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15 febbraio 2003, quei 110 milioni in piazza contro la guerra

Era il 15 febbraio 2003. In tutto il mondo 110 milioni di persone scendevano in piazza in più di 600 città contro la guerra in Iraq. In Italia la manifestazione di Roma portò in piazza 3 milioni di persone, ed entrò nel Guinness Book of Records come la più grande manifestazione contro la guerra della storia. Dal gennaio si discuteva di una coalizione militare per aggredire l’Iraq, una guerra non ancora iniziata ma già preannunciata.

Com’è noto, l’Iraq venne attaccato un mese dopo, a marzo. L’italia partecipò all’invasione assieme agli USA e ai paesi alleati. Una sporca guerra per il petrolio, giustificata con menzogne di ogni tipo che i media diffusero a reti unificate: il dittatore da rovesciare per portare la “democrazia”, le armi chimiche mai trovate, i legami col terrorismo inesistenti. Nell’Iraq occupato e ridotto a in macerie originano l’Isis e molti dei problemi che oggi affliggono il Medio Oriente.

Sarebbe sbagliato pensare che quelle piazze non servirono a niente, perché non fermarono l’invasione dell’Iraq voluta dai grandi monopoli. Quel grande movimento contro la guerra sedimentò in ampi strati popolari la consapevolezza degli interessi che muovevano quella guerra, di quanto questi fossero contrapposti agli interessi dei popoli e dei lavoratori.

La maggior parte di quei tre milioni in piazza a Roma è ancora in vita. Eppure non si scese in piazza contro le aggressioni alla Libia e alla Siria, la cui natura era ed è sempre più evidente nonostante si cercò di camuffarle da “guerra civile”. La principale responsabilità di questo è di quella sinistra che ha tradito il suo popolo, sposando in pieno le logiche e gli interessi del capitale, e sposandone alla fine anche le guerre. Già in quella piazza del 15 febbraio a Roma si vide la presenza ipocrita di quei dirigenti del centro-sinistra che pochi anni prima non mossero un dito dinanzi ai bombardamenti NATO nell’ex Jugoslavia, ma che allora scendevano in piazza per convenienza politica, essendoci Berlusconi al governo.

Oggi la competizione inter-imperialista rischia di precipitare il mondo e i popoli in nuove guerre e conflitti. Proprio l’Iraq il mese scorso è stato teatro di una nuova escalation tra USA e Iran. La necessità di un grande movimento contro la guerra, che veda protagonisti i lavoratori e le classi popolari, è sempre più impellente. La mobilitazione della gioventù comunista e degli studenti, che in tante città hanno manifestato contro la guerra, è un importante segnale di controtendenza, ma bisogna andare avanti. I sindacati siano pronti allo sciopero generale dinanzi a ogni possibilità di coinvolgimento del nostro paese in nuove guerre imperialiste. Ogni volta che si va verso una guerra, che sarà finanziata prendendo soldi dalla sanità, dall’istruzione, dalle politiche sociali, inizia una campagna mediatica per costruire il consenso dell’opinione pubblica con le menzogne più disparate, che raramente ammette voci critiche. Sta ai comunisti essere pronti a costruire l’opposizione ai piani di guerra del capitale.

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