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Efficienza per chi? Per riflettere sul referendum costituzionale

di Gabriele Giacomelli (comitato centrale Fgc)

Domenica 20 e lunedì 21 settembre 2020 si svolgerà il referendum confermativo in merito alla riduzione dei parlamentari. Il testo del referendum prevede l’approvazione del testo della legge costituzionale n. 240 del 12 ottobre 2019 riguardo le modifiche in materia del numero di parlamentari degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Votando SÌ l’elettore esprime il proprio voto favorevole alla modifica, che ridurrà il numero di parlamentari complessivi da 945 (630 deputati e 315 senatori) a 600 (400 deputati e 200 senatori), votando NO al contrario l’elettore respinge tale modifica.

La battaglia per la riduzione del numero dei parlamentari rappresenta uno dei più grandi cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle e forse l’ultima opportunità per tale formazione politica, ormai in crisi verticale di consensi e fiducia, di mantenere fede a una delle sue tante promesse nei confronti dell’elettorato. Del resto la lotta contro la “casta”, contro i costi e i privilegi della politica e per una maggiore efficienza da parte degli organi istituzionali è ormai entrata a far parte della pubblica opinione come una delle battaglie principali da portare avanti, una lotta trasversale agli schieramenti politici e che negli ultimi anni ha finito per identificarsi come la soluzione ad ogni male della politica italiana. Pur partendo da una sacrosanta critica nei confronti dei vergognosi privilegi di cui gode l’attuale classe politica borghese italiana, soprattutto se paragonati alle condizioni di precarietà, incertezza e povertà in cui sempre più rapidamente stanno scivolando le masse popolari, tale retorica finisce per assumere posizioni arretrate e reazionarie le quali identificano tali fenomeni come eccessi da reprimere al fine di riportare la classe politica italiana a quella condizione di originaria “onestà” di cui ogni “rappresentante dello Stato” dovrebbe farsi portatore. Altro leitmotiv che accompagna ormai da anni il dibattito pubblico in merito al funzionamento degli organi parlamentari e che rappresenta, insieme al punto sui presunti risparmi che una riduzione del numero dei parlamentari comporterebbe, una delle più grandi ragioni a difesa del SÌ è quello riguardo una maggior efficienza che un organo parlamentare a rappresentatività ridotta garantirebbe alla procedura legislativa.

Su questo ultimo argomento riguardo “l’efficienza” è bene soffermarsi dal momento che rappresenterà uno dei temi da cui partiremo per cercare di definire il rapporto tra i comunisti e le istituzioni rappresentative borghesi, andando al di là della semplice contrapposizione SÌ/NO tipica della modalità referendaria. L’intento principale di questo articolo infatti non quello di riassumere le ragioni di uno o dell’altro schieramento in campo, bensì quello di fornire alcuni elementi di riflessione che possano contribuire a porre in primo piano il punto di vista indipendente della classe lavoratrice, autonomo alle forze politiche borghesi.

 Il fronte per il NO e la posizione autonoma dei comunisti

Al fine di sciogliere ogni dubbio è bene però essere chiari: la nostra indicazione per il referendum in merito alla proposta di ridurre il numero dei parlamentari è quella di votare per il NO. Una vittoria del SÌ comporterebbe un ulteriore arretramento dei margini di rappresentanza democratica già fortemente ridimensionati a seguito delle varie riforme costituzionali e leggi elettorali che nel tempo sono state approvate, spesso e volentieri proprio grazie al voto di chi oggi vergognosamente si erge a paladino difensore della Costituzione. Non è un caso che tali progetti di riduzione del numero di parlamentari stiano vedendo la luce contemporaneamente in altri paesi quali Regno Unito e Germania, a conferma del fatto che ci stiamo trovando davanti a una precisa volontà di riduzione dei margini di rappresentanza della democrazia borghese, una volontà corrispondente agli interessi di precisi settori maggioritari del capitale monopolistico italiano e straniero.

 Fin dall’inizio della propria violenta ascesa politica, iniziata con la rivoluzione francese del 1789, la borghesia si trova nella condizione contraddittoria di farsi da un lato interprete e promotrice di un sistema politico fondato sulla pluralità delle opinioni e sulla rappresentanza “democratica” e dall’altro nel vedere fortemente limitate le sue aspirazioni di dominio di classe dal sistema rappresentativo parlamentare, specie nel momento in cui (e purtroppo questo non è il caso dell’attuale fase politica italiana) tali istituzioni rappresentative borghesi diventano la proiezione istituzionale del conflitto di classe presente all’interno della società. È una situazione magistralmente descritta da Karl Marx nella sua opera “Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte”: “la  borghesia vedeva giustamente che tutte le armi da essa stessa forgiate contro il feudalesimo volgevano la punta contro di lei, che tutti i mezzi di istruzione da essa escogitati insorgevano contro la sua stessa civiltà, che tutti gli dei da essa creati la abbandonavano. Capiva che tutte le cosiddette libertà e istituzioni progressive borghesi attaccavano e minacciavano il suo dominio di classe tanto nella sua base sociale quanto nella sua sommità politica; erano cioè diventate socialiste”. Se, come già detto, il livello del conflitto sociale attuale in Italia non può essere minimamente paragonato alla situazione rivoluzionaria che infiammava la Francia del 1848, è indubbio che la fase attuale di crisi irreversibile del sistema capitalista nella sua fase imperialista, crisi aggravata in questi ultimi mesi dalla pandemia mondiale da Covid-19, abbia portato la borghesia a pretendere nel modo più assoluto un sistema legislativo rappresentativo più snello, rapido ed efficiente che veda i suoi diretti rappresentanti politici seduti in parlamento portare avanti senza troppi impedimenti i propri interessi.

Ecco dunque che ogni retorica su una presunta maggiore efficienza da parte del parlamento a seguito di una riduzione del numero di parlamentari perde completamente ogni senso se affrontata da un punto di vista di classe diverso rispetto a quello dominante della borghesia. Oltre a essere smentite dai fatti, che al contrario parlano di sempre più rapidi ed efficienti provvedimenti in materia di aumenti di spese militari a difesa degli interessi dei monopoli nazionali o di una sempre più rapida e crescente legislazione repressiva nei confronti delle lotte dei lavoratori, tali appelli all’efficienza andrebbero ricondotti a una semplice quanto fondamentale domanda: efficienza per chi? Efficienza per quale classe? La maggiore efficienza che al parlamento viene richiesta non è quella che va nella direzione, e del resto non potrebbe essere altrimenti all’interno di una istituzione per sua natura votata alla difesa degli interessi della classe padronale, di una maggiore attenzione nei confronti della condizioni materiali di vita delle classi popolari ma al contrario di un maggiore adempimento alle volontà e alle esigenze immediate del capitale. Efficienza si trasforma quindi in autoritarismo da parte del potere borghese, come del resto è sempre stato in periodi di crisi economici e sociali in cui la borghesia ha la necessità di vedersi garantite le condizioni politiche migliori per proseguire il proprio dominio di classe, anche a costo di sacrificare alcune delle sue celebri “libertà” astratte di cui si era fatta portatrice. Non è di una maggiore efficienza che i lavoratori e le classi popolari hanno bisogno, ma al contrario di un maggiore protagonismo e di rivendicare un modello di Stato e di gestione del potere politico che veda le classi lavoratrici dirigere l’intero apparato statale tramite nuovi organi di potere che vadano oltre quella che può essere la semplice rappresentanza parlamentare all’interno di un sistema politico borghese, che alla fine altro non è se non la dittatura di una minoranza di sfruttatori su una maggioranza di sfruttati.

Nonostante il nostro convinto sostegno per il NO al referendum non possiamo quindi accodarci alla schiera di quei gruppi politici che compongono il fronte per il NO e che ipocritamente spacciano la loro contrarietà alla riduzione del numero dei parlamentari come una battaglia in “difesa della democrazia” o in “difesa della costituzione”, nascondendo dietro questa opportunistica retorica i loro veri obiettivi, ovvero la difesa di posizioni di rendita parlamentari o di seggi che, a causa del loro peso politico reale completamente minoritario, rischiano di perdere alla prossima tornata elettorale. Molti di coloro che compongono tale schieramento hanno addirittura votato favorevolmente in aula parlamentare tale proposta di riforma costituzionale: pensiamo a Laura Boldrini, a Nicola Fratoianni o a Roberto Speranza, gli stessi personaggi che poi trovano anche il coraggio e la faccia tosta di ergersi a paladini in difesa della “costituzione nata dalla lotta partigiana” ma che rappresentano i frutti peggiori dell’opportunismo socialdemocratico della sinistra post-comunista.

La difesa della “democrazia” in generale

 Se la vicinanza a tali elementi basterebbe da sola ai comunisti per smarcarsi da un tale fronte, è necessario riflettere sull’atteggiamento che i comunisti e i membri di un’organizzazione rivoluzionaria che ha come obiettivo la distruzione della macchina dello Stato borghese devono assumere ogni volta che si parla “di difesa della democrazia” in generale. Anche in questo caso la domanda da porsi è sempre la stessa: democrazia per chi? Democrazia per quale classe? La questione non è affatto di secondaria importanza ma, al contrario, rappresenta fin dalla nascita del movimento operaio organizzato una delle linee di separazione decisive tra chi realmente è in grado di portare avanti una strategia coerentemente rivoluzionaria fino alle sue ultime ed estreme conseguenze e chi invece, approfittando di maggiori margini di manovra politica per la classe lavoratrice offerti dalla democrazia borghese, decide di abbandonare qualsiasi ipotesi di sollevazione rivoluzionaria, di conquista violenta del potere politico e di costruzione di una nuova macchina statale che rappresenti la forma del nuovo potere operaio, finendo per “adagiarsi” all’interno degli organi del potere borghese (parlamento, istituzioni, ministeri, amministrazioni locali) e delineando come ultimo orizzonte del proprio programma politico quello del raggiungimento di rapporti di forza e di condizioni di vita materiali più favorevoli alle classe lavoratrice, pur rimanendo all’interno dei vincoli e delle catene della dittatura della borghesia sul proletariato. È la storia delle illusioni dei socialdemocratici che già nei primi anni del XX secolo mostravano tutta la loro reale natura di nemici del processo rivoluzionario, di stampelle della borghesia nelle fila del movimento operaio e di difensori della dittatura borghese.

 Nonostante sia chiaro che il proletariato, pur all’interno dei rapporti di produzione capitalistici e quindi della dittatura borghese, non è indifferente al livello di oppressione sotto cui è posto, ciò non significa che la lotta per il raggiungimento di migliori condizioni all’interno della dittatura della borghesia debba rappresentare l’orizzonte ultimo e l’obiettivo finale della propria lotta per l’emancipazione della propria classe. Se un comunista ha il dovere di lottare per difendere le conquiste strappate dalla classe operaia alla borghesia, i margini di rappresentanza democratici all’interno delle istituzioni e i punti più avanzati della Costituzione borghese, frutto di rapporti di forza più favorevoli alla classe operaia come erano quelli al termine della seconda guerra mondiale, allo stesso modo ha il dovere di saper indicare alla propria classe il carattere momentaneo ed estremamente precario di tali conquiste, che momentanee e precarie resteranno fino a quando il potere dello stato e le sue istituzioni rimarranno nelle mani di un pugno di sfruttatori. I comunisti non possono accettare la retorica della “difesa della democrazia”, della “difesa della costituzione” o della “difesa del parlamento”, i comunisti lottano per l’abbattimento della democrazia borghese e per la costruzione della democrazia socialista, per la dittatura del proletariato sulla borghesia, per la distruzione del parlamento e della macchina del potere borghese e per la loro sostituzione con nuovi organi del nuovo potere operaio.

Il ruolo del parlamentarismo borghese nella strategia dei comunisti

A questo punto si rende necessario chiarire il rapporto dialettico che per i comunisti deve esistere tra la lotta per l’abbattimento della macchina statale borghese e la loro partecipazione all’interno degli organi rappresentativi come, appunto, il parlamento borghese. La domanda infatti può sorgere spontanea e la discussione attorno a tale questione occupò gran parte del dibattito politico interno ai primi partiti comunisti nati in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre, una questione talmente tanto importante da spingere lo stesso Lenin, nei primi mesi del 1920,  a dedicarvi un’opera a riguardo: “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”.

Come possono i comunisti porsi come obiettivo quello della distruzione della macchina dello stato borghese, del parlamento e di tutti i suoi organi istituzionali e contemporaneamente avere rappresentanti comunisti al loro interno, partecipare alle elezioni borghesi o, nel nostro caso, voler difendere un maggior numero di parlamentari? Fino a quando i comunisti avranno la possibilità di portare le proprie parole d’ordine rivoluzionarie tra le masse, di fare avanzare in seno alla classe lavoratrice la consapevolezza della necessità di lottare contro il sistema di oppressione e sfruttamento a cui il capitalismo ogni giorno la condanna, fino a quando avranno la possibilità di sfruttare ogni margine di libertà di iniziativa politica concesso dalla democrazia borghese, i comunisti non si tireranno indietro, ma al contrario si impegneranno per trasformare tali organi del potere borghese in tribune da cui diffondere le proprie posizioni al più ampio interlocutore possibile. Proprio per questo è necessario lottare per difendere ogni margine di iniziativa politica che i comunisti e le classi popolari possono avere, anche all’interno della democrazia borghese, per fare sentire la propria  voce e il proprio punto di vista, senza naturalmente illudersi che il rovesciamento dei rapporti di produzione capitalistici possa avvenire all’interno e grazie ad organi che sono diretta espressione della dittatura della borghesia.

Questa è la grande lezione leninista e dei bolscevichi per la costruzione di una forte e coerente formazione comunista rivoluzionaria nei paesi a capitalismo avanzato nei quali la tradizione della democrazia borghese è ben radicata. La differenza tra rivoluzionari e opportunisti sta proprio nel valore che viene dato a tali istituzioni: per i primi tribune da cui diffondere parole d’ordine rivoluzionarie per trasformare tali istituzioni in megafoni per le lotte sociali che si svolgono al di fuori del parlamento, per i secondi organi da ben amministrare e da rispettare che rappresentano l’orizzonte ultimo e unico della propria attività politica. Per fare un esempio che possa aiutare a comprendere il modo corretto in cui i comunisti interpretano la loro eventuale partecipazione all’interno dei parlamenti, ovvero di organi di un potere nemico, possiamo citare il caso del rivoluzionario tedesco Karl Liebknecht: fondatore insieme a Rosa Luxemburg del Partito Comunista Tedesco, ucciso dai freikorps al soldo della socialdemocrazia nel gennaio del 1919, lottò dalle tribune del Reichstag negli anni della prima guerra mondiale contro la guerra imperialista e il massacro di milioni di lavoratori per gli interessi delle diverse fazioni della borghesia in guerra, rappresentando l’unica voce tra tutti i deputati, anche quelli del suo stesso partito socialdemocratico, a votare contro i crediti di guerra e non perdendo occasione per lanciare del suo seggio parole d’ordine rivoluzionarie per la fine immediate del conflitto imperialista, svelando i reali interessi che si nascondevano dietro la retorica della “difesa della patria” dallo straniero.

Ribadiamo quindi la necessità di votare NO al referendum costituzionale per la riduzione dei parlamentari. La lotta contro la riduzione dei parlamentari e contro la riduzione dei margini di agibilità politica per i rappresentanti della classe lavoratrice è una lotta giusta e necessaria, ma assolutamente non sufficiente. È compito dei comunisti unire alle giuste rivendicazioni in difesa delle parti più avanzate della costituzione borghese la necessità della lotta per un modello alternativo di potere, per la distruzione della macchina statale della borghesia e per la costruzione del nuovo stato operaio.

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