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Zingaretti e centro-sinistra: una “svolta” che abbiamo già visto…

Nicola Zingaretti, già presidente della Regione Lazio, è il nuovo segretario del Partito Democratico. La sua strategia comunicativa, durante tutta la campagna per le primarie, è stata quella di presentarsi come il fautore della “svolta” a sinistra del PD. Zingaretti si presenta come colui che dovrebbe inaugurare il “nuovo corso” socialdemocratico del PD e ricomporre il centro-sinistra per riconquistare l’elettorato grillino, dopo gli anni in cui la direzione di impronta liberale impressa dal renzismo ha comportato, oltre alla scissione delle forze che hanno composto LeU, la drastica perdita di consenso del PD a causa delle politiche antipopolari di quel governo.

Ma quello che tutti dovremmo chiederci è: questa presunta “svolta” è davvero una novità nello scenario politico italiano e per il PD? Quello che propone il neo-segretario Zingaretti è davvero qualcosa che gli italiani non hanno mai visto? Chi ha vissuto gli anni del centro-sinistra dovrebbe conoscere già la risposta. Ma se già fra gli adulti spesso la memoria è corta, la risposta non è affatto scontata per la nostra generazione, per una ragione evidente. Chi è nato negli anni 2000, ma anche nei tardi anni ’90, era appena bambino quando nel 2006 si insediò il secondo governo Prodi, adolescente o poco più quando Matteo Renzi è diventato capo del governo (2014).

La nostra generazione non ha vissuto gli anni del centro-sinistra (del “vecchio” centro-sinistra, direbbe Renzi), e questo ci ha portato a identificare il Partito Democratico con le politiche e le idee di Matteo Renzi. Ed è per questo che forse, ai nostri occhi, agli occhi dei tanti giovani che oggi manifestano contro l’attuale governo (si pensi alle decine di migliaia di studenti scesi in piazza il 22 febbraio) e di quelli delusi dai Cinque Stelle dopo l’alleanza con la Lega, quella di Zingaretti potrebbe sembrare davvero una svolta. Ma è davvero il centro-sinistra l’orizzonte politico per una generazione che oggi vuole lottare per il suo futuro? È proprio a questo equivoco che dobbiamo essere capaci di rispondere. E il modo migliore per farlo è ricordarci di cosa è stato il centro-sinistra in Italia.

A causa della peculiare situazione politica della prima repubblica, caratterizzata dal monopolio politico della DC, in Italia l’avvento della “sinistra” al governo è stato per anni mitizzato come la panacea di tutti i mali. Mentre in altri paesi del continente europeo l’alternanza fra destra e sinistra nei governi borghesi era la normalità già da tempo, in Italia l’assenza di questa possibilità, dovuta al fatto che il principale partito di opposizione (il PCI) non poteva andare al governo per le logiche della guerra fredda, generò aspettative al limite dell’attesa messianica. Quando nel 1991 il gruppo dirigente del PCI scelse di liquidare quella storia, dando vita al PDS (Partito Democratico della Sinistra, poi Democratici di Sinistra – DS), lo fece anche e soprattutto in nome della possibilità, finalmente conquistata, di arrivare al governo. Furono le vicende successive a dimostrare che i governi di centro-sinistra non solo non portarono a nessuna inversione di rotta, ma furono artefici delle peggiori riforme contro le classi popolari.

La prima legislatura di centro-sinistra della “seconda repubblica” in Italia è quella che va dal 1996 al 2001, successivamente alle elezioni del ’96 vinte dalla coalizione l’Ulivo. È il periodo dei governi Prodi I, D’Alema I e II, Amato II. Conoscere ciò che avvenne in quegli anni è particolarmente importante, perché molti dei problemi attuali delle classi popolari hanno le radici proprio in quegli anni.

È il governo Prodi nel 1997 a votare il Pacchetto Treu (legge 196/97). Si tratta della legge che getta le basi dell’attuale sistema del lavoro precario, che in Italia nasce nientemeno che con un governo di “sinistra”. In particolare, quella legge introduceva il lavoro interinale, anche chiamato somministrazione di lavoro. In parole più semplici, la possibilità di essere assunto da un’azienda “somministratrice”, ma lavorare nel concreto per conto di un’altra azienda, legata alla prima da un contratto di fornitura. Il concetto di “flessibilità” del lavoro, che negli anni dei governi Monti e Renzi è stato spinto fino alla totale libertà di licenziare un lavoratore, nasce proprio negli anni del governo Prodi, che ampliava le possibilità di proroga dei contratti a tempo determinato. La legge Biagi, varata nel 2003 dal governo Berlusconi, giungeva in piena continuità con l’attacco ai diritti già lanciato dal centro-sinistra, e sviluppava ulteriormente il sistema della somministrazione. È nel solco di queste riforme, oltre che della riforma del lavoro Fornero del 2012, che il governo Renzi vara il Jobs Act, dando l’ultimo colpo all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (cioè alla tutela dai licenziamenti) e svuotando di fatto il contratto a tempo indeterminato di ogni tutela reale. Ma è evidente come le politiche renziane hanno le loro radici proprio nell’attacco ai diritti sul lavoro inaugurato negli anni ’90 dal centro-sinistra. Può oggi un giovane precario o senza lavoro vedere il proprio riferimento nella riproposizione di quella formula del centro-sinistra che è profondamente corresponsabile della situazione attuale? Evidentemente no.

La stessa domanda potremmo porcela rispetto agli studenti, che si sono distinti negli ultimi anni per le mobilitazioni contro la Buona Scuola di Renzi, e di recente per quelle contro il governo Lega-Cinque Stelle. Pochi sanno che in Italia la grande riforma dell’istruzione, cioè quel processo che ha visto ogni governo – o quasi – varare una riforma dell’istruzione che aggiungeva un tassello all’asservimento di scuole e università agli interessi delle imprese, nel contesto del cosiddetto “processo di Bologna” che a livello europeo persegue questo obiettivo, è un processo iniziato alla fine degli anni ’90 con i governi di centro-sinistra. È la riforma Berlinguer a introdurre per la prima volta il concetto di “autonomia” delle scuole e delle università, cioè l’idea che queste debbano essere sempre più sganciate dallo Stato, anche dal punto di vista economico, e ricercare finanziamenti per proprio conto, anche da parte di privati e imprese. Per dare un’idea della portata di questo passaggio, è proprio grazie all’autonomia se oggi praticamente tutte le scuole chiedono alle famiglie di versare ogni anno un “contributo” scolastico, che ha la funzione di sopperire alla carenza di fondi dovuti ai tagli operati dai governi. Tutte le riforme sull’istruzione che in questi anni hanno attaccato l’istruzione e cercato di asservirla agli interessi delle imprese, inclusa la Buona Scuola, poggiano su un pilastro, quello dell’autonomia, introdotto dai governi del centro-sinistra.

I governi di “sinistra” in Italia sono stati strenui avversari della pace e fedelmente asserviti agli interessi militari degli USA e della NATO. A fare da apripista fu, alla fine degli anni ’90, l’appoggio del governo D’Alema alla guerra e ai bombardamenti NATO nell’ex Jugoslavia. Quella stessa “sinistra” (si trattava allora dei DS, antenato del PD) che, negli anni di Berlusconi, cercava di inserirsi ipocritamente nelle manifestazioni contro l’invasione dell’Iraq, durante il governo Prodi II (2006-2008) si ritrovò a votare in Parlamento per il rifinanziamento delle missioni italiane in Iraq e Afghanistan.

La lista delle “malefatte” del centro-sinistra potrebbe continuare a lungo. Merita menzione, ad esempio, la riforma del Titolo V della Costituzione, che dietro lo slogan del dare più potere alle Regioni per essere più vicini ai cittadini in realtà sottraeva lo Stato dalla gestione di servizi sociali importantissimi (fra tutti la sanità, oggi frammentata in 20 sistemi sanitari regionali malfunzionanti a causa dei tagli). Ma forse l’immagine che più di tutti rende evidente la sostanziale non diversità qualitativa di questa “sinistra” è proprio quella di D’Alema, elevato a “guru” dei fautori dell’unità del centro-sinistra negli anni del renzismo, che nell’ultima campagna elettorale si vantava in questi termini: “nei miei governi abbiamo fatto più privatizzazioni di chiunque altro”.

Qual è il punto di tutta questa riflessione? La sfiducia nei confronti dell’ennesima riproposizione del progetto dell’unità del centro-sinistra deve tramutarsi nello sconforto, nell’idea dell’impossibilità di costruire un’alternativa a Lega e Cinque Stelle? O forse l’opposizione a questo governo dovrebbe farci mettere da parte ogni critica alle responsabilità della “sinistra” e del PD? Quest’ultima opzione, va detto subito, deve essere rifiutata senza indugio, perché è un qualcosa che in Italia abbiamo già visto troppe volte. La storia del centro-sinistra in Italia è la storia di governi che si reggevano sull’appello alla “unità” di tutta la sinistra con lo spauracchio del ritorno di Berlusconi… tutto questo, mentre si governava facendo le stesse cose di Berlusconi. Riproporre la stessa logica con Salvini servirebbe soltanto a tornare indietro di anni, senza voler apprendere dagli errori. Tutto ciò che è successo negli ultimi decenni non si può rimuovere o dimenticare. E soprattutto non lo dimenticheranno i lavoratori colpiti dalle politiche del PD.

Questo però non significa che l’unica via rimanente è quella dello sconforto e della disillusione. Non lo è, perché l’alternativa esiste, semplicemente non sta in ciò che oggi viene riproposto dal PD di Zingaretti. Quello che bisogna costruire in Italia non è l’ennesima alleanza di sinistra che contenda a Salvini e Di Maio il ruolo di amministratore degli affari dei padroni e delle banche. La vera alternativa è la costruzione di un partito dei lavoratori, di una forza politica combattiva che sappia lottare senza compromessi contro questo sistema e le strutture che lo governano. Questa forza è il Partito Comunista.

Non si tratta di settarismo o di chiusura identitaria, accuse che ormai sanno di vecchio e che vanno rispedite al mittente. Si tratta piuttosto di comprendere che la lotta per una società diversa, per il potere dei lavoratori contro la dittatura della finanza e dei grandi monopoli, per la pace contro ogni guerra imperialista, è una lotta che non presenta nessun punto di convergenza con il progetto di chi vuole fare opposizione a Salvini solo per tornare a governare per gli interessi di Confindustria e della UE. Nessun giovane che oggi voglia lottare per riprendersi il proprio futuro, contro la condizione di incertezza e precarietà a cui è stata condannata la nostra generazione, può vedere il proprio riferimento nel progetto di Zingaretti. Ogni chiamata all’unità che abbia alla radice questa prospettiva va rispedita al mittente.

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