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Jobs Act e dintorni: i numeri smascherano Renzi

*di Graziano Gullotta e Francesco Meschino

L’euforia che ha drogato negli scorsi mesi l’apparato comunicativo del governo Renzi sembra scemare sempre più davanti alla “testa dura” dei fatti e delle realtà statistiche e oggettive.

L’ultimo rapporto Istat con i dati aggiornati al mese di febbraio 2016, mette nero su bianco il carattere antiproletario e contro il lavoro delle iniziative di questo governo targato PD tutte a favore della classe padronale, in linea d’altronde con i governi di centrodestra e centrosinistra degli ultimi cinque lustri.

Il meccanismo di incentivi alle assunzioni attraverso la decontribuzione totale (della durata di tre anni) per le imprese, introdotto dal governo nella Legge di Stabilità per il 2015, non ha lasciato e non lascerà traccia del suo passaggio se non per i padroni: nel mese di gennaio 2016 la stima degli occupati era cresciuta dello 0,3% (73 mila lavoratori), la stima dei dipendenti permanenti a sua volta era salita dello 0,7% (98 mila). Con la fine della decontribuzione totale alle aziende che prosegue nella Legge di Stabilità per il 2016 con la forma della decontribuzione parziale pari al 40% dei contributi a carico del padrone, già da febbraio 2016 la stima degli occupati cala dello 0,4% (-97 mila persone occupate) e il calo dell’ultimo mese riporta il livello dei dipendenti permanenti al dicembre 2015. La disoccupazione sale all’11,7%, in aumento di 0,1 punti rispetto a gennaio e dello 0,4% su base annua.

Tasso disoccupazione, ISTAT

Questi numeri dimostrano che, affidandoci alle stesse parole del comunicato Istat, “ridotta la decontribuzione, gli assunti permanenti calano drasticamente. Per i dipendenti a termine prosegue la tendenza negativa già osservata dal mese di agosto 2015.”1

A render ancor più chiaro questo rapporto ci sono i dati forniti dall’INPS2 sulle accensioni e cessazioni dei rapporti di lavoro dove a Gennaio 2016 si registra un calo del -39,5% delle assunzioni a tempo indeterminato rispetto a un anno fa (da 156.143 a 106.697) così come un -5,1% di trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine per un totale di un -22,8% di assunzioni. Emblematico è il dato relativo a Dicembre 2015, ultimo mese utile per l’accesso alla decontribuzione totale, con un + 71,8% di nuove assunzioni rispetto allo stesso mese del 2014, di cui 305.867 a tempo indeterminato, ossia quasi il 50% di tutto il 2015.

L’attacco alla regolamentazione del mondo lavorativo che sta avvenendo in Italia da venticinque anni, non è sicuramente responsabilità unica di questo governo, chiunque abbia governato ha enormi colpe a riguardo, basta elencare qualche nome: Pacchetto Treu, Legge Biagi, Riforma Fornero, Jobs Act, dal centrosinistra al centrodestra, la classe dirigente italiana che ha occupato gli scranni parlamentari ha attaccato e distrutto sistematicamente il diritto al lavoro.

Le conseguenze nefaste di queste riforme le vivono sulle proprie spalle quotidianamente i lavoratori di oggi, soprattutto le nuove generazioni. La precarietà, promossa dalla borghesia e dai propri rappresentanti in Parlamento col falso fine di costituire un livello collaterale alla forma standard del contratto a tempo indeterminato, è diventata un dato strutturale dell’economia, un macigno sulle spalle di chiunque, giovane o meno giovane, si trovi nella condizione di subire questa condizione.

L’ammontare complessivo dei contratti a tempo determinato ha rappresentato nel 2015 il 14% dei rapporti di lavoro, nel 1998 erano appena l’8%. Per quanto riguarda la fascia di età tra i 15 e i 24 anni, i contratti a termine rappresentano il 60% dei rapporti totali, triplicati rispetto al 20% del 1998. Assistiamo dunque a una progressiva e generalizzata precarizzazione del mercato del lavoro, partita ben prima dello scoppio della crisi ma che nella crisi ha trovato una sua legittimazione agli occhi dei lavoratori ingannati dai governi e dai loro mezzi di comunicazione.

In secondo luogo, la fetta di contratti a termine che durano meno di 6 mesi ha registrato un aumento notevole. Più nel dettaglio, i rapporti lavorativi che durano da 1 settimana a 6 mesi rappresentano ben il 40% del totale, e un terzo di questi non durano più di una settimana.3 In questo complesso meccanismo di leggi, incentivi, deregolamentazioni, tagli e corrispondente propaganda mediatica, si inserisce il famigerato Jobs Act, la riforma del lavoro del governo Renzi, dove in particolare con il licenziamento facile, anche i rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono privi di garanzie e stabilità per il lavoratore.

Tra gennaio e luglio 2015, in seguito alle nuove norme contenute in questa riforma, solo il 20% delle nuove attivazioni contrattuali sono a tempo indeterminato. E tra i contratti permanenti, le assunzioni vere e proprie sono addirittura in minoranza, in quanto la maggioranza delle attivazioni è dovuta alle trasformazioni dei contratti precari già esistenti in contratti indeterminati. Un processo che ovviamente risulta conveniente alle imprese solo in ragione delle decontribuzioni fiscali. Le nuove assunzioni sono concentrate maggiormente, inoltre, nei settori a bassa qualifica.

Buona parte delle assunzioni è rappresentata da contratti part-time. Inoltre i nuovi assunti con il “contratto a tutele crescenti” hanno un salario dell’1,4% inferiore rispetto a coloro che sono stati assunti prima della riforma, con il contratto a tempo indeterminato “standard”.

Nel 2015 aumenta l’incidenza del lavoro a termine sull’ammontare complessivo dei contratti per i lavoratori al di sotto dei 24 anni. A partire da maggio 2015, quindi dopo l’entrata in vigore della nuova legge, il precariato è tornato a crescere, in ragione delle ulteriori liberalizzazioni sul mercato del lavoro. Infatti, il 63% dei nuovi assunti nei primi nove mesi del 2015, ovvero 158.000 su 263.000, ha un contratto a termine.

13120954_10209224517595048_181845416_oInoltre, si registra una notevole crescita di un particolare tipo di contratto a termine: il voucher, promosso dal Jobs Act attraverso l’aumento dei massimali di reddito percepibile con i buoni lavoro e che garantisce ancora meno tutele oltre ad eludere i controlli sul lavoro nero. Se nel 2008, anno di attivazione, furono 24.437 i lavoratori “assunti” attraverso il voucher, oggi sono circa 1 milione e mezzo con 115 milioni di buoni lavoro staccati nel 2015 che rappresentano un incremento del 67,5% rispetto al 2014.

Sul totale dei nuovi occupati, i contratti stipulati mediante gli incentivi governativi sono 9 su 10, da cui si può facilmente dedurre la falsa stabilità di questi ultimi, in ragione esclusiva di una convenienza fiscale temporanea per le imprese e con le tutele giuridiche ridotte ai minimi termini che rendono il lavoratore licenziabile in qualsiasi momento. Dunque se la giustificazione del Jobs Act con il suo carico di distruzione dei diritti del lavoro erano, secondo Renzi, quelli di aumentare l’occupazione – in particolare giovanile – e diminuire la precarietà, numeri alla mano non si può che parlare di un bluff che è verificabile infine anche da questi altri dati: il numero di persone che transitano dall’occupazione all’inattività è maggiore (35,7%) rispetto a quelle che da uno stato di inattività trovano un lavoro (16,1%) 4 e la variazione degli occupati tra febbraio 2016 e gennaio 2015 vede una crescita negli over 50 (+326.000) e una diminuzione nella fascia di età 35-49 di -187.000 e -35.000 nella fascia 25-34 anni, mentre è impercettibile l’incremento nella fascia 15-24 con +6.000.

Lo stesso possiamo dire anche dell’altra iniziativa riguardante il mondo del lavoro, il progetto “Garanzia Giovani” finanziato dall’UE. Dai dati forniti dai gestori del progetto, risulta che al 7 aprile gli iscritti al programma sono 882.180 (al netto delle cancellazioni), di cui solo un terzo (circa 300mila) hanno avuto una proposta dopo esser stati presi in carico dai locali Centri per l’Impiego e di questi solo 32 mila (il 3,7% del totale di Marzo secondo i dati dell’Istituto per lo Sviluppo della formazione professionale dei lavoratori – Isfol) hanno avuto accesso ad un lavoro incentivato con ingenti fondi pubblici elargiti al padrone. Per la maggior parte dei casi si tratta di “lavoro mascherato” attraverso tirocini che sono stati circa 139.000 oltre 4 volte i contratti di lavoro. Se si approfondisce sul tipo di contratto, si scopre facilmente infatti che moltissime delle offerte sono sotto forma di stage, tirocini, lavori demansionati, sottopagati e via dicendo, con orari di lavoro che superano spesso le 40 ore settimanali, nessuna reale formazione e praticamente gratuiti per il padrone. A questo fra l’altro si aggiunge che quasi tutti i pagamenti dei tirocinanti (circa 500 euro mensili per 6 mesi a carico delle Regioni o INPS) sono in ritardo di molti mesi o addirittura in Sicilia risultano aperti più tirocini di quanti potevano esser finanziati lasciando così i tirocinanti, ad oggi, senza alcuna garanzia di pagamento. Infine, un dato indicativo proveniente dalla Sicilia (il dato migliore di tutto il progetto) su ciò che avviene dopo i tirocini del Garanzia Giovani: dei 20mila tirocini completati solo in 4mila (il 20%) sono stati assunti di cui solo 2.500 nella stessa azienda. La montagna ha partorito il topolino. Non si può di certo parlare di un intervento contro la disoccupazione giovanile che avanza a lunghe falcate nel nostro Paese mentre si è certamente dimostrato un altro valido strumento per i profitti dei padroni, per ingrassare burocrazie varie e riciclare i giovani disoccupati in un processo continuo di abbassamento dei salari e diritti.

Numeri che in somma ci dicono che l’unica cosa che cresce è la precarietà nei rapporti di lavoro, la ricattabilità, l’intensità dello sfruttamento, i profitti dei padroni, non certo l’occupazione in generale (e tanto meno stabile) rendendo inoltre evidente che l’inaccettabile assioma “meno diritti-più lavoro” non ha nemmeno una corrispondenza nella realtà, se non per i meno diritti per tutti. La lotta politica che vede i comunisti impegnati in prima linea nelle scuole, nelle periferie e soprattutto nei luoghi di lavoro, consente di avere un riflesso di prima mano della situazione esistente in questi ambiti, di ricostruire una tendenza reale correlando dati statistici, teoria e lavoro politico pratico quotidiano. Risulta evidente dopo venticinque anni di attacco sistematico ai diritti dei lavoratori che si è giunti ad un livello di smantellamento delle protezioni giuridiche mai visto dal secondo dopoguerra. A questa analisi fotografica della lotta di classe e dei rapporti di forza oggi nelle fabbriche e nelle strade, va aggiunta una analisi di tendenza: la necessità di deregolamentazione dell’accesso al lavoro, dei diritti sul lavoro, la trasformazione del sindacato di lotta in un sindacato concertativo (che con i rapporti di forza attuali non può “concertare” nulla se non mettere la propria firma di approvazione sulla distruzione dei diritti sul lavoro), che rappresentano alcuni cardini delle politiche pubbliche dagli anni ’90 in poi, non costituiscono affatto un “cedimento necessario” per un avvenire migliore, un costo pagato alla modernizzazione per un’occupazione diffusa e per mantenere un certo livello di benessere.

I fatti degli ultimi vent’anni, “chiosati” da questi ultimi dati statistici, ci dimostrano definitivamente che alla distruzione dei diritti sociali non c’è mai fine se permarranno questi rapporti di forza tra le classi. La necessità strategica della ricostruzione comunista in Italia è quindi improcrastinabile, a partire dalla gioventù così martoriata, bistrattata e costretta a subire uno sfruttamento che non ha precedenti negli ultimi 70 anni, dall’istruzione all’accesso al lavoro, al trattamento sul lavoro, alla pensione.

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2 INPS – http://www.inps.it/bussola/VisualizzaDOC.aspx?sVirtualURL=/docallegati/DatiEBilanci/osservatori/Documents/Osservatorio_Precariato_Gennaio2016.xls&iIDDalPortale=10156

3 http://www.isigrowth.eu/wp-content/uploads/2015/12/working_paper_2015_5.pdf

4 ibidem

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