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Intervento del FGC al seminario internazionale sull’ambiente

Nel campeggio “Guerrilla 2019” del Fronte della Gioventù Comunista (FGC) erano presenti le gioventù comuniste di Grecia, Spagna e Turchia per un seminario internazionale sui temi della difesa dell’ambiente e dei cambiamenti climatici. Un importante momento confronto per discutere sulle strategia comune della gioventù comunista. Di seguito il testo dell’intervento del FGC.

FGC. “Global Strike for Climate”/ “Fridays for Future”, qual’è la valutazione delle gioventù comuniste? Una riflessione su mobilitazioni “ambientaliste” globali, Green Economy e sul ruolo dei Partiti Verdi nei confronti della gioventù.

 Cari compagni,

prima di tutto vorrei ringraziare ancora i compagni delle delegazioni internazionali che in questi giorni sono ospiti al nostro campeggio.

Come sapete il tema del seminario internazionale di oggi riguarda le mobilitazioni di Fridays for Future contro i cambiamenti climatici e il tema della questione ambientale che negli ultimi mesi si è imposto al centro di mobilitazioni che hanno interessato la gioventù. La scelta di questo tema non è stata un caso. È un fenomeno che nell’ultimo anno ha assunto una portata internazionale, interessando in modo consistente numerosi paesi. E quindi, a fronte di un fenomeno che assume portata internazionale, abbiamo creduto fosse importante per i comunisti un momento di dibattito e di confronto fra organizzazioni di diversi paesi. Nel nostro intervento partiremo con una riflessione su Fridays for Future, sul ruolo e il carattere di questo movimento in Italia, per spostare poi la riflessione anche sulla questione ambientale e più in generale e sulla strategia che secondo noi i comunisti devono avere rispetto a questo tema e ai movimenti ambientalisti.

In Italia la primissima questione che tutti abbiamo avuto sotto gli occhi è stata il carattere assolutamente mediatico di questa mobilitazione. E quando diciamo mediatico, intendiamo che l’intera mobilitazione è stata totalmente costruita dai mezzi di comunicazione borghesi, con una campagna a reti unificate. Una campagna che ha interessato anche le scuole e le università: gli studenti si sono trovati circondati da dichiarazioni di presidi, di professori universitari che esprimevano il loro appoggio invitando gli studenti a manifestare. Una propaganda sul tema che investe le scuole, le università, che ad esempio producono e distribuiscono agli studenti materiale sul tema, o ad esempio le borracce per invitarli a sostituire le bottiglie di plastica.

Questo elemento “mediatico”, questo tipo di propaganda, nei giorni che hanno preceduto la prima manifestazione del 15 marzo 2019, ha completamente sostituito ogni forma di partecipazione politica e di organizzazione. In Italia il 15 marzo 2019 ha visto decine di migliaia di studenti scendere in piazza. Il corteo a Roma aveva circa 3000 studenti in piazza, mentre a Milano erano più di 20mila, di fatto la più grande mobilitazione studentesca che si vedesse da anni. Tutto questo è avvenuto senza che nelle scuole si facesse un’assemblea. Senza volantini, senza manifesti, senza nessun tipo di propaganda consistente al di fuori di quella offerta da televisioni e giornali. Si contano davvero sulle dita di una mano le scuole in cui gli studenti si sono riuniti, hanno discusso, e hanno deciso di scendere in piazza. E lo stesso vale per i giorni seguenti: dalle mobilitazioni non è nata una struttura, un’organizzazione, un coordinamento. O per essere più precisi, ci sono stati, dopo la prima giornata, dei tentativi di dare vita a dei comitati promotori delle mobilitazioni o a dei presidi territoriali di “Fridays for future”. Ma si è trattato semplicemente del tentativo da parte di alcune sigle più o meno di sinistra, alcune giovanili e altre meno, di intestarsi a posteriori quella mobilitazione senza avere di fatto nessun legame organico con essa. Quello su cui dobbiamo riflettere quindi è su come già la natura di una mobilitazione di questo tipo, che non solo viene pubblicizzata dai media a reti unificate (e noi sappiamo benissimo che questo non avviene mai con le mobilitazioni studentesche di lotta), ma si basa in aggiunto sul rifiuto della necessità dell’organizzazione, perché di fatto l’unica cosa che si chiede agli studenti è di scendere in piazza una giornata a fare una passeggiata, la dica lunga sul carattere di questo movimento. Non si tratta di un movimento di lotta, ma di un movimento interclassista puramente di opinione, e a breve torneremo proprio su questo aspetto.

A questo va aggiunta una riflessione più strettamente politica su questo movimento e innanzitutto sulla questione ambientale.

Partiamo da una premessa: i cambiamenti climatici sono un dato di fatto, così come è un dato di fatto che la devastazione ambientale oggi sia un tema sempre più attuale. Le ragioni di questo stanno innanzitutto nel carattere predatorio del modo di produzione capitalistico, che per il profitto di pochi grandi gruppi monopolistici è disposto anche a devastare l’ambiente, cosa che spesso coincide con l’attaccare il diritto alla salute e al benessere di milioni di persone. Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che la principale responsabilità dell’emergenza ambientale non è “di tutti”, non è dei cittadini e dei popoli del mondo, ma dei grandi monopoli che da questa situazione hanno tratto e continuano in certa misura a trarre profitti. Per citare alcuni dati, un’inchiesta del 2017 rivelava che 100 grandi aziende nel mondo sono responsabili del 71% delle emissioni di CO2.

Il movimento “Fridays for Future” ha promosso, da un lato, l’idea che questa realtà sia modificabile semplicemente modificando le proprie scelte di consumo, ovvero regolando i consumi individuali. Dall’altro, l’intero movimento è stato costruito attorno all’idea di esercitare una pressione sui governi per chiedere dei regolamenti o delle norme che pongano dei limiti più stringenti sulle tematiche ambientali.

Sul carattere di questo tipo di richieste dobbiamo essere chiari.  La spieghiamo partendo da una considerazione più generale: ogni volta che, ad esempio, nelle istituzioni della Unione Europea, ma anche a livello di legislazione statale, si vota per una norma che stabilisce un determinato standard produttivo o un particolare limite, in realtà dietro l’apparenza di quel regolamento o di quella legge si nasconde un voto a favore di una o un’altra multinazionale, che magari già utilizza quello standard produttivo e quindi sarà vantaggiata da quella misura, nella competizione economica con gli altri monopoli. Gran parte delle decisioni politiche nelle istituzioni borghesi sono il frutto del confronto fra interessi economici di questo tipo, tramite attività di lobbying che a volte sono più o meno sommerse, come nel caso dell’Italia, altre volte avvengono alla luce del sole, come nel caso della UE dove il lobbying è istituzionalizzato e i lobbisti sono ufficialmente riconosciuti come “rappresentanti di interessi”. La cosiddetta “green economy” e le normative ambientali non fanno eccezione. Nella UE, ad esempio, molte normative di carattere ambientalista sono il prodotto del lobbying esercitato da aziende del Centro-Nord Europa, ad esempio tedesche o dei paesi scandinavi, per le quali rappresentano un vantaggio competitivo di carattere economico.

Oggi le nostre economie stanno attraversando una fase in cui è all’ordine del giorno il tema di una riconversione in chiave “green” di una certa quota dell’economia. Questo mutamento rappresenta per i grandi monopoli un nuovo terreno di investimenti grazie ai quali fare profitti, così come i prodotti “sostenibili” sono merci che si rivolgono a una determinata fetta di mercato e di consumatori sensibili a questa tematica. Niente più, niente meno. Si potrebbero citare decine di casi di grandi conglomerati monopolistici che investono capitale sia in aziende “green”, sia in aziende responsabili di inquinamento e devastazioni ambientali.

In questo contesto, non è un caso che alcuni settori dei grande capitale finanziario e dei monopoli lavorino per creare dei movimenti di opinione da utilizzare per fare pressioni sui governi e ottenere misure a proprio favore. Il carattere di Fridays for Future è esattamente questo, e proprio nell’enorme appoggio ricevuto dai mezzi di comunicazione borghesi (la maggior parte dei quali è di proprietà, appunto, di grandi concentrazioni monopolistiche) questa nostra lettura trova conferma.

È un’operazione che intercetta un giusto e legittimo sentimento della gioventù, che sente la necessità di lottare contro la devastazione ambientale e i cambiamenti climatici, ma cerca di deviare questo sentimento verso una direzione favorevole agli interessi dei grandi monopoli, spesso degli stessi responsabili dell’inquinamento e della devastazione ambientale.

Questo fenomeno oggi viene affiancato da un processo politico, che di recente nel dibattito svolto in seno al nostro Comitato Centrale abbiamo definito come la “ricomposizione di un ampio campo ‘progressista’, globalista ed europeista”, che cerca di ridefinirsi e di contrapporsi a livello globale a quello che ormai viene identificato, perlomeno nella retorica politica e nelle sue semplificazioni, come un ampio polo “sovranista”, che va da Trump a Putin, passando per Orban (Ungheria), Le Pen (Francia) e Salvini in Italia. Questa operazione non prende forma solo sul tema dell’ambiente, ma si articola su una serie di temi fra i quali rientrano, ad esempio, il movimento delle donne, il movimento lgbt, la retorica “no borders” che declina la solidarietà ai migranti in termini unicamente umanitari sopprimendo ogni critica alle responsabilità dell’imperialismo nel fenomeno delle migrazioni.

Questa operazione politica ha come bersaglio principalmente la gioventù, perché nella gioventù è più forte la propaganda europeista. La dinamica è molto simile: si promuovono mobilitazioni e movimenti dalla natura interclassista, sulla base di formulazioni estremamente generiche, dinanzi alle quali risulta molto difficile essere contrari (è sulle soluzioni che, invece, nascono le divergenze). Gli esempi sono sotto i nostri occhi: i cortei “contro il razzismo”, i cortei “contro la violenza sulle donne” (chi è a favore della violenza sulle donne?), o nel nostro caso i cortei “contro i cambiamenti climatici” e la devastazione ambientale (anche qui, chi può affermare di non essere d’accordo?). Un elemento da sottolineare, in merito a questo, è che quando un movimento di lotta non individua obiettivi e rivendicazioni concrete ma si limita a proclami generali, è molto facile che questi vengano decisi “da altri”. In altre parole, può diventare molto facile per i grandi monopoli affiancare a questo movimento i propri specifici interessi.

A questa adesione puramente di opinione su una idea molto generica fa da contraltare, come dicevamo prima, l’eliminazione di ogni forma di organizzazione della lotta. E molto spesso anzi, come nel caso italiano, finiscono anche per entrare in contrasto con le lotte vere. In Italia ad esempio fu emblematico che la pagina FB di “Fridays for Future” pubblicò un attacco a un’altra mobilitazione contro le grandi opere inutili e i cambiamenti climatici, nella quale confluivano numerosi comitati di lotta, che erano espressione di realtà in cui la lotta per l’ambiente si legava a doppio filo alla lotta contro il carattere predatorio del capitalismo responsabile della devastazione dei territori.

A beneficiare di questa enorme operazione di propaganda sono oggi i partiti europeisti di matrice liberale e i partiti Verdi, come hanno registrato i risultati delle recenti elezioni europee. Questi dati diventano interessanti soprattutto se si guarda al voto giovanile. In Italia, ad esempio, il partito liberale “Più Europa”, che ha ottenuto il 3,11% alle elezioni europee, nella fascia di età 18-24 ottiene il 12% dei voti. Similmente avviene con la lista dei Verdi, partito che in Italia è stato sempre minoritario e, in passato, presente alle elezioni in coalizioni di “sinistra”. La lista dei Verdi italiani ha ottenuto il 2,29% a livello nazionale, ma secondo le stime almeno il 7%-8% fra i giovani. Seppur ancora minoritario in Italia, il ruolo del Partito Verde Europeo è oggi chiarissimo. Questo partito ha completamente sposato il progetto dell’Unione Europea, ed è emblematico il fatto che i verdi avanzino maggiormente e si preparino a diventare forza di governo proprio nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale, i cui monopoli hanno maggiori interessi legati alla c.d. green economy. La stessa scelta di convocare una seconda mobilitazione di FFF il 24 maggio, a 2 giorni dalle elezioni, rendeva evidente l’operazione politica in corso.

[Omissis]

In conclusione, compagni, rispetto alla questione ambientale crediamo che il compito dei comunisti debba essere quello di smascherare il finto “ambientalismo” di quei settori della borghesia che non fanno altro che perseguire i propri interessi economici, spiegando come l’unica alternativa a un sistema che devasta l’ambiente sia la lotta per una società diversa, non più fondata sul profitto, cioè per il socialismo. A questo si potrebbe obiettare, ad esempio, che una qualche ricomposizione dell’economia in chiave “green”, per quanto legata a specifici interessi capitalistici di profitto, sia comunque un avanzamento progressivo rispetto alla situazione attuale. Si tratta in realtà di un’illusione, perché appunto i grandi monopoli sono disposti a parlare di tutela dell’ambiente esclusivamente nella misura in cui ciò non entra in contraddizione con la loro necessità di fare sempre maggiori profitti, dinanzi ai quali tutto passa in secondo piano.

È solo nel solco della lotta contro il sistema capitalista, per il socialismo, che la tutela dell’ambiente smette di essere una formulazione vaga utilizzata come slogan da chi fa profitti sulla nostra pelle. Questo punto politico va sviluppato ribadendo il profondo legame proprio con gli interessi non dei “cittadini” in generale, ma dei lavoratori, che sono la stragrande maggioranza della popolazione. Pensiamo ad esempio alle lotte storiche contro la devastazione ambientale, anche nel nostro paese, molte delle quali sono strettamente legate con la difesa del diritto alla salute, come l’ILVA di Taranto, o anche la lotta contro il MUOS. In tutti questi contesti i comunisti possono e devono intervenire inserendo elementi di propaganda diretta sulle vere responsabilità dell’inquinamento, riportando la discussione su un punto di vista di classe.

Nessuna illusione di carattere riformista può far venire meno la necessità di lottare per il potere dei lavoratori, per il controllo centralizzato dei lavoratori sul processo produttivo, che resta l’unica vera garanzia affinché le scelte politiche ed economiche possano mettere al primo posto il benessere della popolazione, al quale la tutela dell’ambiente è indissolubilmente legata, e non i profitti di pochi.

È questo che, da comunisti, dobbiamo ribadire con forza. L’unica forza che può tenere alta questa bandiera è la classe operaia.

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