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La guerra di sanzioni e la spirale imperialista.

La guerra di sanzioni tra Stati Uniti e Unione Europea da una parte, Russia dall’altra è solo l’assaggio di quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi. Ad un secolo dalla prima guerra mondiale assistiamo al ripresentarsi di condizioni simili a quelle che si verificarono tra fine ‘800 ed inizio ‘900 e che condussero alla guerra mondiale, al disastro per decine di paesi, alla morte di milioni di persone. Queste contraddizioni vengono oggi proiettate su scala ancora maggiore e sempre più globale. Inevitabilmente gli interessi dei grandi monopoli condizionano le politiche dei rispettivi stati, determinano le scelte nel campo della politica internazionale, spingono ad integrazioni sempre maggiori a livello internazionale che si esprimono oggi in grandi campi contrapposti. Non bisogna fare confusione con quello che è accaduto dal dopoguerra al 1989. Allora a confrontarsi erano due opzioni contrapposte, due visioni di sistema completamente antitetiche: capitalismo da una parte, socialismo, nonostante cambiamenti, errori e modifiche che meriterebbero autonomo spazio di approfondimento, dall’altra. Al contrario oggi la spartizione tra le grandi potenze avviene sulla base dei medesimi interessi economici di fondo, interessi comuni nella natura e inevitabilmente configgenti sul piano reale. Quando queste contraddizioni giungono a gradi di sviluppo sempre maggiori, il risultato è il verificarsi di conflitti che dal livello prettamente regionale, possono evolvere in qualcosa di ulteriore.

La miccia scatenante da diversi anni è il controllo delle fonti di energia e delle rotte energetiche principali che trasportano gas e petrolio verso l’Europa. Non si può non tracciare un filo tra Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Ucraina senza pensare alla questione del controllo delle risorse e di paesi fondamentali per le rotte energetiche. L’interesse dei grandi monopoli che controllano il mercato mondiale è determinante, ma non è certo l’unico. La questione dell’accesso a fonti energetiche a basso costo riguarda tutto il settore manifatturiero che ha interesse ad abbassare i costi di produzione, si intreccia con la questione principale della crisi del sistema capitalistico, determinata dalla costante caduta dei saggi di profitto, tanto più visibile nei paesi occidentali, e della conseguente necessità di abbassare il costo delle merci per mantenere la propria competitività a livello globale. La ridefinizione delle sfere di influenza e del peso delle diverse nazioni avviene proprio sulla base della considerazione che i paesi occidentali, in piena crisi economica, cedono terreno di fronte alle economie capitalistiche emergenti, che oggi non sono più terreno di conquista, ma dispongono di propri monopoli nei settori industriali e finanziari, con la conseguenza di voler a loro volta determinare la politica dei loro stati e non più essere determinati. L’aggressività dei paesi occidentali legati alla Nato, è determinata da questa condizione. Così come è determinata da ciò la tendenza ad aumentare i livelli di aggregazione internazionale tra stati, competere sulla partecipazione di quelli di frontiera all’una o all’altra alleanza imperialista. Questo è quello che ha generato la situazione odierna in Ucraina.

Il passaggio successivo è che il mercato globale, dominato dalle teorie liberiste della libertà di circolazione inizia a cedere il passo a misure volte a favorire i monopoli nazionali, o spesso i monopoli legati a aggregazioni di stati; si inizia con le sanzioni, si prosegue con misure protezioniste. Un passaggio drammatico per un’economia in cui i grandi monopoli sono espressione di una rete incrociata di partecipazioni, controllo e interazioni tra gruppi industriali, bancari, assicurativi, privati o a capitale misto pubblico privato, che non conoscono frontiere. Si genera allora una spirale in cui a sanzioni, si risponde con sanzioni, giochi speculativi, modificazioni nella composizione del capitale sociale dei grandi trust internazionali, ma soprattutto nel breve e medio periodo un ulteriore flessione della produzione industriale specie nei paesi indirizzati fortemente alle esportazioni. Questo alimenta la crisi, con il paradosso che le disperate ed ardite misure intraprese per ridurre la crisi ottengono il risultato opposto di alimentarla: il capitalismo entra in una spirale al ribasso che non ha fine e che conosce come soluzione storicamente determinata solamente la guerra. L’unica forma di keynesismo largamente sperimentata nella storia dell’umanità è proprio quella bellica (i keynesiani tendono a oscurare questo passaggio).

Se proviamo ad analizzare l’impatto delle sanzioni tra Unione Europea e USA da una parte, Russia dall’altra per ciò che riguarda l’Italia possiamo avere una prima idea di quello che si sta innescando. Tutto questo riguarda solo la condizione attuale, da tutti ritenuta iniziale, rispetto alla più seria minaccia di eventuali contro sanzioni sul piano energetico, ancora non attuate. Il blocco delle importazioni alimentari da UE e USA verso la Russia peserà fortemente su un settore fondamentale dell’industria nazionale italiana. Sebbene oggi economisti e media tendano a diminuirne la portata è necessario incrociare alcuni dati per comprenderne a pieno il significato. Stando ai dati riportati da Il Sole 24 ore l’Italia è solo al 12° posto nella lista dei paesi più colpiti dalle sanzioni russe, eppure la Federalimentari ha stimato che lo stop russo costerà circa 100 milioni di euro alle imprese italiane. Ad essere colpito sarà il settore alimentare e in particolare l’export su vino, ortofrutta, liquori, conserve, carni fresche e pasta. Pochi però hanno avuto il coraggio di incrociare questi dati con quelli usciti proprio alcuni giorni fa sul prodotto interno lordo italiano e sulla produzione industriale. L’Italia è nuovamente in recessione, mentre i dati sulla produzione industriale sono stati parzialmente positivi. Ma analizzando ulteriormente il dato si vede che a trainare la ripresa – apparente – del settore manifatturiero italiano è stato proprio l’agroalimentare. A fronte di un generale aumento dello 0,4% della produzione industriale, il settore agroalimentare ha tirato la volata con un aumento del 4% netto annuale, in larga parte destinato alle esportazioni. Un colpo sull’export di questa portata può avere ripercussioni abbastanza serie sul sistema produttivo agroalimentare, considerando che la Russia è tra i primi cinque partner commerciali dell’agroalimentare italiano.

Ma poi è necessario considerare l’impatto sull’economia delle prime sanzioni, quelle emesse da USA e UE a cui ha risposto la Russia con l’agroalimentare. Le stime sono state realizzate dalla Sace, società che assicura l’export, che parla di un impatto possibile di 2,4 miliardi di euro. Il settore più esposto in questo caso è quello della meccanica strumentale, che incide per il 25% dello scambio con la Russia. Si stima una possibile flessione fino al 9% dell’export italiano, con conseguenze prevedibili facilmente. Basta uscire dallo sguardo ristretto, ma immediatamente comprensibile del proprio paese, e guardare a livello globale relativamente a UE e USA per capire immediatamente le conseguenze di quello che sta avvenendo. E tutto questo senza contare le possibili ripercussioni sulle rotte di trasporto internazionali, compresa la questione dello spazio aereo russo e l’inevitabile risposta occidentale nel caso, potenzialmente in grado di colpire seriamente il settore dei trasporti. Per non parlare dell’energia. Una spirale come detto potenzialmente senza fine, che incontra come unico ostacolo gli interessi stessi dei grandi monopoli che hanno interesse a mantenere i propri profitti.

Il governo Renzi trascinando l’Italia a pieno in questa spirale, portando con sé una grande responsabilità storica. Nessuna misura interna sarà in grado di compensare il diastro creato dalla guerra di sanzioni sull’economia italiana in recessione. Tutto questo viene condotto con ulteriore forza dal governo nella ricerca della nomina a commissario europeo dell’attuale Ministro degli Esteri italiano, che pertanto deve assumere posizioni sempre più forti per assicurare della sua fedeltà i grandi interessi che si muovono nel campo dell’UE.

Ad un secolo dalla prima guerra mondiale l’umanità è in balia del capitalismo, potenzialmente in grado di sacrificare agli interessi economici dei grandi gruppi finanziari il futuro dei popoli del mondo.

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