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Gli operai occupano lo stabilimento ILVA di Genova-Cornigliano

A due settimane dall’occupazione del Consiglio Comunale dell’11 gennaio da parte dei lavoratori, ieri, 25 gennaio è stato occupato dagli operai il cantiere dell’ILVA Genova-Cornigliano dopo che le agitazioni erano state sospese in attesa dell’incontro richiesto il 18 gennaio dal Prefetto di Genova al Governo. Incontro che poi si è tradotto nella convocazione di una riunione del Collegio di Vigilanza sull’Accordo di Programma per il 4 febbraio senza alcuna garanzia della partecipazione di esponenti del Governo, che a giudizio della Fiom dimostra l’intenzione dell’esecutivo di dichiarare morto l’Accordo di Programma per vendere più facilmente ai privati entro il 30 giugno 2016.

L’Accordo di Programma su Cornigliano fu firmato a Roma nel 2005 da sindacati, governo e 7 ministri, con contratti di solidarietà che garantivano il 70% del salario per i lavoratori. Con l’entrata in vigore del “Jobs Act” e gli inerenti tagli agli ammortizzatori sociali, i fondi dei contratti di solidarietà sono scesi, per normativa, al 60% dello stipendio comportando la perdita di un altro 10% del salario. Questo avverrebbe a partire dalla data del 30 Settembre, in quanto fino a quella data viene garantito ancora il 70% attraverso l’”Emendamento Basso” con uno stanziamento di 1,7 milioni di euro. Niente più che un elemosina per mantenere buoni i lavoratori nel periodo necessario alla vendita dell’intero gruppo ex Riva senza alcuna garanzia occupazionale e salariale per il futuro.

La soluzione prevista dal governo Renzi, dall’UE e da Confindustria è infatti scaricata totalmente sulle spalle degli operai non prevede alcun obbligo verso i padroni. Tutti i potenziali acquirenti, al di là della loro nazionalità, hanno già messo in chiaro che non sono disposti a farsi carico né degli attuali livelli occupazionali, né della bonifica delle aree inquinate di Genova e Taranto, né della modernizzazione degli impianti e la garanzia del diritto alla salute degli operai, incompatibili con la legge del massimo profitto dei capitalisti.

La chiusura o la vendita dell’ILVA porterebbe ad un ulteriore colpo per i 15.000 lavoratori presenti tra Genova, Novi Ligure e Taranto, a cui si somma l’impatto negativo in queste città, un tempo grossi centri industriali, già fortemente colpite dalla crisi.

La situazione l’11 gennaio era stata resa ancora più incandescente dallo scontro tra i lavoratori  e la politica locale. Il Sindaco Doria, non nuovo a affermazioni di questo tipo (come durante le vertenze nelle municipalizzate AMT e AMIU), ha affermato che una parte di sindacato dei metalmeccanici ha attaccato l’istituzione democratica del Comune di Genova con l’occupazione della sala del consiglio. La posizione del Comune di Genova si è limitata ad un OdG, approvato all’unanimità, in cui si dà mandato al Sindaco e alla Giunta di seguire l’iter avviato dal Governo e di chiedere una salvaguardia dell’occupazione salariale in caso di vendita ai privati e una pressione affinché gli ammortizzatori sociali al 70% del salario vengano prorogati anche dopo il 30 settembre 2016.

Nessuna parola di opposizione all’idea di svendita, quindi al regalare profitti a privati per poi lasciare costi di bonifica e gli interventi allo Stato. D’altronde già il Sindaco di Genova, vicino a SEL, non è nuovo a sostenere ipotesi di privatizzazione, come già accaduto con l’azienda di trasporto locale AMT ed altre aziende municipalizzate. Un’ulteriore provocazione è arrivata dal segretario provinciale del PD di Genova Terrile, il quale durante l’occupazione del Comune è stato inseguito dai lavoratori inferociti dalle sue vuote affermazioni, in cui ha enfatizzato lo “sforzo” dell’emendamento che proroga qualche spicciolo in attesa della vendita dichiarando che non è possibile continuare a pagare la riqualificazioni delle aree ILVA e le relative integrazioni salariali.

Fatti che misurano il livello di rabbia accumulata dagli operai verso le istituzioni e partiti borghesi ad ogni livello, ingranaggi di un sistema che risponde solamente alla legge assoluta della massimizzazione dei profitti e della proprietà privata incompatibile con gli interessi operai e delle larghe masse lavoratrici e popolari. La reazione dei lavoratori ILVA, così come la contemporanea mobilitazione degli operai ENI di Gela, dimostra che la classe operaia esiste ed è ancora in grado di mobilitarsi duramente per difendere i propri diritti, con tutto il suo potenziale di esser il nucleo centrale di una mobilitazione ampia di massa. Ciò che ancora oggi manca è un grado adeguato di coscienza e organizzazione che possa permettere di rispondere superando la fase difensiva e aprendo un processo di contrattacco, di riappropriazione del senso di alternativa sociale riflesso in determinati criteri politici che mettano in marcia gli operai come classe per sé conquistando il potere del lavoro contro quello del capitale.

La lotta degli operai ILVA è emblematica di come possa esser condotta solo coi criteri propri del contrattacco di classe affiancando alla riappropriazione delle forme di lotte incisive e storiche del movimento operaio, come l’occupazione della fabbrica, rivendicazioni in grado di rompere con la compatibilità del sistema capitalistico. E’ evidente l’asse Stato-padrone con la comparsa del sindacato concertativo a sostegno dei profitti del grande capitale all’interno dell’UE a scapito dei lavoratori così come il fatto che il capitale, i monopoli e il loro potere non hanno “patria”, ma solo la necessità di massimizzare i loro profitti nel mercato globale. Dopo che lo Stato borghese ha regalato il monopolio dell’acciaio al gruppo Riva, quest’ultimo ha potuto fare tutto ciò che voleva sulla pelle dei lavoratori e l’ambiente traendo il massimo profitto possibile, con il successivo ritorno dell’azienda nelle mani Stato borghese che scarica i costi sull’intera collettività e sulla classe lavoratrice in particolare, continuando ad elargire denaro pubblico ai capitalisti che si appropriano del frutto del lavoro degli operai. Gli accordi ipoteticamente difensivi firmati dai sindacati e fatti ingoiare ai lavoratori (spesso con la promessa di “salvare il posto”), così come i generici appelli allo Stato e ai governi “per mantenere la produzione in Italia”, non servono assolutamente a nulla.

Lo Stato borghese agisce in funzione del capitalista, il capitalista vive in funzione del profitto, e il sindacato concertativo il più delle volte serve a disarmare i lavoratori, disunirli, illuderli e smobilitarli costantemente. Solo la dirompente azione cosciente e autonoma dei lavoratori, può spezzare quest’asse e ribaltare i rapporti di forza, rivendicando l’unica soluzione possibile oggi per garantire la continuità del livello produttivo dell’acciaio in Italia, la salvaguardia di tutti i posti di lavoro e dei salari completi, dell’ambiente e della salute dei lavoratori: la nazionalizzazione dell’intero gruppo sotto il controllo dei lavoratori e senza alcun indennizzo per i grandi azionisti, con la requisizione del patrimonio dei Riva che è frutto dello sfruttamento del lavoro degli operai. Ma tutto questo è impedito dalla “legalità” capitalista che serve solamente a garantire le regole per il massimo profitto dei pochi e perpetuare il sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, obsoleto e storicamente superato: da una parte le autorità della Svizzera hanno bloccato i quasi 2 miliardi dei Riva nascosti in conti svizzeri, dall’altra le normative dell’UE vietano oramai la nazionalizzazione determinando ciò che ogni paese deve produrre, i quantitativi e i metodi di produzione subordinato alla divisione internazionale del lavoro del mercato globale, alla competizione monopolistica con l’imposizione delle misure che riducono i diritti dei lavoratori e dei popoli volte a rafforzare il capitale.

Solo in un quadro di lotta politica di rottura con la gabbia dell’UE e del capitale sarà possibile salvare la strategica produzione dell’acciaio del nostro paese affrontando con decisione la questione del potere e della proprietà, con la classe operaia che nella sua lotta di classe cosciente svolge il ruolo centrale nella liberazione del popolo dalle catene dell’imperialismo. Per questo motivo, tale tipo di mobilitazioni hanno una grande potenzialità e devono essere una scintilla per poter allargare a settori più ampi la lotta, a partire dall’unità dei lavoratori dello stesso gruppo, da Taranto a Genova, con intorno la solidarietà attiva dei lavoratori e degli strati popolari delle città. Solo l’unità dei lavoratori di tutte le categoria può bloccare i piani antipopolari del capitale!

Questo è il compito delle organizzazioni politiche e sindacali con un coerente orientamento di classe, consapevoli che la nazionalizzazione sotto controllo operaio è un preciso obiettivo programmatico della lotta di classe organizzata, ma che soltanto in un sistema socialista coincideranno la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e la proprietà statale degli stessi, sottoponendo l’economia al potere operaio e popolare, determinando un indirizzo produttivo regolato dalla pianificazione economica nazionale sulla base degli interessi e necessità della classe operaia in grado di garantire una vita degna e prospera per tutto il popolo.

 

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