Non sorprende che la miniserie televisiva britannica Adolescence, uscita il 13 marzo su Netflix, sia presto diventata la serie più vista del momento, suscitando un clamore mediatico internazionale per via delle forti e attuali tematiche che tocca. Se ne è parlato, infatti, soprattutto in riferimento al tema della misoginia e del femminicidio, sicuramente centrali nella serie, e legati, inoltre, al più recente fenomeno online delle “comunità” incel e, più in generale, delle teorie della “manosfera”.[1]
Il termine “Incel” è stato coniato in rete negli anni ’90 per indicare gli “involuntary celibate”, cioè gli uomini celibi contro la loro volontà. Si definiscono e riconoscono in questa categoria le persone, generalmente di sesso maschile che, pur desiderandolo, non riescono ad instaurare relazioni affettive e sessuali con donne e per questo covano sentimenti di frustrazione, di rivalsa e di odio violento. Il termine fa riferimento a una vera e propria teoria, abbastanza articolata, detta della “red pill”, che potremmo definire quasi complottista, secondo cui, in breve, le donne, anziché essere considerate oppresse, godrebbero di molti vantaggi nella società, tra cui un privilegio sessuale da cui la maggior parte degli uomini sono esclusi.
Le prime community Incel nascono negli Stati uniti e ben presto si diffondono anche in Europa. Adolescence è ambientata in un luogo non meglio specificato del Regno Unito, dove queste teorie sono così diffuse tra i giovani e giovanissimi e la serie è diventata talmente tanto popolare da spingere il primo ministro Keir Starmer a renderne gratuita la fruibilità per essere trasmessa in tutte le scuole britanniche. Sarebbe un errore pensare, tuttavia, che questo fenomeno riguardi solo il mondo americano o quello anglosassone: da uno studio condotto dalla Comunità Europea nel 2021, emerge infatti che l’Italia si attesta al quarto posto in Europa per numero di individui appartenenti a queste comunità, dopo Germania, Regno Unito e Svezia.
Tratto distintivo delle comunità Incel e delle teorie che ne sono alla base è una tendenza alla biologizzazione dei rapporti tra i sessi. L’assunto di partenza è che ogni uomo ha diritto per sua stessa natura a vedersi garantiti rapporti sessuali e relazioni sentimentali, negati dalle donne che operano la scelta del proprio partner sulla base di una scala di valutazione che risponde a criteri ben definiti, riassunti in gergo nella sigla LMS, (Look, Money, Status). Secondo questa teoria, tutti gli uomini che non rientrano nella fascia ristretta di chi “ce l’ha fatta” o di chi “è nato fortunato”, secondo un modello di competitività, in questo caso maschile, perfettamente compatibile con le aspettative imposte dal sistema capitalistico, si vedrebbero negati il proprio diritto ad essere presi in considerazione dalle donne e -in forma indiretta- privati della possibilità di essere felici.
Da sentimenti di autocommiserazione, vittimismo e frustrazione nasce la rabbia. Una rabbia feroce diretta nei confronti del genere femminile a tutto tondo, in cui le donne sono percepite come il nemico da combattere, disprezzare, incolpare perché fautrici di un modello che condanna, chi non rappresenta a pieno un determinato prototipo di “desiderabilità” maschile, all’inadeguatezza, alla solitudine e all’infelicità, ma allo stesso tempo come oggetti da sminuire e manipolare, considerare deboli e quindi possedere, fino ad arrivare a privarle nell’idea delle caratteristiche che le definiscono in quanto esseri umani. In questi contesti, come accade anche per i fenomeni di bullismo e come minimo comune denominatore di ogni forma di violenza di genere, la sopraffazione e la deumanizzazione, spesso influenzate da criteri basati sui rapporti di potere, diventano delle tendenze rilevanti: non è casuale che nel mondo Incel ci si riferisce, infatti, alle donne con la sigla “NP”, che sta a significare “non persone”.
Il primo episodio della serie si apre con la polizia che irrompe violentemente in casa della famiglia Miller per arrestare il figlio più giovane, il tredicenne Jamie, accusato per l’omicidio di una sua compagna di scuola media, Katie Leonard. La trama è semplice. Il punto forte della serie è la narrativa e l’esplorazione psicologica dei personaggi e con questa anche la denuncia sociale che ne emerge. Attraverso le indagini degli ispettori di polizia si viene pian piano ricostruendo il delitto e le sue motivazioni: la misoginia che porta alla violenza più estrema. Quest’ultima, anticipata, come spesso accade, da altre forme di violenza, come la condivisione non consensuale di materiale intimo, di cui veniamo a conoscenza durante il colloquio con la psicologa incaricata di valutare Jamie dopo l’arresto, l’episodio probabilmente più pesante di tutti. Girato in un ambiente freddo, spoglio, in assenza di qualsivoglia sovrastruttura scenografica, in cui l’unico protagonista risulta essere il viaggio introspettivo di Jamie, che guidato dal confronto con la professionista, fa emergere in maniera spaventosa ed agghiacciante i tratti di un profilo inconsapevolmente violento e brutale: quello di un 13enne che da vittima si è trasformato in carnefice, portatore di rabbia misogina e di un modello di mascolinità tossica e violenta.
È interessante come la serie mostri uno dei terreni fertili in cui germoglia la violenza maschile sulle donne: la solitudine, il disagio psicologico, una cultura maschilista volta al possesso delle ragazze e alla competitività tra ragazzi, nonché il bullismo tra i giovani e un uso dei social fuori controllo. Tutto questo avviene nella cornice di un ambiente scolastico incapace di affrontare queste tematiche. Questa è una serie sull’incomunicabilità tra generazioni, tra insegnanti e studenti, tra genitori e figli. È un ritratto crudo e potente del fallimento di un modello sociale. Non solo di quello britannico, però, e il successo internazionale si spiega forse così. Sarebbe più corretto parlare del fallimento di un sistema, quello scolastico e familiare a primo avviso, quello socio-economico ad una lettura più attenta.
Da subito appare centrale, infatti, il tema del rapporto tra genitori e figli, in particolare tra padre e figlio, Eddie e Jamie, la cui relazione non è esente da un modello di mascolinità che ha contribuito a creare distanza e incomunicabilità tra i due. La serie ha il pregio di riuscire a raccontare il dramma di una famiglia, quella del carnefice, senza però andare a giustificare minimamente Jamie, ma anzi andando a denunciare fortemente il tema della violenza maschile sulle donne, in questo caso tra i giovanissimi, senza banalizzarlo, bensì esplorando i difetti e le carenze del contesto pubblico-sociale e privato-familiare che causano isolamento sociale, disagio psicologico, bullismo e violenza.
La serie mostra come dietro a un delitto così orribile, un femminicidio, non ci sia un mostro, ma un ragazzino apparentemente “normale”, bravo a scuola, e che i familiari pensavano di conoscere, anche se passava troppo tempo da solo in camera sua. “Che male poteva fare lì dentro?” si chiedono, ormai retoricamente, i genitori nell’ultimo episodio.
Forse è proprio questo il punto su cui vale la pena soffermarsi a riflettere. Il chiaro-scuro in cui per mancata volontà e deresponsabilizzazione si continua a non voler vedere il netto contrasto esistente tra ciò che nell’immaginario collettivo ci porta a percepire un modello socialmente accettato come “sano”, “vincente”, “funzionale”, “a cui dover ambire” e la realtà che questo modello produce, le ripercussioni che innesca. Il senso di solitudine, frustrazione e impotenza che produce l’aver assunto come metro di misura per definire il valore di una vita umana, standard e prototipi artificialmente imposti, realmente raggiungibili solo da quei pochi privilegiati che iniziano la loro corsa ad un passo dalla linea del traguardo, lasciando tutti gli altri nell’illusione di aver fallito, ancor prima di cominciare. La disgregazione sociale, unita alla condizione di instabilità, precarietà e assenza di prospettive sono il prodotto diretto di una società atomizzata, fondata sull’individualismo e sulla competizione in ogni ambito della vita. Sono il prodotto di un sistema che basa la sua stessa sopravvivenza su disuguaglianze e violenza, che tende a ridurre l’uomo ed ogni aspetto della sua esistenza alla condizione di oggetto.
Attraverso la descrizione del profilo di Jamie emerge in modo graduale, ma altrettanto lucido, la ricostruzione del processo che in lui innesca la trasformazione da vittima a carnefice. Un ragazzo fragile, in costante bisogno di approvazione, depersonalizzato e respinto da canoni di mascolinità, bellezza, successo e popolarità a cui ambisce ma che non riesce a soddisfare, da un nucleo familiare disfunzionale, da un sistema violento che prova sulla propria pelle e che lo fa sentire inadeguato, sbagliato, ma allo stesso tempo impotente. La sofferenza si trasforma in rabbia e viene interiorizzata, insieme a ciò che Jamie ha appreso dalla realtà che ha vissuto e che lo porta a replicare le stesse dinamiche che lo hanno vessato durante la sua infanzia e adolescenza, nei confronti della personificazione che lui stesso opera di questo male: Katie.
In Adolescence la scelta di un protagonista che si trova nella fase di vita a cavallo tra la fine della pubertà e l’inizio dell’adolescenza non è casuale, ma sta a raffigurare l’archetipo di una tela bianca su cui viene dipinto il fallimento di un sistema, nei suoi risvolti più agghiaccianti.
La serie mette in evidenza la complessità di un fenomeno sociale come quello della violenza sulle donne, le cui basi poggiano sicuramente su una cultura ancora maschilista e patriarcale che però, si nutre ed è agevolata da un sistema socio-economico che causa isolamento sociale, disagio psicologico, violenza e discriminazioni di tutti i tipi, dal bullismo di cui sono vittime ragazzi e ragazze, alla misoginia. Ci mostra una società che non è in grado di sviluppare un sistema scolastico capace di educare a tutto tondo i giovani (e in UK fanno educazione sessuale, come viene anche ricordato nella serie), di riuscire a stargli accanto e comprenderli e di notare il disagio degli studenti e di prevenire violenze anche estreme. Un gap educativo e comunicativo presente anche in ambito familiare.
Adolescence ci ricorda che anche in questo caso, come per tutte le situazioni di oppressione e violenza, è necessaria un’analisi a 360 gradi delle condizioni materiali in cui si determina. Ci ricorda che ora più che mai è importante non abbandonarsi all’individualismo e all’isolamento sociale di cui i giovani sono sempre più vittime. La risposta collettiva e l’organizzazione sono le armi primarie contro ogni forma di violenza e sopraffazione, perpetrata in ogni ambito della società.
La serie, sviluppata in ogni episodio con un unico piano sequenza che contribuisce a creare una narrativa realistica e angosciante, accompagnata da una recitazione eccezionale, è artisticamente valida e la visione sicuramente consigliata.
[1] termine utilizzato per descrivere un gruppo eterogeneo di una comunità online che include gli attivisti per i diritti degli uomini, gli Incel, i “Men Going Their Own Way” (MGTOW) i Pick-Up Artist (PUA) e i gruppi per i diritti dei padri. (Treccani, Enciclopedia online https://www.treccani.it/enciclopedia/ricerca/manosfera/Lingua_italiana/ )