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Ultras: lo Stato usa il DASPO per coprire i propri misfatti

* di Emiliano Caliendo e Edoardo Genovese

Ormai è da giorni che il principale argomento dell’opinione pubblica e dei mass media italiani riguarda ciò che è accaduto a Roma in occasione della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.
Tutto inizia con una sparatoria. Per la prima volta all’interno di dinamiche che riguardano lo scontro tra ultras si è arrivati all’uso d’arma da fuoco. Fatto di una gravità assoluta che potrebbe costituire un pericolosissimo precedente.
Intorno alle ore 19.00 gruppi di tifosi napoletani si avviano dal viale Tor di Quinto verso lo stadio Olimpico scortati stranamente da poche decine di poliziotti e su un percorso deciso da Questura e Prefetto. All’improvviso, dal noto circolo ricreativo “Il Trifoglio”, un commando di ultras romanisti provoca, con bombe carte e fumogeni, i napoletani i quali non disdegnano lo scontro. Da lì parte la fuga del gruppetto romanista, durante la quale Daniele De Santis, e forse qualcun altro, inizia una tentata strage sparando a colpi di beretta 7,65 verso i partenopei.
La cosa inquietante, dal punto di vista dell’ordine pubblico, è sicuramente la scarsa presenza di forze dell’ordine (cosa che non succede neanche per le più innocue manifestazioni politiche) e il fatto che, su un percorso stabilito dalle forze dell’ordine per il flusso dei napoletani verso lo stadio, non vi sia stata posta nemmeno una camionetta delle Forze dell’Ordine di fronte a un locale frequentato dall’estrema destra romana e alcuni ultras della Curva Sud giallorossa. Nella sparatoria rimangono feriti da colpi di proiettile, differenti fra loro, tre tifosi tra cui uno in fin di vita, il ventisettenne Ciro Esposito soccorso dopo un’ora e mezza circa gli spari.
È proprio da questa follia collettiva che vede protagonista per ora un ex esponente della Curva Sud, candidato alle penultime elezioni comunali in una lista civica detta “Il Popolo della Vita in sostegno di Alemanno”, che nasce lo stillicidio di fatti che la dice lunga sulla credibilità dello Stato Italiano e della sua opinione pubblica. Poco prima dell’inizio della partita alle ore 21,00 si diffonde la voce in Curva Nord che un tifoso del Napoli sia morto. L’intera curva nord inizia ad andare in fibrillazione, vengono tolti i supporti per la coreografia e si cerca di capire se sia il caso di giocare o meno, cercando di comprendere le reali condizioni fisiche del ragazzo. La curva, che ovviamente si rifiuterebbe di giocare nel caso in cui il ragazzo fosse in fin di vita, attira l’attenzione di società e dei responsabili dell’ordine pubblico attraverso il lancio di fumogeni.
La Curva Sud, occupata dai tifosi della Fiorentina, ammaina le bandiere e chiede anch’essa un colloquio che avrà con il Direttore Sportivo della società viola Pradè e alcuni funzionari della Digos. Dall’altra parte del campo il capo ultrà dei Mastiffs, Gennaro de Tommaso, conosciuto come A’ Carogna, come accade quasi sempre in tutte le curve d’Italia dalla notte dei tempi, si pone sull’inferriata che delimita il confine col campo. I dirigenti del Napoli Formisano e Bigon, accompagnati da funzionari di polizia, iniziano ragionevolmente un colloquio con il suddetto De Tommaso. Ciò è del tutto comprensibile visti i precedenti del derby del 2004 e i momenti subito dopo la morte di Gabriele Sandri nel 2007, oppure, andando indietro nel tempo, in occasione dell’omicidio di Claudio Vincenzo Spagnolo nel 1995. Quando non v’è stata la consultazione del tifo organizzato, alla base del gioco del calcio, vi sono stati i maggiori problemi dal punto di vista dell’ordine pubblico. Uno Stato che non tiene conto dei tifosi, in particolare quelli delle curve, senza i quali il calcio sarebbe uno sport impopolare, è uno Stato miope il quale aggrava situazioni già tese per la loro natura.
Inizia così un colloquio tra De Tommaso, i dirigenti del calcio Napoli e i poliziotti a cui si aggiunge il capitano degli azzurri Hamsik. Per evitare una pazzesca e incontrollabile caccia al romano,i chiamati in causa assicurano al De Tommaso, e dunque a tutta la curva da lui rappresentata in quel momento, che il ragazzo è grave ma non in pericolo di vita. La partita, con l’assenso di tutte le parti in causa e sopratutto di chi ha particolari interessi nello svolgimento della partita ,può finalmente iniziare. Al primo gol di Insigne circa 1000 ultras partenopei abbandonano lo stadio per dialogare con quelli viola sul da farsi e dirigersi all’ospedale dove vi era in fin di vita Ciro Esposito.

La vicenda, iniziata in modo tragico, si è spinta fino al tragicomico. È arrivata nelle ultime ore la comunicazione del D.A.SPO. per Gennaro De Tommaso, la chiusura dello Stadio San Paolo di Napoli per due giornate e una multa di 60.000€ alla società partenopea. Senza alcun apparente motivo.

Il suddetto personaggio, di cui non vogliamo tracciare dei lineamenti biografici né addentrarci nella sua vita personale, ha avuto la colpa di rispondere a una domanda, e non si sa precisamente quale, postagli da parte delle Forze dell’Ordine, dei rappresentanti della FIGC e da Marek Hamsik, capitano della squadra.

La vicenda antecedente la partita è nota a tutti, così come le vicissitudini che si sono susseguite durante i momenti di attesa del calcio d’inizio. Uno Stato che, incapace di gestire l’ordine pubblico di una partita di calcio non a rischio, se non per la presenza di ultras romani che, sebbene non tutti, si sono già resi noti in passato per scontri con armi da taglio, commina il D.A.SPO. a un tifoso reo soltanto di aver risposto a una domanda, è esplicativo di quanto questo Stato, e i suoi rappresentanti, siano assolutamente incapaci di portare a termine il più semplice dei compiti.

Per giustificare la restrizione data a Gennaro De Tommaso, viene presa come scusante la t-shirt indossata che portava su scritto “Speziale libero”. Antonino Speziale è il tifoso catanese detenuto, senza alcuna prova di colpevolezza, in seguito agli scontri di Catania tra gli ultras catanesi e quelli palermitani dove perse la vita l’ispettore Raciti.

Tralasciando l’articolo 21 della Costituzione, di cui i rappresentanti statali si ergono come difensori, che tratta della libertà di espressione, la maglietta in sé non può nemmeno andare ad attaccare l’articolo 414 del codice penale. Cito testualmente: «Articolo 414. Istigazione a delinquere. Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione: 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti. 2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a lire quattrocentomila, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni. Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel n. 1. Alla pena stabilita nel n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti» (il corsivo è mio, E.C.); Speziale, essendosi confessato da sempre innocente e non essendoci prove certe del suo crimine (ricordiamo a molti che Speziale fu riconosciuto da alcune riprese video notturne in una massa informe di ultras durante gli scontri, ancora non ci è chiaro come sia stato possibile) non può indurre a pensare che una t-shirt che chiede pubblicamente la sua liberazione sia “apologia di delitto”. Ma anche supponendo che quella t-shirt sia passibile di sanzioni, come mai per molti altri casi, sia all’interno della giustizia sportiva, come nel caso della Juventus e degli scudetti sottratti a causa della Sentenza Calciopoli, oppure nella giustizia civile, come nel caso dei vari appelli rivolti alla “liberazione” del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, questo paragrafo dell’articolo 414 venga ignorato?

Riteniamo che per comprendere meglio questa campagna mediatica mossa contro Gennaro De Tommaso, il Napoli Calcio e il mondo calcistico in generale, sia necessario parlare delle varie iniziative che richiedevano il numero identificativo sul caso delle Forze dell’Ordine destinate al servizio di ordine pubblico, col fine esplicito di cercare di limitare gli abusi di potere o quantomeno di poter riconoscere coloro che ne abusassero, senza magari giustificarli con un “è solo un cretino”.

Questo tam tam mediatico, questo “caso giudiziario” che salta di mano in mano tra televisioni e pennivendoli, poiché chiamarli giornalisti è alquanto fuorviante e offensivo a quei pochi, se non pochissimi, che ancora provano a onorare la categoria (per quanto siano comunque al servizio dell’informazione borghese), ha letteralmente sommerso la questione dei numeri identificativi, tacciando il mondo ultras e il mondo del calcio in generale come qualcosa di “malvagio”, come se fosse un male incurabile da debellare a ogni costo, facendo inoltre partire da questi eventi una ulteriore campagna repressiva da estendere ad ogni ambito e un’alzata di scudi a difesa, sempre e comunque, delle forze dell’ordine e della legittimità delle Istituzioni.

Eppure, in questo caso come in tanti altri, la colpa è solo degli organizzatori del servizio di ordine pubblico, che non sono stati in grado di comprendere come potessero accadere degli incidenti data la famosa acredine che corre tra gli ultras romanisti e quelli napoletani tanto da far sciogliere uno storico gemellaggio tra la tifoseria genoana e quella romanista, proprio a causa del neonato, all’epoca, gemellaggio tra liguri e partenopei.

Nel verbale del giudice Tosel, che da anni si occupa di giustizia sportiva e commina sanzioni, ove opportuno, a calciatori, dirigenti, società e tifosi, viene contestato alla società Napoli una quantità incredibile di reati. Viene contestato come un numero indecifrabile di tifosi, circa un migliaio, sia entrato senza biglietto sfondando i tornelli o “scavalcando”, che le Forze dell’Ordine si sono scontrate con alcuni tifosi, riportando quattro feriti, che i tifosi hanno fischiato l’inno nazionale, che i tifosi avrebbero minacciato di fare invasione di campo e che «il capitano Hamsik trovava come interlocutore un individuo, postosi a cavalcioni della vetrata delimitante la Curva Nord, indossante una maglia di color nero che, nella parte anteriore, esibiva la dicitura “Speziale libero”, spregevolmente allusiva all’uccisione di un Servitore dello Stato». L’unica che pare credibile è il primo punto, ovvero l’ingresso senza biglietto: ogni domenica, in qualsiasi stadio italiano, si può assistere a ciò anche a causa dei costi non proprio popolari dei settori che, da sempre, hanno offerto la possibilità di vedere le partite della propria squadra del cuore a prezzi compatibili con la maggioranza della popolazione. Gli altri punti sono stati inseriti, così come anche quest’ultimo, per quanto credibile e legittimo, solo a causa di ciò che è avvenuto al di fuori dell’impianto sportivo: gli scontri, per altro in una “nuova forma” rispetto ai classici “incidenti da stadio” (per la prima volta hanno visto l’uso di armi da fuoco), hanno dato modo alla giustizia sportiva di rifarsi ampiamente sugli errori organizzativi che si sono concentrati in quest’evento, importante per gli appassionati di calcio in generale e, in particolare, per i tifosi del Napoli e della Fiorentina. Infine, sulla parte poi citata, dove addirittura si asserisce che la dicitura “Speziale libero” sia offensiva per la memoria dell’ispettore Raciti, si è approfittati di questa morte, e di questa maglietta, per dare contro ancora una volta al mondo ultras: una maglietta che richiede la scarcerazione di un ragazzo, per altro non sicuramente colpevole (e di questo ho già accennato prima), non va a ledere la memoria del poliziotto. Tutt’altro: si chiede la liberazione di chi probabilmente è ingiustamente detenuto, quando invece si dovrebbe far luce in modo migliore sul caso per poter incarcerare il reale colpevole.

Un’altra sporca mossa è stata compiuta dallo Stato che, spaventato dalle possibili ripercussioni del suo errore nei confronti della propria credibilità tra quella fascia di popolazione che ha ancora fiducia in questo sistema statale, ha deciso di scaricare, senza prova alcuna per non dire “illegalmente”, la colpa agli ultras, in particolare al capro espiatorio Gennaro De Tommaso, di cui dal giorno della finale di Coppa Italia non si parla d’altro.

Un’altra dimostrazione dei due pesi e due misure: non si può esporre una maglietta di sostegno a un ragazzo detenuto in carcere, che da anni si proclama innocente, ma è possibile applaudire a membri delle Forze dell’Ordine rei, e sottolineiamo la parola “rei”, di aver ucciso Federico Aldrovandi il 25 settembre del 2005.

E in questo tam tam di notizie, di opinioni e di dibattiti ci si è dimenticati della cosa più importante: Ciro Esposito, il tifoso ferito da un colpo di pistola, è ancora in ospedale che lotta tra la vita e la morte, peraltro in stato di arresto. Ma per i salotti borghesi, per i quotidiani di parte, è più importante “Genny ‘a Carogna”.

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