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La periferia che non deve morire

*di Alessandro Petrocelli

Le passate amministrazioni del Comune di Roma hanno attuato politiche sempre più discutibili, con il risultato, sempre più evidente, che la città è diventata un luogo sempre più disomogeneo, dove a zone eleganti e ben curate si contrappongono aree altamente degradate. Attualmente le zone periferiche versano in una situazione di quasi abbandono, mentre gran parte delle risorse è concentrata sul centro storico.

Roma ha un patrimonio artistico-culturale immenso, il centro storico deve sicuramente essere valorizzato affinché cittadini e visitatori possano goderne appieno, questo non lo mettiamo in dubbio. Non si può pensare però che una città viva esclusivamente sul turismo. Seguendo questa logica sono infatti stati effettuati tagli sul personale, privatizzazioni di imprese di proprietà comunale e troppe risorse sono state dirottate da servizi di pubblica utilità (basti pensare ai trasporti) ad altri obiettivi. Ma il turismo quanto giova effettivamente ai cittadini romani? Poco, a goderne sono infatti spesso e volentieri grandi società. Passeggiando per via del Corso non vedrete molti laboratori artigiani o normali negozi, ma quasi esclusivamente punti vendita Adidas, Calvin Klein, Nike o di altre multinazionali. Inoltre i romani che abitano nel centro storico sono sempre meno; il costo troppo alto degli alloggi rende inaccessibili queste zone alla maggior parte dei cittadini e a beneficiarne sono società private internazionali che speculano sugli immobili in affitto. Come è evidente ciò porta assolutamente pochi vantaggi ai romani, tanto più se guardiamo l’altra faccia della medaglia: le periferie. E’ facile notare come vengano rilasciate sempre più licenze per l’apertura di sale giochi o come nuovi centri commerciali vengono progettati e costruiti in zone periferiche, spesso al centro di “quartieri dormitorio” abitati spesso o da lavoratori pendolari che non possono permettersi una casa a Roma per gli affitti eccessivi o dagli stessi lavoratori del centro commerciale. In queste dinamiche che avevamo già analizzato su Senza Tregua, il centro commerciale diventa l’unico centro di socialità nel quartiere: bar, cinema, ristoranti si trovano proprio la dentro, il che è controverso dato che per definizione il centro commerciale non è un luogo di socialità, ma di consumo. Al contempo vi sono intere aree periferiche prive di biblioteche, sale studio o spazi sociali. In ultimo, dopo il danno la beffa, le associazioni culturali effettivamente attive e radicate da anni sul territorio vengono minacciate di sgombero. E’ quanto è successo a molte realtà romane a seguito dell’adozione della delibera 140/15 del Comune di Roma sul riordino del patrimonio capitolino indisponibile in concessione. Per capire meglio è utile fare una breve digressione. Tutto ha inizio dallo scandalo “affittopoli”, scoppiato a febbraio 2015. In quell’occasione è emerso che centinaia di immobili di proprietà del comune dati in concessione, venivano pagati con canoni ridotti, bloccati da oltre 15 anni. I beneficiari spesso erano privati che pagavano alla Romeo S.p.A. (società che gestisce il patrimonio immobiliare del comune) pochi spicci per un locale commerciale a via Condotti, o privati che abitavano (o subaffittavano a prezzo di mercato) locali fronte Colosseo pagando un canone che non superava i 100 euro mensili. L’evasione stimata era altissima (8 milioni l’anno) senza contare le bollette non pagate (17,5 milioni). Il comune giustamente ha deciso di correre ai ripari, l’idea di fondo era prendere misure volte a stanare i fortunati senza però penalizzare con l’operazione di controllo a tappeto chi aveva utilizzato gli immobili per svolgervi servizi d’interesse pubblico. Ovviamente questo principio non è stato rispettato. Il risultato di questo scandalo fu infatti la delibera 140/15 della giunta capitolina, adottata su proposta dell’assessora Alessandra Cattoi, sul riordino del patrimonio indisponibile del comune in concessione. Lo scopo della delibera era riacquisire tutti gli immobili e fare successivamente un bando per riassegnarli. Non essendo stato approvato un regolamento attuativo della delibera, sono state inviate a tutti indiscriminatamente lettere di richiesta di restituzione degli immobili (che sono lo step precedente rispetto alla lettera di sgombero), andando così a colpire anche associazioni culturali attive da anni sul territorio. In questo modo non si sono quindi colpiti esclusivamente i “furbetti” del canone agevolato, ma chi a quel canone aveva effettivamente diritto per la natura della propria attività. Infatti la delibera 26/1995 del Comune di Roma dispone che le associazioni che fanno un uso sociale degli immobili comunali dati in concessione hanno diritto al pagamento di un canone agevolato, corrispondente al 20% di quello normale.

Molte delle concessioni oggetto della delibera sono scadute negli ultimi anni e diverse tra queste associazioni hanno presentato regolare richiesta di proroga. Il Comune ufficialmente non si è pronunciato ma ha risposto in via ufficiosa con rassicurazioni circa l’accoglimento, raccomandando di continuare a pagare il canone agevolato. Nonostante ciò sia avvenuto, negli ultimi mesi sono state inviate diverse lettere di sgombero insieme alla richiesta di ingenti somme di affitti arretrati “a prezzo di mercato” da pagare, causando chiaramente un problema e un danno enorme a queste realtà.

Il comune in questo modo ostacola apertamente l’attività di centri che organizzano attività culturali, concreta risorsa che evita che l’abbandono a cui sono lasciate le periferie indirizzi i giovani (e non solo) verso la microcriminalità o altre problematiche ormai dilaganti.

Come comunisti non possiamo che essere contrari a politiche come questa, cieche e attuate senza criterio. Ci batteremo senza illusione alcuna rispetto alla amministrazione che uscirà dal ballottaggio, affinchè si occupi della riqualificazione delle periferie, incentivando lo sviluppo di spazi che promuovano la cultura in tutte le diverse declinazioni e smettendo di concedere licenze per sale giochi o altre strutture che alimentano l’alienazione di chi vive in queste zone. E’ necessaria pertanto la cancellazione di questa delibera, con una riformulazione che vada a colpire chi effettivamente ha beneficiato ingiustamente di vantaggi che non gli spettavano, e non quelle associazioni che da anni promuovono la cultura nelle periferie

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