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La crisi della piccola impresa

di Tiziano Censi

E’ cominciato il 2014 e come ogni anno economisti e governi si destreggiano in acrobatiche quanto fantasmagoriche previsioni di ripresa economica per l’anno che verrà. Sarà dunque il 2014, secondo il Fondo monetario internazionale, l’anno della ripresa, come avrebbe dovuto esserlo il 2013 (che al contrario ha visto un calo del PIL del -1,8%), come avrebbe dovuto esserlo il 2012 (-2,5%). A smentire queste opportunistiche fantasie c’è la realtà che vede in Italia la crisi farsi sempre più acuta. Basta esaminare alcuni dati per capire quanto queste previsioni di ripresa siano nient’altro che bolle di sapone utili unicamente a gettare fumo negli occhi delle famiglie che in questi anni hanno assistito alla costante riduzione del proprio tenore di vita.

Nel nostro paese, infatti, la disoccupazione giovanile supera il 42% (con punte del 51% al sud) e si continua a licenziare. Il numero di occupati si è ridotto di 397 mila unità solo negli ultimi tre mesi del 2013 e i licenziamenti dal 2008 superano il milione. Chi non viene licenziato è costretto a lavorare con contratti precari e sottopagati.Questa realtà è tutt’altro che un segnale di ripresa e lo capiscono bene gli operai che in questi anni hanno visto dismessi molti dei propri diritti conquistati in anni di lotte. Diritti che ancora una volta dimostrano il loro carattere temporaneo in un sistema economico il cui unico interesse sta nel raggiungimento del massimo profitto.

Gli operai però non sono gli unici duramente colpiti dagli effetti della crisi economica. Chi in questi anni ha visto maggiormente ridursi il proprio tenore di vita è tutta una larga fascia di piccola e media proprietà. Questo avviene perché, come osservato da Marx, durante ciascuna delle crisi cicliche del capitalismo si accentua la polarizzazione della ricchezza, aumenta la concentrazione del capitale, viene spazzata via tutta quella classe intermedia che invece prospera nei periodi di espansione. La piccola borghesia, per utilizzare un termine marxiano, si proletarizza.

In Italia stiamo assistendo proprio a questo processo: le piccole e medie aziende italiane si scontrano con un mercato non più in grado di assorbire i loro prodotti. La contrazione del mercato obbliga una contrazione corrispondente della produzione ed un calo conseguente del profitto. La concorrenza tra produttori, causata dalla diminuzione della domanda, si inasprisce e a farne le spese sono proprio le piccole aziende incapaci di reggere il confronto con i grandi monopoli internazionali. Respinte dagli istituti di credito e schiacciate dalla concorrenza dunque molte di esse si ritrovano sull’orlo del fallimento. Nel 2013 sono circa 10mila le aziende italiane che hanno chiuso.

La piccola borghesia decimata non può rimanere a guardare e si organizza, si prepara per la sua lotta economica e politica. Il 18 febbraio 2014 circa 50mila persone, tra commercianti, artigiani e piccoli imprenditori hanno formato un presidio in piazza del Popolo a Roma per chiedere una riduzione delle tasse alle piccole imprese. Il presidio era stato organizzato dalla Rete Impresa Italia, un’associazione imprenditoriale che racchiude in se Casartigiani, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, ma in piazza era presente anche il Movimento 5 Stelle che facendo proprie le rivendicazioni della piccola impresa italiana è riuscito ad intercettare i consensi del cosiddetto ceto medio.

Il conflitto si concretizza dunque seguendo più diramazioni: attraverso le proprie confederazioni la piccola borghesia porta avanti una lotta economica prettamente di classe, richiedendo manovre di agevolazione fiscale e di salvaguardia della piccola produzione italiana atte a risollevare le sorti di un settore in declino. Attraverso il Movimento 5 Stelle o le manifestazioni di piazza dei Forconi, invece, essa universalizza le proprie aspirazioni, le estende a tutta la società e si arroga il diritto di parlare a nome di tutto il popolo. Sotto questa veste quelle che sono pure rivendicazioni economiche si travestono di lotta politica, indossano la maschera di Zorro e si lanciano in difesa degli oppressi contro la casta.

In realtà, quella che viene presentato come contrasto ideologico contro una classe politica corrotta non è altro che la lotta della piccola proprietà contro il grande capitale industriale e finanziario rappresentato politicamente dalla “casta”. Quello che viene presentato come una richiesta di rinnovamento, lo slogan del “mandiamoli tutti a casa” non è nient’altro che il sogno utopistico della piccola borghesia di riacquisire il benessere perduto, di cancellare la storia.

Le piccole aziende schiacciate dalla concorrenza dei monopoli internazionali d’un tratto riscoprono il loro carattere nazionalistico trovando nell’estrema destra il loro alleato più congeniale. Scendono in piazza sotto l’effigie della bandiera italiana chiedendo a gran voce l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea, ma in senso regressivo: non vogliono superare l’UE, voglio far finta che non sia mai esistita. Combattono per il ritorno alla sovranità nazionale borghese e alla sovranità monetaria che nella loro fantasia potrà garantirgli il benessere perduto. Anche qui, dunque, nascondono i propri interessi particolari dietro una comune identità nazionale, si fanno portavoce di un generico benessere nazionale e così facendo corrompono alla loro causa larghe fasce di lavoro salariato.

I piccoli imprenditori però portano avanti una battaglia reazionaria. Quello che la piccola borghesia ancora non capisce è che non si possono riavvolgere le lancette della storia. Lo stato nazionale borghese è ormai sepolto. La globalizzazione ha proiettato il sistema produttivo al di fuori dei confini nazionali che sono diventati un ostacolo per i profitti del capitale monopolistico. Inoltre, qualora fosse possibile un ritorno alla condizione preesistente questa non farebbe altro che riprodurre ciclicamente le condizioni che ci hanno condotto alla situazione attuale. Lo stato di precarietà della piccola impresa, infatti, è determinata dal sistema economico stesso. Finché il capitalismo non verrà spezzato essa sarà costretta a seguire le correnti, subirà l’alta e la bassa marea del mercato globale, ad ogni nuova crisi verrà schiacciata sempre più in basso.

La piccola borghesia universalizza i suoi bisogni e chiede l’appoggio dei lavoratori, essa però deve comprendere che all’interno di questo sistema non vi è la salvezza, tanto per l’una che per gli altri. L’alleanza di classe è possibile, ma in una sola direzione, quella che porta all’abbattimento dei rapporti capitalistici di produzione, della logica del profitto e della divisione in classi. Solo date queste premesse può essere concepita una rottura in senso progressista con l’UE e i grandi monopoli internazionali, per l’approdo ad una società in cui la grande massa lavoratrice detenga il potere polito e il controllo sulla produzione. Solo date queste premesse potrà realizzarsi la vera libertà dei popoli slegati dagli interessi imperialisti del capitale internazionale rappresentati dall’Unione Europea.

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