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La scuola, gli studenti e la nostra lotta: dalla teoria alla pratica

* di Federico Bongiovì

Non è solo opinione comune, ma è anche ferma convinzione della Gioventù Comunista che gli istituti scolastici, non siano soltanto luoghi di studio, ma fungano da fucine in cui vengono plasmati i futuri cittadini. Siamo anche fermamente convinti e coscienti del fatto che l’istruzione, però, risponde alle logiche del mercato capitalista e come tale assoggetta il processo formativo in quello di massimizzazione del profitto privato. La Scuola Pubblica, la Scuola che in una società senza differenze economiche è realmente la scuola della società, non deve dunque solamente fornire un’adeguata preparazione nozionistica allo studente, ma, anche e soprattutto, deve prefiggersi un fondamentale obbiettivo: creare e formare ogni ragazzo affinché esso, in futuro, possa essere veramente e assolutamente degno di essere cittadino. Che lo istruisca, perché non si consideri singolo fra i singoli; che gli insegni, perché comprenda la società di cui fa parte; che lo plasmi, perché sia pronto a lottare per difendere i bisogni e le rimostranze proprie e dei propri simili. In una parola, che instilli in lui un sincero, profondo, veritiero senso di vicinanza, di comunione, di fratellanza verso gli altri. Ma parlare di “senso di appartenenza sociale” non è che dire coscienza politica. E cos’è questa se non partecipazione e lotta? Ecco, dunque, quali sono i principali valori a cui la scuola deve preparare lo studente: partecipazione e lotta. Partecipare infatti non è che interessarsi a un dato problema, venire appassionati da esso, iniziare a sentire un moto, il quale non è dettato solo dal raziocinio, ma anche da un coinvolgimento più profondo e intimo, che spinge a mettersi in gioco per risolverlo. E lottare è la definitiva metamorfosi dalla teoria alla pratica di questa spinta: è la piena consapevolezza di quanto importante sia ciò che ha interessato integralmente la nostra coscienza, e dunque è la battaglia che segue alla decisione di cambiare.

Come fare affinché queste virtù diventino realmente parte di ogni ragazzo?È chiaro: è un compito che in larga parte devono assolvere i docenti, semplicemente per la maturità che hanno o che dovrebbero avere, e per il maggior bagaglio di esperienze di vita dal quale possono attingere. Dunque costoro non possono limitarsi a spiegare la loro materia, quando si trovano faccia a faccia con gli allievi, durante le ore di lezione, ma devono necessariamente guidare i giovani, laddove manchi ancora questo comune sentimento, e incoraggiarli, qualora in essi stia già attecchendo, perché possano dirsi realmente padroni di tali valori. Questo risultato, però, non può essere conquistato solamente grazie a una lezione teorica ed esterna: deve essere frutto di lunga pratica, in quanto la partecipazione e la lotta stesse sono pressoché solamente la messa in atto delle proprie idee.

A tal fine esiste un metodo preziosissimo, tra gli altri, la cui utilità è indiscutibile, e grazie al quale gli studenti sono spinti a prendere le redini della Scuola e a dimostrare di essere realmente capaci di partecipare alla vita democratica del proprio istituto. Esso è l’autogestione. Bisogna immediatamente chiarire un punto fondamentale, ossia che cosa noi intendiamo quando utilizziamo questo termine. Per noi militanti comunisti è sicuramente molto importante per abituare gli studenti a fare politica attiva e di massa, in un momento in cui questa manca a causa della sfiducia che è stata instillata nella gioventù al fine di renderla innocua. La riforma della scuola distrugge le basi democratiche della scuola trasformandola in azienda e l’autogestione serve per innalzare, grazie all’organizzazione di comitati, alla creazione di collettivi, alla chiamata di assemblee generali che coinvolgano tutti o quasi, il livello di partecipazione generale alle lotte: non solo all’interno della Scuola, ma anche di quelle del mondo esterno in cui dovremo obbligatoriamente vivere. È importante dire anche, però, che l’autogestione non va intesa, come un’esperienza nella quale gli studenti prendono il controllo della scuola, come una sorta di “potere studentesco” sostituendosi alle competenze dei docenti, confondendo il ruolo che la categoria studentesca ha all’interno della stessa società che vogliamo cambiare e di quella che vogliamo costruire. Dall’autogestione possono trarre dunque giovamento i giovani studenti nella loro totalità, ma possiamo trarne vantaggio anche noi in quanto organizzazione giovanile politica.

Adoperandosi, infatti, perché aumentino questi momenti, queste esperienze o anche esperienze simili, ma sempre incentrate sull’informazione e la compartecipazione, come le occupazioni, le cogestioni o anche solo le assemblee di istituto. Sarà allora più evidente quanto alta sia la coscienza politica degli studenti nelle scuole e potrà esserci via via più chiaro cosa e come fare perché questa aumenti ancora, al fine di avvicinarli alla giusta battaglia che portiamo avanti: la lotta per una scuola realmente di massa e gratuita. Lotta che va di pari passo con la costruzione di un mondo nuovo, migliore, comunista.

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