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«Via il CEO di ENEL dall’Università», studenti della Sapienza scrivono alla rettrice

Nei giorni scorsi alcune organizzazioni studentesche dell’Università di Roma La Sapienza, ossia il Fronte della Gioventù Comunista, i collettivi di Lettere e Fisica e Link, insieme ai comitati di Roma e Civitavecchia di FFF e al Collettivo No al Fossile di Civitavecchia, hanno indirizzato una lettera alla rettrice, Antonella Polimeni, in merito alla nomina di Carlo Tamburi, presidente e amministratore delegato di ENEL Italia, come membro esterno del Consiglio d’Amministrazione dell’ateneo.

Le motivazioni richiamate della contrarietà alla nomina di Tamburi sono il contributo alla devastazione ambientale e all’inquinamento da parte di ENEL, in Italia e all’estero, le politiche sul lavoro della multinazionale, come ad esempio quanto avviene alla centrale di Civitavecchia, riconvertita a carbone solo pochi anni fa, utilizzando quale leva il ricatto occupazionale, e dove con il passaggio al turbogas, anch’esso fossile, si avrà una riduzione di centinaia di posti di lavoro nei prossimi anni, e infine la contrarietà alla presenza di rappresentanti di imprese private negli organismi dirigenti dell’università.

Riportiamo qui di seguito il testo completo della lettera.

All’attenzione della Rettrice,

le scriviamo come studentesse e studenti della Sapienza assieme al comitato No al Fossile- Civitavecchia, a Fridays For Future Civitavecchia e a Fridays For Future Roma.

Abbiamo appreso con sconcerto che il Senato Accademico dell’Università “La Sapienza” di Roma ha nominato in data 29 marzo u.s., Carlo Tamburi, Ceo di Enel Italia, quale componente esterno del suo Consiglio di amministrazione, designandolo nell’ambito di una rosa di nominativi individuati a seguito di avviso pubblico.

In un momento storico di dibattito sui cambiamenti climatici, sulla tutela della biodiversità, sulla neutralità climatica, ma anche sulle immense opportunità che una vera transizione ecologica potrebbe garantire in termini di redistribuzione della ricchezza e di giustizia sociale, offrire ad un personaggio come Tamburi una vetrina autorevole, prestigiosa e pubblica come “La Sapienza” significa soprattutto legittimare e quindi sostenere la sua visione anacronistica della produzione energetica perennemente legata all’estrattivismo e ai combustibili fossili.

Ancora una volta la nostra università si trova schierata a fianco della conservazione e riproduzione di un sistema nocivo e da superare, associandosi ad un’azienda che figura tra le principali responsabili della crisi climatica e il cui impatto socioambientale nei territori da essa occupati non può essere trascurato.

Decine di comitati, movimenti e associazioni di tutta Italia hanno più volte ricordato a Tamburi che ambiente, salute e lavoro non possono passare dal gas, combustibile inquinante e pesantemente climalterante. Non è un caso che la paventata costruzione di nuovi moduli turbogas in realtà come Civitavecchia e Brindisi abbia generato sconcerto e preoccupazione tra decine di lavoratori e lavoratrici.

Non è un caso che da settimane i rappresentanti di diverse organizzazioni sindacali di Civitavecchia, tra le quali la CGIL, la FIOM-CGIL, la UIL e l’USB chiedano ad Enel l’apertura di un tavolo di confronto sulle disastrose ricadute occupazionali che le nuove turbogas avrebbero in un territorio già duramente colpito dalla crisi economica e dalla pandemia e ciò a testimoniare che certe scelte industriali non sono soltanto un problema per l’ambiente, ma anche per lavoratori e lavoratrici.

Si parla infatti di una drastica riduzione del personale diretto e indiretto, mentre la riconversione viene spacciata per un’opera di responsabilità ecologica da anteporre alla questione occupazionale. Ma fu proprio questa la leva con cui nei primi anni duemila fu imposta la conversione a carbone, e non si può certo credere che vent’anni fa Enel non conoscesse le conseguenze ecologiche del carbone. È chiaro cosa muova le scelte produttive del colosso energetico.

Il quadro si fa ancor più preoccupante se rivolgiamo lo sguardo verso l’attività portata avanti da Enel tramite le sue società controllate in Cile.

Ne sono esempio lampante le due centrali termoelettriche Bocamina I e Bocamina II (chiusa la prima nel 2020, da chiudere la seconda entro il 2022), che per decenni hanno riversato sulla vicina città di Coronel tonnellate di materiale tossico, contaminandone l’aria, l’acqua e la terra. Le conseguenze sanitarie su abitanti e lavoratori sono state ripetutamente denunciate e ignorate. La produzione di energia di Enel Chile è concentrata per la maggior parte (48 %) nel settore idroelettrico, che sta minacciando da anni l’accesso ad uno dei beni più essenziali: l’acqua. 

I danni sociali e ambientali, ma anche culturali, causati dalle deviazioni dei fiumi operate a favore della costruzione di enormi dighe, sono stati portati alla luce e denunciati dalle stesse popolazioni che vivono negli ecosistemi stravolti da questi mega progetti. Ne sono testimonianza le comunità Mapuche che stanno lottando per riportare nel suo letto originario il fiume Wueneywue, risorsa idrica, un tempo luogo di incontro e di riti nonché, secondo la cosmovisione mapuche, spirito vivente. O i Defensores del Alto Maule che denunciano la contaminazione delle acque del Maule a causa della centrale attualmente in costruzione.

Continuare a dare spazio all’interno dell’amministrazione della Sapienza a multinazionali spregiudicate come Enel significa non solo accettarne i metodi e le priorità, ma anche porre la comunità universitaria al suo servizio.

È impensabile che Enel possa offrire alla Sapienza strategie “sostenibili e in linea con l’attuale contesto sociale”, perché gli interessi di Enel e della sua dirigenza si muovono in direzione opposta rispetto alla sistemica rivoluzione sociale e della produzione che l’emergenza climatica esige.

Non è un segreto che la posizione pubblica di Tamburi sulla filiera dei combustibili fossili è quella di un manager che punta solo ad ottimizzare i profitti della propria azienda e, nello specifico caso della decarbonizzazione italiana, a puntare sulla costruzione di nuove centrali turbogas, in sostituzione delle unità a carbone, al fine di garantire ad Enel le copiose entrate regolate dal Capacity Market. Tutto questo, secondo noi, non ha nulla a che fare con la ricerca, con la transizione ecologica, con la sostenibilità e con l’interesse pubblico, anzi.

Un’università che abbia come obiettivo quello di contrastare la crisi climatica e ambientale in atto non può continuare a rivolgersi a quelle stesse aziende che della crisi sono responsabili; indirizzare la ricerca e la formazione verso la sostenibilità significa necessariamente svincolarsi dalla presa che queste multinazionali hanno sull’istruzione.

Consideriamo, inoltre, la logica che muove gli investimenti di grandi imprese come Enel: quando intravedono qualche possibilità di profitto, queste investono nella ricerca su nuove tecnologie e fonti energetiche alternative. Ma possiamo davvero permettere che il progresso scientifico e tecnologico risponda a questi interessi e non al benessere collettivo?

Da due anni ormai si chiede alla Sapienza di adempiere al proprio ruolo di istituto di ricerca e di costruzione della cultura, e di farlo ponendo fine ai propri legami con Eni, con Enel, con Leonardo, la cui ingerenza nella gestione di fondi, tirocini, corsi di studio diventa sempre più inaccettabile. La ricerca non è libera quando la dirigenza dell’università premia gli interessi e i profitti di aziende climalteranti, e dà loro diritto di parola all’interno dei nostri organi amministrativi.

La “sostenibilità” nel Suo programma figura come punto chiave della mission dell’università; la nomina di Tamburi ostacola inequivocabilmente questo obiettivo: l’università non può muoversi verso una transizione ecologica e contemporaneamente conservare e incrementare le relazioni con privati quali Enel, Acea, Eni, Terna (come invece Lei auspicava) che dalla transizione devono essere esclusi.

La comunità studentesca, a ogni livello di istruzione, si è schierata in modo esplicito con i movimenti ambientalisti, e condanna apertamente il ruolo che queste aziende hanno avuto nel celare gli effetti – anche i più nocivi – del proprio operato e l’influenza che esercitano sui governi e nei luoghi pubblici. La volontà di molte e molti tra studentesse e studenti è chiara, eppure la nostra università si trova di nuovo indietro, e non riesce a rinunciare alla sicurezza portata dallo status quo.

Nell’augurio di buon lavoro che annuncia la nomina di Tamburi diffuso dalla rettrice Antonella Polimeni abbiamo letto, tra le altre cose, che questa scelta sarà di grande utilità nel contesto di un organo di programmazione finanziaria e di indirizzo strategico. Ed è proprio questo che ci preoccupa: sapere che la più grande università pubblica italiana potrebbe farsi influenzare dai piani di una S.p.A. e da quelli di Confindustria.

La Sapienza è disposta, pur di “acquisire una posizione di rilievo nel panorama nazionale”, a tollerare l’ingerenza di queste multinazionali?

Esprimiamo la nostra contrarietà al fatto che esponenti di grandi imprese siano parte degli organismi dirigenti di un’università pubblica. Infatti, le logiche di profitto che governano le aziende sono del tutto incompatibili con i principi che dovrebbero ispirare l’Università. La commistione tra università pubbliche e imprese private è frutto delle politiche di privatizzazione e definanziamento che affliggono il sistema universitario.

Dal canto loro le imprese vedono nell’istruzione universitaria un grandissimo bacino di opportunità per il loro profitto. Tra i loro obiettivi vi è condizionare la didattica sulla base delle proprie specifiche richieste di figure professionali, scaricando così sull’università pubblica, e quindi sulla collettività, i costi della formazione aziendale. Questo asservimento comporta l’impoverimento della didattica e della produzione scientifica da una parte, e dall’altra uno svantaggio per gli studenti che ricevono una formazione eccessivamente settorializzata. Lo stesso vale per la ricerca, anch’essa soggetta a logiche di profitto privato, aliene da qualsiasi interesse per la collettività.

Chiediamo pertanto alla Magnifica Rettrice e al Senato Accademico dell’università “La Sapienza” di Roma di revocare immediatamente la nomina di Tamburi dal loro CdA.

La strategia per la transizione ecologica italiana non può essere scritta né da Enel né dal Comitato tecnico Energia di Confindustria. La portata della sfida che abbiamo di fronte da qui ai prossimi anni necessità di straordinari sforzi collettivi, sforzi ai quali, secondo noi, nessuno dovrebbe sottrarsi, soprattutto un’università pubblica come “La Sapienza”.

Questo è il momento di prendere posizione ed intraprendere azioni coraggiose e determinanti per contrastare la crisi climatica in atto. Lei da che parte sta?

 

Collettivo No al Fossile – Civitavecchia                                                Collettivo di Lettere – Sapienza

Fridays For Future Civitavecchia                                                    Collettivo di Fisica – Sapienza

Fridays For Future Roma                                            Fronte della gioventù comunista Sapienza

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