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Università, ridotti i posti per medicina e architettura. Ma continuano a “farcela” i figli di papà…

Sono stati pubblicati dal Ministero dell’Istruzione i tre decreti relativi alle prove di ammissione per i corsi di laurea a numero chiuso nell’anno accademico 2017/2018. Una brutta sorpresa per chi tenterà la lotteria nelle facoltà di medicina e architettura, alle quali sono stati assegnati rispettivamente 9100 e 6873 posti, corrispondenti a 124 posti in meno nel caso di medicina (erano 9224 nel 2016) e 118 per architettura (rispetto ai 6991 del 2016). Lo scarto è ancora maggiore se confrontato con i numeri del 2015, in cui alla facoltà di medicina erano ammessi 9513 studenti (413 in più di quest’anno), a quella di architettura 7802 (ben 929 in più). Una brutta sorpresa, evidentemente, anche per chi era convinto che con il Ministro Fedeli, ex dirigente della CGIL e membro del PD, sarebbe cambiato qualcosa nelle politiche sull’istruzione del Governo.

Il numero chiuso nelle università italiane continua ad essere una misura del tutto irrazionale, ed è un’illusione quella di poterlo rendere razionale riducendo i posti. Un numero chiuso che non ha nessun legame con i posti di lavoro realmente disponibili (e anzi nelle professioni sanitarie si presta allo smantellamento della sanità pubblica vista la carenza di infermieri), e di fatto diventa una lotteria per migliaia di studenti, alimentando il carattere di classe dell’istruzione nel nostro paese. Perché se è vero che esistono singoli casi “felici” di giovani di umili origini che “ce la fanno” con le proprie forze, per la maggior parte degli studenti sono una serie di elementi di natura economica a influenzare, se non a determinare, il superamento o meno del test.

Molto spesso, infatti, quando si parla di “merito” in riferimento al numero chiuso, ci si dimentica quanto possa aver influito, ad esempio, l’aver frequentato un liceo o un istituto professionale (con una scelta magari condizionata dalle possibilità economiche della famiglia visto che i licei arrivano a costare il doppio), un prestigioso liceo del centro o uno “di serie B” in periferia, o ancora l’aver studiato da soli, mentre si preparava la maturità, o al contrario l’essersi potuti permettere i costosi corsi per la preparazione al quiz con un professore privato. Sono tutte cose che incidono sull’ammissione o meno all’università. E alla fine succede che, a farcela, sono i figli di papà…

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