto per l’affermazione economica e sociale sarebbe la perseveranza, elemento indispensabile, persino più importante dell’istruzione, in quanto, a detta di Kroc, esistono cretini istruiti. La perseveranza permetterebbe perciò a chiunque abbia una qualche intuizione, o semplicemente un pizzico di fortuna, di sfondare negli affari e nella vita. Tale tesi è sostenuta anche da molti strenui difensori del sistema economico capitalistico, secondo i quali la mobilità sociale permetterebbe anche al figlio di un operaio o di un qualsiasi lavoratore, purché dotato delle necessarie qualità, di ascendere la scala sociale, e di ottenere una posizione di tutto rispetto nella comunità.

È davvero così? Veramente nel sistema in cui viviamo basta un po’ di perseverenza e di intuizione per realizzarsi? È realmente possibile trarre conclusioni di questo tipo decontestualizzando un singolo esempio dal periodo storico e dalle condizioni economiche che lo caratterizzano? Chiaramente no. Ad esempio, riferendoci a The Founder, la catena di ristorazione McDonald’s non avrebbe avuto lo stesso successo se le vicende descritte nel film fossero accadute anche solo 10 anni prima; una così rapida espansione delle filiali sarebbe avvenuta con difficoltà molto maggiori se gli Stati Uniti degli anni ’50 non fossero stati nel pieno di un boom economico ed edilizio; infine Kroc non avrebbe potuto acquistare gli immobili e i terreni sui quali erano stati costruiti i ristoranti senza un’adeguata condizione economica precedente.

Altro tema che merita un’analisi accurata è quello dell’individualismo. Il messaggio che passa con film di questo genere è che solo chi è senza scrupoli, negli affari come nei rapporti sociali, può veramente arricchirsi o in generale avere successo, e che la vita sarebbe nient’altro che una lotta sfrenata contro il resto del mondo. Emblematica a tale proposito è una frase del protagonista del film, che giustificando le proprie macchinazioni afferma che “gli affari sono guerra. […] Se il mio avversario sta affogando io mi avvicino e gli verso l’acqua direttamente in bocca“.

Oltretutto questo messaggio giunge in un contesto sociale che spinge sempre di più le nuove generazioni verso l’isolamento e l’individualismo in ogni ambito, dallo studio, al lavoro, allo sviluppo della propria personalità, fino alle stesse relazioni sociali. Al contrario, la sola consapevolezza che i giovani e i lavoratori devono avere è che rinchiudersi nell’individualismo non porterà, tranne che per pochissimi privilegiati e sfruttatori, ad un miglioramento della propria condizione. Per usare le parole di Marx, “lo sviluppo di un individuo è condizionato dallo sviluppo di tutti gli altri“. Infine, quanto senso ha celebrare il mito della “scalata sociale” in un sistema fondato sullo sfruttamento, in cui, scalata sociale o no, i diritti della maggior parte della popolazione sono negati nel nome del profitto privato di un pugno di persone? L’unica “perseveranza” che i giovani lavoratori devono avere è quella di andare avanti nelle proprie lotte contro un sistema che non porterà ad altro che allo sfruttamento e alla compressione dei propri diritti.

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