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La drammatica condizione dei braccianti in Calabria

di Antonio Viteritti

In questi giorni difficili per il nostro Paese con grandi sacrifici sono stati garantiti i generi alimentari nei supermercati, ma in che condizione vivono coloro che lavorano nei campi?

È risaputo che la maggior parte della manodopera nei campi italiani è composta da immigrati sfruttati, senza contratti e, spesso, senza permesso di soggiorno. In situazioni normali, il diritto alle cure dovrebbe essere garantito anche agli immigrati senza permesso di soggiorno, ma in una circostanza grave come questa, in cui le crepe di un sistema sanitario nazionale sottoposto da decenni a continui tagli stanno emergendo in maniera sempre più evidente, questo diritto non viene garantito.

Un caso emblematico è quello della tendopoli di San Ferdinando, nella Piana di Gioia Tauro (RC), da dove vengono la maggior parte delle arance che finiscono sulla nostra tavola. Gli immigrati che le raccolgono vivono in condizioni disumane, stipati in alloggi di fortuna, senza elettricità o acqua corrente e in pessime condizioni sanitarie dapprima dell’epidemia di coronavirus. La paga nei campi della Piana è di 25 € al giorno per 10 ore di lavoro o di 1€ a cassetta, dai quali bisogna sottrarre il “pizzo” dovuto ai caporali, 3€ per il trasporto e 3€ per panino e acqua.

Una condizione di vita miserevole che spesso ha portato questi braccianti a protestare: uno dei casi più eclatanti fu la rivolta per le strade di Rosarno (comune della Piana di Gioia Tauro) nel 2010 per protestare contro le condizioni disumane in cui vivevano oppure l’occupazione del Porto di Gioia Tauro nel dicembre 2019.

La soluzione da parte dello Stato è stata sempre la repressione e la ghettizzazione di queste persone, con lo sgombero delle tendopoli che puntualmente venivano ricostruite; mai una volta si è pensato di migliorare la vita di quei braccianti, in Calabria come altrove, che sono una parte importante del tessuto produttivo del nostro Paese garantendo loro il permesso di soggiorno, un contratto in regola e un alloggio.

Per fortuna i casi di coronavirus registrati finora nella Piana sono pochi, ma se dovessero aumentare il diritto alla salute non sarebbe garantito, nemmeno ai cittadini italiani. In questa condizione e a fine stagione di raccolta, tanti braccianti si sono trovati bloccati nella tendopoli senza soldi, senza lavoro e in condizioni sanitarie terribili. Se il virus dovesse diffondersi al suo interno, il contagio sarebbe altissimo. Attualmente non hanno nemmeno  l’acqua per lavarsi le mani. In questa condizione, dimenticati da tutti e lasciati al loro destino come bestie, gli immigrati hanno deciso di rifiutare i pasti forniti dal Comune come ennesimo segno di protesta. Risulta paradossale che chi produce il cibo che mangiamo ogni giorno, al pari dei tanti lavoratori italiani costretti a lavorare e a rischiare il contagio, non abbia nei fatti diritto alla salute in questa grave situazione.

L’epidemia di coronavirus ha scoperchiato il vaso di Pandora. Le contraddizioni di questo sistema appaiono oggi in maniera chiara e netta, e una volta finita l’emergenza non si potrà far finta di niente. Non sarà certo il razzismo dei partiti di estrema destra o il perbenismo di una parte della sinistra a risolvere questa contraddizione, ma solo la lotta di tutti i lavoratori, italiani ed immigrati, per ottenere migliori condizioni lavorative e di vita per tutti, indipendentemente dal colore della pelle.

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