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Le elezioni in Francia e il FN: quale prospettiva per le classi popolari?

*di Enrico Bilardo

Il prossimo 23 aprile si svolgerà in Francia il primo turno delle elezioni presidenziali. Un’analisi di questa tornata elettorale può offrire spunti interessanti, sia per analizzare le dinamiche politiche che si stanno sviluppando in seno all’Europa, sia per far emergere criticità a sinistra che non possono essere sottovalutate, se non si vuole lasciare vita facile all’ondata reazionaria che rischia di attraversare l’Europa.

Il turno elettorale, almeno nella sua prima fase, sembra avere un esito scontato: i principali favoriti per l’accesso al ballottaggio sono Marine Le Pen, del Front National, e Emmanuel Macron, giovane rampante del neo-partito centrista En Marche. Soffermandosi su queste due figure politiche si possono trarre considerazioni interessanti. Da un lato abbiamo una esponente della destra sovranista che, sull’onda della campagna referendaria per la “Brexit” e dell’elezione di Trump indossa, senza trovarsi realmente a suo agio, un’uniforme solo in apparenza “antisistema”. Dall’altra parte una figura “nuova”, ma totalmente sistemica, sia nella forma sia nella sostanza. Macron potrebbe essere facilmente paragonato a personaggi come Blair e Renzi.

Con un passato nel Partito Socialista del presidente uscente François Hollande, nel cui governo ha ricoperto anche il ruolo di Ministro dell’Economia, Macron rappresenta la perfetta emanazione delle logiche dominanti: un approccio sulle politiche “civili” socialdemocratico, con un indirizzo economico e sociale totalmente neo-liberista e improntato sull’austerità, in totale continuità con l’indirizzo dell’Unione Europea di cui è uno strenuo difensore. Basti pensare che, durante la sua attività di Ministro, a chi lo invitava a nazionalizzare impianti industriali sull’orlo del baratro, come quello di Florange, Macron ha risposto con sprezzo “Solo in Venezuela si procede così”. Conscio della profondissima crisi politica che riguarda il Partito repubblicano e il suo vecchio partito, il Partito Socialista, Macron ha formato un nuovo movimento, En Marche, per rinnovarsi almeno nella forma, dato che la sostanza puzza terribilmente di vecchio e sistemico. I già citati partiti “tradizionali”, così come il Front de Gauche (il Fronte della Sinistra), sembrano relegati a un ruolo di testimonianza in questa tornata elettorale e sono rappresentati rispettivamente dall’ex- Primo Ministro François Fillon, da Benoit Hamon e da Jean-Luc Melenchon per il Front de Gauche, esattamente come nel 2012.

Il Front National è invece riuscito a intercettare, negli ultimi anni, il voto di significativi settori delle classi popolari, e sembra capace di raccogliere in caso di ballottaggio anche il voto di settori ideologicamente orientati a sinistra, nella sua accezione più generica. Un dato di fatto legato non solo a un’alternativa, quella di Macron, totalmente legata alle attuali logiche dominanti, ma anche alle responsabilità della sinistra in questi anni.

È fondamentale interrogarsi sul successo della Le Pen nei centri operai e popolari. Sotto i colpi della crisi economica, della globalizzazione e delle politiche europee l’economia francese è stata caratterizzata negli ultimi anni da un’imponente deindustrializzazione e da una progressiva proletarizzazione del ceto medio. Se da un lato si taglia sul settore industriale, colpendo aspramente gli operai, dall’altro la classe media viene meno, sotto i colpi dell’austerità europea, sprofondando in un baratro fatto di precarietà, disoccupazione e povertà. In tutto ciò emerge prepotentemente la questione razziale, alimentata dalla brutalità degli attentati terroristici che hanno colpito la Francia negli ultimi anni, e più in generale da un conflitto fra poveri generato dalla competizione al ribasso innescata nel mercato del lavoro.

Situazioni figlie di contraddizioni pesantissime, legate alle logiche economiche e politiche che riguardano l’intera Europa, alle quali la “sinistra” avrebbe dovuto rispondere con un’analisi decisa e una politica di classe e non di conciliazione. L’intuizione della destra sovranista sta proprio qua: inserirsi prepotentemente nei campi di battaglia tradizionali della sinistra, catalizzare le attenzioni e i legittimi dissensi delle classi popolari indirizzandoli verso falsi nemici e verso soluzioni che di “antisistemico” non hanno un bel niente, alimentando al contrario le peggiori logiche reazionarie mentre ci si batte principalmente in difesa degli interessi di determinati settori delle classi dominanti.

In questa situazione emerge in maniera chiarissima la responsabilità della sinistra -largamente intesa nelle sue varie sfumature, dalla socialdemocrazia tradizionale a quella nuova e “radicale”- che ha abdicato alla propria funzione storica adeguandosi alle logiche dominanti, o rifuggendo i luoghi e le occasioni di conflitto reale, lasciandole a totale fruizione della destra. Il Front National, come già fatto da Trump, non fa che intercettare il dissenso declinandolo nella direzione peggiore per chi subisce le contraddizioni del sistema, ad ogni livello.

Tuttavia è evidente che quando la leader del Front National tratta questioni come quella della deindustrializzazione strizza gli occhi più alle borghesie e agli industriali nazionali, schiacciati dal processo di monopolizzazione del capitale nel contesto europeo, piuttosto che agli operai e alle classi popolari francesi che ne sono la vittima principale. Un discorso strettamente legato alla logica anti-europeista di carattere sovranista. Il Front National basa la propria opposizione all’Unione Europea su un sentimento di rivalsa nazionale, senza mai porre in discussione le logiche economiche su cui si fonda la stessa Unione Europea. Praticamente si critica la struttura, ma poi si ripropongono le stesse logiche su cui si basa all’interno dei confini della propria nazione (come avvenuto per la Brexit) con un esito ugualmente dannoso per i lavoratori della nazione in questione.

Nel porsi come portatore degli interessi economici delle borghesie francesi, schiacciate dai monopoli europei, il Front National si mette alla guida di un movimento nazionale che riesce ad attirare le attenzioni delle classi popolari, con il sentimento nazionale che diventa un collante interclassista, come sempre svantaggioso per le fasce subalterne della società. Questo sentimento è alimentato da una continua contrapposizione nei confronti di stranieri e immigrati, ribadito in ogni forma. Si arriva a proporre di impedire ai bambini senza cittadinanza francese di frequentare le scuole, alla proposta di rendere le cure accessibili solo ai cittadini francesi. Un’operazione chiara, con moltissimi precedenti nel corso della storia, che mira a creare dinamiche da guerra tra poveri funzionali solo ai padroni e che in Francia rischia di assumere risvolti ancor più drammatici: ovviamente un clima di discriminazione così forte non fa che incentivare qualsiasi potenziale adesione all’estremismo islamico, che a sua volta proprio grazie alle logiche da “scontro tra civiltà” riesce ad aumentare il numero di proseliti. Il rischio è proprio quello di una contrapposizione tutta interna al proletariato francese fra gli autoctoni bianchi da una parte, gli stranieri, immigrati e musulmani dall’altra; i primi sempre più intercettati dalla destra xenofoba, i secondi spinti fra le braccia del radicalismo islamico (ma non è da escludere, in futuro, la nascita di partiti islamici “moderati” sul modello della DC). Un conflitto dal quale a uscire vincitori sono i padroni che vengono assolti da ogni responsabilità. Solo rifiutandosi di vedere questo pericolo, cioè rifiutandosi di guardare alle classi sociali, si può finire a credere che dal “sovranismo” del Front National possa venir fuori qualcosa di buono per le classi popolari.

Le principali responsabilità di ciò che avviene sono di chi avrebbe dovuto intercettare il dissenso per indirizzarlo in senso rivoluzionario e realmente conseguente agli interessi delle classi popolari; riflessione che va oltre i confini francesi e che è estendibile a tutte quelle realtà in una condizione simile. Se da un lato la socialdemocrazia ha perso ormai ogni tipo di credibilità agli occhi dei lavoratori (basti pensare che in uno dei principali poli industriali della Francia, Florange, in Lorena, è stata depositata una lapide in memoria delle promesse infrante di Hollande), la sinistra sedicente “radicale”, se non, talvolta, “comunista”, ha permesso all’estrema destra di monopolizzare, o comunque di diventare protagonista in quasi ogni terreno di conflitto. Significativo è il dato per cui, fino agli anni Settanta, la prevalenza del voto di sinistra tra gli operai era maggiore del 20% rispetto alla media delle altre categorie. Un patrimonio che è stato colpevolmente sperperato. È doveroso riportare i termini del conflitto sui giusti binari, evitando di appiattirsi alla visione solo apparentemente conflittuale della destra sovranista. Nulla sarebbe più sbagliato di accodarsi a fenomeni come quello del Front National perché “gli operai votano Le Pen”. Questa è la concezione tipicamente codista di chi considera positivo ogni sentimento delle classi popolari, ogni elemento sia pur di arretratezza, e abbandona l’idea che i comunisti debbano essere avanguardia.

Si dovrebbe far capire ai lavoratori, ad esempio, che alla deindustrializzazione non si risponde passando dai padroni europei a quelli nazionali, accomunati dallo stesso interesse a schiacciare i lavoratori in nome del profitto, ma avviando una gestione pianificata del settore industriale funzionale ai bisogni della popolazione e dei lavoratori, piuttosto che a quelli del padrone di turno. L’Unione Europea andrebbe combattuta in quanto figlia delle logiche del profitto, degli interessi dei grandi monopoli a cui è vincolata; per l’uscita dalla UE bisognerebbe battersi nel nome del socialismo, non in nome di un reazionario ritorno agli Stati Nazionali di carattere ottocentesco caratterizzati dalle medesime logiche, circoscritte però nei confini nazionali.

L’identità di classe, basata sulla condivisione di una condizione di vita figlia di un determinato sistema economico, dovrebbe essere dominante rispetto ai sentimenti identitari nazionali, lontanissimi da qualsiasi prospettiva di cambiamento dei rapporti di forza interni alla società. Si tratta di offrire un’alternativa vera e sostanziale alle classi popolari, piuttosto che rinchiudersi in istanze grottesche, alienandosi totalmente dalla realtà concreta e lasciando la società in mano alle forze di estrema destra, mentre magari ci si concentra esclusivamente sulle lotte per i diritti civili.

A poco più di un mese dalle elezioni presidenziali francesi, in definitiva, la situazione appare tutt’altro che confortante. Con tutta probabilità qualsiasi risultato rappresenterà l’ennesima sconfitta per le classi subalterne. Tuttavia, ora più che mai, alla luce dei risvolti attuali, bisogna essere consapevoli che l’unico modo per arginare realmente le destre è sfidarle da una posizione di classe e sui luoghi di conflitto reale, distaccandosi nettamente dagli errori compiuti a sinistra nelle ultime decadi.

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