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Scuola, meno fondi per gli insegnanti di sostegno e più potere ai presidi

*di Francesco Ferrise

Il 22 febbraio 100.000 studenti in tutta Italia hanno deciso di manifestare contro le politiche in materia di istruzione del governo Lega – 5 Stelle. Le critiche degli studenti si sono concentrate sulla riforma della maturità e i sui tagli di 4 miliardi nei prossimo triennio sulla spesa per la scuola pubblica.

La fetta più grande dei tagli alla scuola riguarda i fondi per gli insegnanti di sostegno, con una riduzione prevista di 1,3 miliardi nel prossimo triennio: un miliardo nel ciclo primario e 300 milioni in quello secondario. Il ministro Bussetti ha ribattuto però che non erano previste delle riduzioni e che in compenso avrebbe fatto partire dei corsi di specializzazione per 40 mila docenti, tralasciando però di dire che le nuove assunzioni sono di fatto obbligatorie.

I problemi però non si fermano di certo qui e hanno avuto origine nel precedente governo a guida Pd, che ideò il D.lgs 66/2017, meglio conosciuto come decreto inclusione, che cambierà totalmente il sistema di attribuzione delle ore di sostegno. Attualmente la richiesta delle ore viene avanzata direttamente dalla scuola all’Ufficio Scolastico Regionale sulla base della Diagnosi Funzionale, del Profilo Dinamico Funzionale e del conseguente Piano Educativo Individualizzato. All’entrata in vigore delle nuove disposizioni, non sarà più la scuola ad avanzare la richiesta delle ore di sostegno, ma un nuovo organo istituito dal medesimo decreto: il Gruppo per l’inclusione Territoriale (GIT).

Il GIT è istituito in ciascun ambito territoriale della provincia ed è formato da: un dirigente tecnico o scolastico, che lo presiede; tre dirigenti scolastici dell’ambito territoriale; due docenti per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione; un docente per il secondo ciclo di istruzione. Con il nuovo sistema di assegnazione delle ore aumenta il potere dei dirigenti scolastici e le ore di sostegno potranno essere assegnate tenendo conto del bilancio scolastico, e non per forza dunque secondo le reali necessità di un alunno con disabilità. I bilanci delle scuole sono ormai agli sgoccioli, e viene da sé che con questa logica ogni docente dovrà occuparsi di più studenti. Difficile pensare che questo meccanismo non ridurrà le ore per ogni studente, ed è evidente dunque che si andrà a tagliare e nei casi peggiori a non assegnare le ore di sostegno. Si può anteporre la questione economica ai diritti di studenti già abbastanza in difficoltà? Sembrerebbe proprio di sì.

Il decreto è stato da sempre attaccato da diverse parti, a partire dai genitori, agli stessi docenti di sostegno, tutti preoccupati del fatto che con la creazione dei GIT venga meno il potere in mano ai Gruppi di lavoro operativi per l’integrazione (GLHO) che assegnavano le ore di sostegno con molto più criterio. Infatti i GLHO erano formati da servizio Asl, psicologie, assistenti sociali, insegnanti di sostegno e anche dai presidi, dopo un analisi dei profili di ogni alunno con disabilità assegnavano le ore che spettavano. Se prima era possibile far ricorso nel caso di troppe poche ore assegnate, cosa che era molto frequente, adesso non sarà più così. Senza i GLHO quello che stabilisce il GIT diventerà una prescrizione indiscutibile.

Si sono registrate proteste direttamente a Montecitorio da parte di molti insegnanti, continue pressioni da parte delle diverse associazioni che si occupano del tema.

Come risponde a tutto questo il governo? Fin dall’inizio ha rassicurato la categoria degli insegnanti di sostegno, promettendo di eliminare i GIT… ma ormai a pochi mesi dall’entrata in vigore, il nulla. Sarà anche questa un’altra delle tante promesse che non hanno mai rispettato? Il decreto integrazione non è altro che figlio della Buona Scuola e ancora una volta il nuovo governo risulta essere in continuità con le politiche che ha tanto criticato.

Ad oggi, né le proteste del 22 febbraio e né quelle specifiche su questo tema sembrano aver riscosso l’interesse del governo. Forse continuano ancora a credere che la scuola pubblica debba scaldarsi con le legna che ha, senza pensare che di quelle legna ormai sono rimaste solo le ceneri, grazie prima alle politiche Pd e ora a quelle del governo del cambiamento.

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