di Martina Limosani e Angelo Panniello
Dalla fine del 2024 il nostro Paese è attraversato dagli scioperi e dai picchetti degli operai metalmeccanici che, nonostante il silenzio quasi assoluto da parte di televisioni e giornali, da nord a sud si mobilitano per ottenere il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
La trattativa per il rinnovo del CCNL dei lavoratori metalmeccanici per il triennio 2024-2027 è ancora in fase di stallo, nonostante il precedente Contratto Collettivo sia già scaduto a giugno 2024. Il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore metalmeccanico industria riguarda circa 1,6 milioni di lavoratori, impiegati sia nei grandi gruppi industriali che nelle piccole e medie imprese attive in settori strategici dell’economia italiana, come automotive, impiantistica, siderurgia, aerospazio, difesa ed energia.
Secondo la piattaforma unitaria di FIM, FIOM e UILM, nel 2022 il comparto metalmeccanico ha generato circa l’8% del PIL nazionale, rappresentando il 6,2% dell’occupazione e addirittura il 45% delle esportazioni italiane. La metalmeccanica è, infatti, uno dei quattro settori chiave della manifattura italiana, insieme a chimico-farmaceutico, agroalimentare e tessile-moda-abbigliamento. Secondo il Centro Studi ItalyPost, nel 2024 rappresenta da sola il 40% del fatturato delle prime 100 aziende italiane.
Il rinnovo di questo contratto ha quindi un peso politico enorme, sia per la strategicità del settore (al centro del processo di transizione industriale e tecnologica) sia perché i metalmeccanici sono la categoria più sindacalizzata dell’industria privata. Questo, ovviamente, è il risultato della conflittualità che negli anni del secolo scorso questa categoria è riuscita ad esprimere.
Proprio per questi motivi, il rinnovo del CCNL metalmeccanico è osservato con attenzione da molte parti sociali e politiche. In primo luogo, da altri settori di lavoratori, per i quali il contratto dei metalmeccanici rappresenta spesso uno standard di riferimento: una base con cui confrontare le proprie rivendicazioni in termini di aumenti salariali, tenuta dei minimi contrattuali, rafforzamento del welfare integrativo, ecc. Storicamente, il CCNL metalmeccanico ha contribuito ad alzare l’asticella contrattuale per tutti i lavoratori italiani. Per questo, a seguire con attenzione le trattative non sono solo i sindacati di categoria, ma anche — e forse ancor di più — i padroni, consapevoli che una vittoria dei metalmeccanici può trascinare con sé molte rivendicazioni in altri settori.
LA PROPOSTA CONTRATTUALE DEI CONFEDERALI E LA “CONTRO-PIATTAFORMA” DI FEDERMECCANICA
Nel febbraio 2024, dopo i cicli di assemblee di fabbrica con i lavoratori di tutte le aziende metalmeccaniche, FIM, FIOM e UILM presentano alle associazioni padronali del settore metalmeccanico, Federmeccanica e Assistal, una piattaforma sindacale unitaria per il rinnovo della contrattazione, approvata dalla maggioranza dei lavoratori.
Le timide rivendicazioni dei sindacati confederali riguardano la richiesta di un aumento salariale di 280 euro lordi mensili spalmati su tre anni, l’aumento dell’elemento perequativo da 485 a 700 euro nelle aziende in cui non esiste la contrattazione di secondo livello, la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di salario con la premessa di “garantire l’occupazione aumentando la produttività e la competitività”, un aumento del welfare integrativo di 250 euro ai 200 già previsti e delle generiche richieste di migliorie inerenti alla formazione, alla sicurezza sul lavoro, agli strumenti per la conciliazione vita-lavoro e la lotta alla precarietà.
Seppur dinanzi a richieste veramente minime, le associazioni padronali hanno risposto con una “contro-piattaforma” che attacca numerosi istituti già previsti dalla contrattazione nazionale: propongono un incremento del welfare contrattuale a 400 euro, senza prevedere aumenti salariali strutturali; un bonus una tantum di 700 euro lordi annui da giugno del 2026 per i dipendenti di aziende con un margine operativo superiore al 10% e in crescita; la sostituzione degli scatti di anzianità con un “elemento di continuità professionale”, che non garantisce reali incrementi salariali nel tempo; l’elemento perequativo legato alla produttività, fino alla gestione dei permessi personali.
Insomma, un vero e proprio attacco frontale a tutti gli elementi positivi che caratterizzano il CCNL Metalmeccanico come uno dei migliori contratti nazionali.
SU CHE PIATTAFORMA SI SCIOPERA?
È necessario porre una riflessione sulla condotta dei sindacati confederali, che oggi operano in una situazione di difficoltà oggettiva e soggettiva a causa di decenni di concertazione. Leggendo la piattaforma per il rinnovo del CCNL, risultano evidenti tutti i limiti del modello contrattuale concertativo: non riuscire effettivamente ad ottenere un miglioramento delle condizioni materiali di lavoro e di vita, tutelando il potere di acquisto e incrementando i salari reali.
Infatti, è dal 2012 che gli aumenti previsti dal CCNL vengono calcolati sulla base dell’indice IPCA, che non tiene conto dei costi energetici di gas, elettricità e carburante, che in questa fase di crisi caratterizzata dalla guerra imperialista hanno toccato le stelle. Secondo l’OCSE, in Italia tra il 2019 e il 2023 i salari reali sono crollati del 6,9%; questo crollo ammonta a 8,7% se paragonati a 16 anni fa; anche l’ILO conferma che l’Italia è tra i paesi europei più colpiti dalla perdita di potere d’acquisto.
Se il padronato pretende di rinnovare i Contratti Collettivi attuando un abbassamento dei salari e facendo affidamento ai “flexible benefits”, ovvero i benefici di welfare che però non costituiscono un reale salario, che risultano molto convenienti alle aziende in quanto sono detassati, d’altro canto queste rivendicazioni non incidono realmente sul potere d’acquisto dei lavoratori, ma anzi, svuotano il contratto nazionale della sua funzione migliorativa delle condizioni materiali degli operai.
Questo modello contrattuale fortemente sostenuto da CGIL, CISL e UIL prevede l’istituzione degli Enti bilaterali, istituti finanziati con un prelievo di centinaia di milioni di euro dalle tasche dei lavoratori e gestiti “pariteticamente” da datori di lavoro e sindacati firmatari, che in moltissimi contratti nazionali dovrebbero occuparsi di formazione professionale, sicurezza sul lavoro e prestazioni assistenziali, ma che all’atto pratico permettono di scaricare costi che dovrebbero essere sostenuti dai datori di lavoro e/o dalla collettività sulle spalle degli operai, in un tavolo che spesso discute e concorda politiche di riorganizzazione delle imprese.
La responsabilità dei sindacati confederali rispetto ad un modello peggiorativo si estende anche all’ambito della sanità: l’introduzione della sanità privata nei contratti nazionali attraverso gli enti bilaterali (nel caso dei metalmeccanici col fondo Metasalute), rompe con l’esigenza dei lavoratori, e più in generale della classe, di godere realmente di un sistema sanitario pubblico e gratuito, conquista ottenuta attraverso le lotte del movimento operaio e dei comunisti negli anni ‘70. Tali fondi privati sono volti a concorrere al Servizio Sanitario Nazionale, rispondendo alle logiche di profitto che vedono un sempre più profondo definanziamento della sanità pubblica in favore del privato, costringendo moltissimi lavoratori a rinunciare alle cure o alla prevenzione, pur pagando tasse e contribuiti, a causa delle lunghe liste di attesa e i costi proibitivi della sanità privata.
Infine, anche per quanto riguarda il tema delle pensioni, i CCNL sostenuti dai sindacati confederali prevedono l’introduzione di fondi privati, come il fondo Cometa per gli operai metalmeccanici, che vanno progressivamente a puntare nella direzione della previdenza privata. Tale paradigma, unito agli attacchi padronali alle pensioni che hanno previsto la riduzione degli assegni e l’aumento dell’età pensionabile, si scontra con la necessità oggettiva di garantire e migliorare la previdenza pubblica, che dovrebbe essere finanziata da fondi statali e non dipendere totalmente dai contributi dei lavoratori e dei pensionati.
Dunque, se da un lato è necessario sostenere con ogni forza questo segmento di classe che si organizza e combatte per l’ottenimento del proprio Contratto Collettivo, dall’altra parte è fondamentale comprendere le contraddizioni intrinseche alla condotta sindacale di CGIL, CISL e UIL, che propongono un modello che difficilmente sul lungo periodo potrà essere in grado di recuperare la perdita del potere di acquisto e aumentare i salari compromessi ulteriormente dalla crisi sistemica.
IL PUNTO SULLA TRATTATIVA IN CORSO
Dopo una serie di incontri infruttuosi, il tavolo della trattativa viene dismesso il 12 novembre 2024, con le associazioni padronali che assumono posizioni oltranziste, valutando come “inconciliabili” le istanze avanzate da FIM, FIOM e UILM, e di fatto manifestando chiaramente la volontà di non voler concedere nulla di quanto chiesto dai lavoratori.
Ciò porta alla proclamazione dello stato di agitazione sindacale, che prevede il blocco delle flessibilità e degli straordinari accompagnati da diversi pacchetti di scioperi lanciati a livello centrale e unitario dai tre sindacati, ma articolati indipendentemente nelle federazioni territoriali. Si sperimentano nuove forme di sciopero: i pacchetti di otto ore di sciopero lanciati a livello nazionale vengono spalmati su più giorni dalle RSU nelle aziende, sia per mandare in confusione l’organizzazione della produzione, sia per non gravare troppo sui salari dei lavoratori, in vista di una lunga maratona di mobilitazioni. Si registrano anche scioperi articolati a scacchiera, che prevedono un’astensione in modo alternato di gruppi, reparti o aree di lavoratori. A Torino, la Fiom sperimenta una nuova modalità di sciopero “flessibile”, articolando il pacchetto di sciopero di otto ore su tre giornate, durante le quali i singoli lavoratori decidono, in base alle loro possibilità, quando e per quanto tempo scioperare.
Si arriva così al 28 marzo 2025, giornata in cui CGIL, CISL e UIL proclamano lo sciopero generale nazionale del comparto metalmeccanico. L’adesione dei lavoratori alla mobilitazione è stata buona, ma non veramente di massa. Si sono registrate delle adesioni ottime, anche con punte tra l’80% e il 100% nelle aziende più grandi e storicamente sindacalizzate, soprattutto in diverse aree industriali del Nord Italia, mentre si è riusciti ad ottenere meno in termini di adesioni e conflittualità nella gran parte delle aziende più piccole e dove i sindacati sono meno presenti. Secondo un comunicato congiunto di Federmeccanica e Assistal, basato su un campione di oltre 3.000 aziende in 64 province (circa 191.000 addetti), l’adesione media allo sciopero è stata del 19,6% ma, se vediamo in particolare l’adesione della componente operaia di queste aziende, il dato ci dice che il 29,6% degli operai ha aderito allo sciopero.
Al di là dell’analisi dei dati statistici, sicuramente riscontriamo in questa vertenza le difficoltà oggettive e soggettive dei sindacati confederali nel mobilitare i lavoratori. Inoltre, la decisione di programmare le giornate di mobilitazione e sciopero in maniera autonoma e differenziata in ciascuna regione (ad eccezione del 28 marzo) ha sicuramente depotenziato la forza degli operai di incidere effettivamente, a livello nazionale, sui ritmi della produzione e quindi di strappare alla controparte padronale una serie di conquiste significative.
Al netto di questo comunque, riteniamo altrettanto importante segnalare che nel Paese esiste una buona parte di questo importante segmento di classe operaia che rimane conflittuale, che sente la necessità di battersi per delle condizioni di vita più dignitose. In un momento storico nel quale lo sciopero è diventato un’arma sempre più difficile da utilizzare. Questo sia per la linea concertativa della triade confederale, che ha disabituato le masse operaie al conflitto, sia per il fatto che, con l’inflazione alle stelle, decidere di rinunciare a una giornata di stipendio è una scelta che non tutti possono permettersi di fare, sia per il clima repressivo che si respira sui posti di lavoro. In virtù di questo, qualsiasi adesione alle iniziative di lotta che ci sono diventa un segnale estremamente positivo di cui bisogna cogliere l’importanza.
Un altro elemento significativo da porre in evidenza è che queste mobilitazioni si stanno confrontando con una netta indisponibilità da parte di Federmeccanica e Assistal di trattare. Dall’inizio della trattativa, la postura delle associazioni degli industriali è stata di un’arroganza che ha pochi precedenti nella storia recente delle contrattazioni del nostro Paese. L’obiettivo principale di Federmeccanica e Confindustria è quello di non concedere più ai lavoratori neanche le poche briciole che fino ad ora si concedevano, andando a depotenziare il CCNL fino a smantellarlo nelle sue forme fino ad ora conosciute, mantenendo quindi una linea dura, ignorando le mobilitazioni e gli scioperi. Una linea dura che cerca di prendere per fame i lavoratori che già vivono una situazione economica difficile a causa del carovita (e che quindi fanno fatica ad aderire in maniera sistematica a scioperi prolungati), contando anche sulla cassa integrazione a cui molti metalmeccanici sono sottoposti da anni.
I padroni vogliono sfiancare i metalmeccanici in lotta per imporre le loro condizioni, perché sanno bene che se riescono a sfondare il fronte dei metalmeccanici possono poi passare sopra come un carro armato su tutti gli altri settori meno sindacalizzati e quindi più deboli. Il secondo obiettivo di Confindustria è anche quello di testare il livello di combattività e organizzazione dei lavoratori. Dopo tanti anni di pace sociale, la borghesia ha la necessità di rendersi conto di qual è la forza effettiva che il movimento operaio in questo momento può mettere in campo, per affilare le armi e prepararsi ai tempi duri che si prospettano. Per questo ogni singolo lavoratore che sciopera e che rinuncia al proprio salario in un momento come questo è importante e va sostenuto con tutti i mezzi necessari.
LA LOTTA PER IL CONTRATTO E IL CONTESTO POLITICO IN ITALIA
La lotta degli operai metalmeccanici per il Contratto Collettivo Nazionale va inquadrata nel contesto politico più generale: all’interno della fase di intensificazione dello scontro inter-imperialistico. Da un lato si assiste al processo di ristrutturazione capitalistica dell’industria italiana, che in nome della competitività e della cosiddetta “transizione ecologica” giustifica licenziamenti, chiusure e delocalizzazioni. Dall’altra parte, i piani padronali per affrontare la crisi sistemica vanno verso il militarismo e l’economia di guerra: si dirottano i fondi pubblici che dovrebbero destinati alla sanità pubblica, all’istruzione e alle spese sociali per sostenere le spese del riarmo militare, scaricando sui lavoratori e sul popolo il prezzo della guerra promossa a reti unificate dalle stesse forze politiche, dal governo all’opposizione, che quotidianamente portano avanti politiche di macelleria sociale.
In questo contesto, i padroni puntano alla riconversione bellica delle aziende in crisi, e in particolar modo è proprio il comparto metalmeccanico a rendersi appetibile per la sete di profitti degli industriali, vista la sua centralità nei progetti di riconversione per la produzione di armi. Non è un caso infatti che le aziende che ad oggi hanno fatto pressioni su Confindustria per la riapertura del tavolo di trattativa sono Ansaldo Spa, Fincantieri e Leonardo. Si tratta di aziende a partecipazione pubblica, fortemente integrate nella filiera industriale bellica.
Il loro interesse a chiudere rapidamente il contratto nazionale risiede nella necessità di stabilità produttiva per rispettare le commesse in significativa crescita, legate alla riconversione militare e ai programmi di riarmo. Infatti, proprio negli stabilimenti Leonardo dove gli ordini sono aumentati del 6-7%, si è raggiunta un’astensione dal lavoro durante le tre giornate di sciopero elevatissima, con ben il 70% delle astensioni nel sito di Cameri, il che ha sollevato preoccupazioni legate proprio alla capacità degli scioperi dei metalmeccanici di danneggiare i ritmi della produzione e, a cascata, i profitti.
Con la transizione all’economia di guerra che diventa una realtà sempre più concreta, le aziende metalmeccaniche legate alla filiera bellica spingono per la riapertura del tavolo di trattativa e alimentano la retorica secondo cui l’economia di guerra sarebbe la soluzione per contrastare la perdita di posti di lavoro e per rilanciare l’economia nazionale. Questa retorica è assolutamente da respingere perché, se è sicuramente vero che le necessità dell’industria bellica produrranno posti di lavoro, è altrettanto vero che le condizioni di lavoro, invece, peggioreranno in maniera esponenziale. La guerra diventerà la scusa che i padroni cercano da anni per azzerare gli spazi democratici in fabbrica come nella società, e i primi effetti si vedranno proprio a livello contrattuale e di salario.
LOTTARE UNITI CON GLI OPERAI PER AVANZARE
In questo momento bisogna quindi rendersi conto dell’importanza che la lotta dei metalmeccanici per il rinnovo del Contratto Nazionale assume, non solo per gli operai stessi ma per tutti i lavoratori di questo Paese, in un contesto in cui ogni diritto sindacale ottenuto con la lotta, viene progressivamente messo in discussione o addirittura smantellato.
I lavoratori metalmeccanici sono l’avanguardia storica della classe operaia italiana; il loro settore è quello che produce una buona parte della ricchezza del nostro Paese ed è quello che ha ottenuto negli anni tra i più avanzati diritti sindacali. Se i padroni riusciranno a chiudere un contratto al ribasso, o addirittura a dismettere la contrattazione collettiva in un settore così strategico della produzione, sarà molto più facile per loro imporsi su tutte le altre categorie di lavoratori. Al contrario, se attraverso la lotta gli operai metalmeccanici riusciranno a conquistare un contratto dignitoso, anche altre categorie di lavoratori potranno farlo, seguendo il loro esempio.
Per questo motivo è fondamentale che la lotta dei metalmeccanici non resti isolata, ma che anzi, esca fuori dai cancelli delle fabbriche e diventi una vera e propria emergenza sociale. È fondamentale legarla alle lotte di altri segmenti di classe, come gli studenti medi e gli studenti universitari che in questo momento si stanno mobilitando contro i piani di guerra e di riarmo e contro il genocidio in Palestina, con la lotta dei ricercatori, dei disoccupati organizzati, dei facchini della logistica, dei portuali, dei lavoratori del trasporto pubblico e dei ferrovieri. È necessario dare voce alle lotte dei metalmeccanici, sostenerle con tutti gli strumenti possibili.
Più in generale, in questa fase abbiamo bisogno di unire le lotte di tutti i settori delle masse popolari in una lotta più generale e complessiva contro il carovita, contro la guerra, il riarmo europeo e contro il Governo Meloni. Solo in questo modo la lotta dei metalmeccanici può avere la forza che le serve per sfondare il fronte dei padroni e conquistare un contratto dignitoso e per essere quella punta di lancia di una nuova ondata di mobilitazioni operaie che rompa con anni di pace sociale e di compromessi al ribasso. La lotta dei metalmeccanici è un’occasione per tutti i proletari di ritornare ad essere protagonisti della scena politica nel Paese, ponendo con forza le proprie necessità e i propri bisogni al centro del dibattito pubblico.
Al contempo, la lotta dei metalmeccanici offre ai comunisti l’occasione importante di temprarsi nel fuoco della lotta di un segmento centrale e storicamente combattivo della classe operaia. Offre l’occasione di porre la questione della necessità della lotta politica, non solo della lotta economica, e la necessità dell’organizzazione politica della classe operaia: il Partito comunista.
Oggi più che mai è necessaria la ricostruzione di un Partito che sia capace di unire le avanguardie dei lavoratori, a partire dai suoi segmenti più organizzati e combattivi, che sia in grado di ridare protagonismo alla classe e di mobilitarla in una lotta complessiva per il superamento del capitalismo e per la costruzione di una società più giusta, fondata sui bisogni contemporanei dei lavoratori: la lotta per il socialismo-comunismo.