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Su Cuba e l’apertura americana.

I giornali di oggi, le trasmissioni televisive  stanno tentando una neppure troppo velata operazione di distorsione di quanto accaduto in queste ore nei rapporti tra Cuba e Stati Uniti. L’intento è talmente evidente che sembra quasi scontata l’operazione leggendo gli stessi titoli. In primo luogo si ridimensiona il peso dell’operazione principale di questa distensione: il rilascio degli ultimi tre dei cinque prigionieri illegittimamente detenuti negli Stati Uniti. In secondo luogo si parla apertamente di “caduta di un altro muro”, si utilizzano le immagini delle manifestazioni che a Cuba stanno coinvolgendo migliaia di persone per la liberazione dei cinque, omettendo di spiegarne la ragione, e facendole passare come manifestazioni di festa per le aperture di Obama. L’operazione chiara è nel centro di una crisi del capitalismo, dello sviluppo di forme di lotta sempre più aperte anche negli stessi Stati Uniti – la lotta dei neri d’America in questi giorni ha avuto una forte base di classe – il crollo di un altro paese socialista potrebbe provocare un effetto simile a quello provocato dalla controrivoluzione in URSS. Simile perché l’URSS era un gigante, economicamente, politicamente e militarmente in grado di garantire un argine contro la supremazia capitalista, mentre Cuba è un piccolo paese che non può di certo avere queste aspirazioni. Ma la sua rivoluzione è stata una rivoluzione gloriosa, particolarmente – forse più della stessa Unione Sovietica – nei cuori di chi lotta contro il capitalismo. Un ruolo che si è caricato di ulteriore forza con la resistenza eroica che il popolo cubano ha mostrato negli anni del periodo especial, resistendo ad un embargo criminale che ha messo a dura prova i cubani, ma che ha aumentato la loro determinazione. Un tentativo dei media, di dare al mondo un’immagine di un altro 1989 che si percepisce chiaramente e che sta distorcendo davvero la realtà di quello che è accaduto.

Se un muro è crollato è quello unilateralmente imposto dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba, e non viceversa. Ecco perché ogni paragone tentato con il 1989 non ha alcun senso, se non quello di voler forzare la storia, ruolo sempre più congeniale ai media. Gli unici elementi bilaterali dell’accordo hanno a che fare con lo scambio di prigionieri, pratica assai comune in tutta la guerra fredda tra paesi socialisti e occidentali, e il ripristino delle relazioni diplomatiche, anch’esse mai venute a mancare durante la guerra fredda tra la maggior parte dei paesi socialisti e capitalistici. Il resto sono misure unilaterali statunitensi e non corrisposte da altrettante concessioni cubane. Sono gli Stati Uniti ad aver imposto restrizioni di viaggio ai loro cittadini verso Cuba, all’invio di denaro, all’acquisto di prodotti commerciali dall’isola, non Cuba. E queste misure sono state unilateralmente cancellate da Obama. Lo stesso embargo, il prodotto della tensione della guerra fredda, dello smacco di un’isola vista dagli USA come cortile di casa e divenuta fiera, indipendente, socialista, è stato atto unilaterale degli Stati Uniti, e non è ancora detto che Obama riesca a spuntarla al Congresso con maggioranza repubblicana. Il muro che è crollato quindi è la strategia americana nei confronti di Cuba, una strategia che non ha prodotto il tracollo del socialismo nel paese e che oggi in un sistema più articolato nei nuovi equilibri globali aveva ulteriormente perso di significato. Inutile tentare di rovesciare la realtà ma quella di oggi in sè è una vittoria della resistenza del popolo cubano e del suo attaccamento al socialismo, che in questi anni ha consentito di sconfiggere il tentativo degli Stati Uniti di fare crollare con il blocco economico e con l’isolamento il sistema socialista cubano e il governo di Fidel Castro prima e Raul dopo. Due battaglie hanno segnato la lotta del popolo cubano e la solidarietà internazionale delle forze comuniste e antimperialiste, con un contributo importante anche della gioventù di tutto il mondo: la liberazione dei 5 e la fine del blocco commerciale. Sarebbe difficile vedere in queste vittorie dei cubani e dei comunisti una vittoria americana, come i media cercano di farci credere.

Tuttavia nel medio periodo i dirigenti del PCC dovranno saper valutare attentamente come rispondere ad una nuova fase politica che si apre con una distensione statunitense. Un antico proverbio latino ci ricorda allora una frase di Lacoonte rivolto all’ingresso del cavallo nella città di Troia: “timeo Danaos et dona ferentes” (temo i Greci anche quando portano i doni). Ecco questa frase rispecchia benissimo la situazione attuale relativa a Cuba e alle aperture economiche degli Stati Uniti. E’ chiaro infatti che l’amministrazione Obama non ha alcuna intenzione di riconoscere la legittimità del potere socialista a Cuba, accettarne la presenza. Si tratta di un cambio di strategia che nell’immediato segna una battaglia vinta dal popolo cubano, guidato dal Partito Comunista, ma di cui sarebbe sbagliato sottovalutare le possibili conseguenze. La vittoria di una singola battaglia non costituisce vittoria di una guerra e qualsiasi comunista a Cuba e nel mondo sa questo. Nessuna vittoria definitiva è possibile quando si è all’ombra più grande e potente paese imperialista del mondo, sebbene in crisi.

Per capire la portata complessiva di questo processo distensivo sarà innanzitutto necessario capire quali misure sono state approvate non in campo diplomatico o politico, ma in campo economico, e quali saranno approvate a medio periodo, perché per ora si discute di elementi ancora parziali. In particolare le ultime misure economiche, inserite negli ultimi piani economici, hanno aperto la strada all’inserimento di alcuni elementi di mercato nell’economia socialista. Si tratta di elementi minimi, che non hanno assolutamente il carattere preso in altri paesi, come Cina e Vietnam. A Cuba non esistono monopoli privati, né forma di capitale misto statale e di cittadini cubani lontanamente paragonabili alle esperienze citate; le aperture a piccole forme di mercato sono relative ad elementi di lavoro autonomo, i cosiddetti lavoratori per conto proprio. Tuttavia la storia ha dimostrato che anche piccole forme di mercato sono in grado di destabilizzare la tenuta del sistema socialista, quando sono immerse in un mondo dominato dal libero mercato. In particolare il vero cavallo di battaglia del capitalismo a Cuba è stato ed è tuttora il sistema turistico, essenziale all’economia cubana, proprio per compere il blocco e avere moneta internazionale, ma carico di elementi negativi e di elementi di redistribuzione ingiusta tra la popolazione e i lavoratori cubani. I dirigenti cubani lo sanno e stanno pianificando misure per rendere questa differenza minore. La doppia moneta e l’accesso al contatto con turisti forti di un cambio monetario molto favorevole ha prodotto la spiacevole conseguenza di un divario tra chi ha accesso a questo sistema e chi non lo ha. Un’illusione per i cubani che vedono nel turista spendaccione un simbolo della ricchezza occidentale, non potendo sapere che nella maggior parte dei casi quello stesso turista che può fare il signore a Cuba per il cambio monetario favorevole non dispone dello stesso potere d’acquisto nel suo paese, che non ha assicurato il diritto ad una casa, alla sanità, all’istruzione  gratuita dalle scuole materne all’università. Il turismo da una percezione falsata della realtà dei rapporti, che possono essere compresi realmente solo guardando oltre l’apparenza.

L’aumento di capitale straniero circolante nel paese, per il tramite di una maggiore apertura al turismo e per le concessioni sull’invio di capitale dalla potente e mafiosa comunità di esuli cubani in Florida, da sempre vero centro della criminalità politica e terroristica contro Cuba, potrebbe avere proprio questo obiettivo finale: destabilizzare il sistema, magari approfittando di qualche situazione o di un momento di transizione. Il Partito Comunista Cubano può tuttavia oggi contare di esempi storici dalla portata eccezionale, di errori commessi nella storia del movimento comunista che non devono essere ripetuti, e sulla base della corretta valutazione dell’esperienza storica di alcune misure intraprese nell’ex Unione Sovietica e nei paesi socialisti che hanno portato allo sviluppo di forze controrivoluzionarie che in una tenaglia tra interno ed esterno sono riuscite nell’intento di far cadere il sistema socialista. L’esempio della storia va tenuto a mente e il PCC ha dirigenti capaci per affrontare questa fase complessa e articolata che si può aprire in questi mesi.

Come disse Fidel Castro riferendosi ai fatti successivi al 1989 «il crollo del socialismo in alcuni paesi non significa che abbia fallito: ha perso una battaglia.» Questa costatazione e la tenace resistenza del popolo cubano che si sviluppò sotto la direzione di Fidel permise a Cuba di mantenere alta la sua bandiera, contro ogni previsione, respingendo ogni tentativo del gigante americano di piegare l’isola. Oggi la rivoluzione cubana ha ottenuto un altro importante traguardo. Una battaglia storica come quella sulla liberazione dei cinque è stata vinta. Una sul blocco economico si appresta ad essere messa in discussione, dopo che per anni erano intervenute ripetute condanne dell’Assemblea delle Nazioni Unite, lasciando gli USA soli con Israele a sostenere quella misura criminale. Due battaglie importanti che però dicono a noi e ai dirigenti comunisti cubani quanto è ancora lunga la guerra. Il miglior modo per sostenere Cuba da parte nostra è sviluppare un forte movimento in Italia che sappia mettere in discussione il capitalismo e rimettere al centro del dibattito politico la questione della necessità storica del socialismo.  Solo così si potrà rompere realmente l’accerchiamento dei paesi socialisti oggi, e spezzare la forza del sistema imperialista. Quanto a Cuba, il marxismo-leninismo, l’insieme della storia, ed in particolare della valutazione dell’esperienza storica dei paesi socialisti, delle loro vittorie e dei loro errori, costituiscono insegnamenti preziosi validissimi ancora oggi. Quando quella strada è stata progressivamente abbandonata la sconfitta è arrivata puntuale. Quando quella strada è stata percorsa con decisione la classe operaia e i movimenti rivoluzionari hanno conosciuto importanti vittorie e hanno aperto la strada alla transizione dal capitalismo al comunismo.

Godiamoci questa vittoria importante. Impegniamoci in fondo per contrastare il disegno mediatico di distorcere quanto accaduto nei nostri paesi. Questo è il nostro compito principale oggi. Al contempo studiamo e comprendiamo il perché alcuni processi storici accadono e sulla base dell’esempio della storia quali risultati possono avere e come possono essere mutati. Il sostegno a Cuba socialista è un elemento primario della nostra azione politica, sostegno che nel rispetto e nel riconoscimento del grande contributo dato alla causa a livello mondiale, deve essere accompagnato da consigli e riflessioni, da aiuti concreti e non solo di facciata. Il movimento comunista internazionale, la sua unità, si ricostruisce a partire dalla franchezza e dal dibattito vero tra i comunisti, a partire da un sostegno reale ed effettivo che si sviluppa prioritariamente nell’azione comune contro l’imperialismo in ogni paese con i propri mezzi e nelle differenti condizioni, nella lotta incessante contro il capitalismo e lo sfruttamento.

Il popolo cubano ha guadagnato con il socialismo la dignità di cui era privo con il governo di Batista. Ha guadagnato una ricchezza reale fatta di sviluppo, progresso vero nel campo delle condizioni di vita, di lavoro, di salute. Ha dato vita ad una gloriosa rivoluzione che nel mondo è un faro, e lo dimostra quotidianamente nella sua attività internazionale, anche ultimamente con l’eroico lavoro di migliaia di medici cubani in Africa impegnati a combattere realmente l’Ebola. Quel popolo ha tutto da perdere a consegnarsi nelle mani degli americani e lo sa bene. Con fiducia nel popolo cubano e nel ruolo del Partito Comunista e della sua gioventù guardiamo alla nuova fase che si apre con speranza.

 

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