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Disoccupazione e insicurezza sul lavoro: la guerra del capitale contro la gioventù lavoratrice

*di Enrico Bilardo

La terribile situazione che riguarda l’occupazione giovanile è ormai una questione all’ordine del giorno da anni. Dall’inizio della crisi la disoccupazione giovanile è cresciuta vertiginosamente, raggiungendo valori stabili sopra il 40%, con picchi di oltre il 60 % in molte zone del meridione.

Sostanzialmente un ragazzo sotto i 35 anni su due non riesce a trovare lavoro. La ragione di tale drammatica situazione è facilmente riscontrabile nella realtà economica: la futura classe lavoratrice viene abituata ad avere a che fare con un mercato del lavoro che induce a ritenere un privilegio la stessa occupazione, andando così a soffocare preventivamente qualsiasi pretesa salariale da parte della “nuova classe operaia”.

I giovani, non riuscendo a trovare regolarmente lavoro, spesso sono costretti a lavorare in nero, senza essere messi in regola e senza alcun genere di tutela, condannati alla più totale precarietà o addirittura a delinquere.

La condizione di chi, nonostante tutto, riesce a trovare un’occupazione non è però assolutamente rosea. Il Jobs Act e il massacro dell’articolo 18 hanno gettato la nuova classe lavoratrice in una situazione di perenne incertezza e mancanza di stabilità. La nuova regolamentazione dei contratti di apprendistato, introdotta dal decreto Poletti1 e quella riguardante l’alternanza scuola-lavoro, presente all’interno della riforma dell’istruzione, hanno incrementato ulteriormente il potere in mano ai datori di lavoro, ormai privi di sostanziali vincoli. Questi, spesso, consci della disperazione che caratterizza chi vede davanti a se un futuro caratterizzato da stenti e incertezza, trascurano sin da subito la giovane manodopera, non informandola nemmeno sulle basilari normative di sicurezza che dovrebbero essere ben chiare a tutti i lavoratori in qualsiasi contesto di lavoro.

Analizzando i più recenti dati ISTAT2 sulla salute e la sicurezza sul lavoro sono molteplici i dati preoccupanti che emergono. La fascia dei lavoratori tra i 15 e i 34 anni risulta essere una delle più a rischio per quanto riguarda sia infortuni fisici sia disagi psicologici. In tal senso, oltre a sottolineare come tale fascia d’età non sia solo per pochi punti percentuali la più afflitta da infortuni fisici, è doveroso evidenziare come i giovani lavoratori siano coloro che si sentono maggiormente a rischio sul luogo di lavoro e quelli più soggetti a stress e alla menomazione della salute psicologica.

Il primo dato la dice lunga sulla leggerezza da parte dei datori di lavoro nei confronti dei giovani neo-assunti, che vengono messi all’interno di un ambiente di lavoro senza averne alcuna conoscenza. Il secondo invece risulta interessante, poiché evidenzia la situazione di disagio sociale provata da chi si sente sfruttato, instabile e privo della libertà di pretendere maggiori tutele e migliori condizioni lavorative. Ciò è sintomatico dell’incremento in tale fase del fenomeno che Marx definiva “alienazione del proletariato”. Il lavoratore non si sente a suo agio nel posto di lavoro, sentendosi parte di un ingranaggio e sostituibile senza difficoltà, soprattutto durante delle fasi in cui il sistema economico, proprio perché in una situazione di debolezza, facilita la creazione di un “esercito di riserva”: un’enorme massa di disoccupati disposti a lavorare anche a condizioni peggiori degli attuali salariati, che di conseguenza limiteranno le proprie pretese.

I giovani lavoratori vivono continuamente in una situazione di precarietà e incertezza, tralasciando ogni tutela e ogni diritto per raggiungere il salario mensile che ora più che mai appare come un privilegio.

Un sistema economico in crisi non fa altro che erodere la situazione di coloro con meno capacità di difesa in una situazione del genere, facendo leva sulle loro debolezze economiche e accentuando il loro disagio, diminuendo ai minimi termini la loro possibilità di reazione, tanto da fare in modo che essi stessi trascurino la propria integrità.

Un altro dato preoccupante è quello che riguarda un incremento del 15% dei morti sul lavoro rispetto al 2014, con 752 (489 nel 2014) lavoratori morti negli ultimi otto mesi, di cui 546 (489 nel 2014) sul lavoro, di cui quasi il 10% ha riguardato giovani tra i 15 e i 34 anni, e 206 (163 nel 2014) in itinere3. Il tutto si disperde, nel più totale disinteresse, in un roboante silenzio.

Questi dati così come tutti i problemi che riguardano la classe lavoratrice, e i giovani in particolare, sono conseguenza del sistema socio-economico capitalista in cui viviamo, che ci impone di vivere in un determinato modo, con la fretta e la pressione nel lavoro, lo stress, la forte stagionalità e precarietà che sono alcuni degli aspetti che causano queste tragedie per la nostra classe. Tutto ciò che vorremo, un lavoro stabile, in cui sia garantita la salute e la sicurezza, per avere un futuro e svilupparci come persona, è impossibile per la gioventù lavoratrice nel capitalismo.

E’ palese come in una fase del genere la struttura economica non possa permettersi alcun tipo di concessione verso le classi subalterne, che anzi devono essere represse ed essere nella posizione di non poter nemmeno concepire un possibile miglioramento della condizione lavorativa, dato che un’organizzazione stabile e conflittuale con obiettivi di tale genere, in una fase delicata dello sviluppo capitalistico, potrebbe risultare fatale.

Bisogna evidenziare come in questa fase sia in corso un’operazione ideologica e sociale che si propone di reprimere ogni possibile rivendicazione da parte della nuova classe lavoratrice. Dietro termini come “flessibilità”, “choosy”, “adattabilità” e dietro all’ossessivo incoraggiamento della emigrazione nei paesi del nord Europa, nel nome della tanto lodata “globalizzazione”, si nasconde la volontà di voler svuotare i giovani lavoratori di ogni velleità conflittuale. La repressione di classe viene attuata, ancor prima che con i mezzi fisici, con quelli egemonici. E’ doveroso, per chi vuole difendere gli interessi dei lavoratori, palesare come certe dinamiche siano figlie di un momento di debolezza di un sistema economico saturo e prossimo all’implosione, cercando di creare e fomentare delle logiche propositive e conflittuali che prescindano da quelle di retroguardia portate avanti dai sindacati concertativi, che con la cultura della limitazione dei danni non stanno facendo altro che assecondare lo smantellamento sistematico dei diritti dei lavoratori.

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