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La Francia operaia e popolare sul piede di guerra contro la loi Travail

E’ approdato in Senato, il 14 giugno scorso, il testo della Loi Travail proseguendo l’iter parlamentare dopo il passaggio all’Assemblea Nazionale passato con un atto di forza del governo Hollande-Valls attraverso l’articolo 49.3 senza il voto dei deputati. Grandi manifestazioni si sono realizzate in diverse città del Paese, in particolare nella sua capitale Parigi, nel quadro del nuovo sciopero generale che ha raccolto l’energia accumulata dalla classe lavoratrice e la sua gioventù in 4 mesi di mobilitazione costante, con 9 manifestazioni, occupazioni, assemblee, blocchi, insubordinazioni, scioperi selvaggi, di settore e generali. Secondo diversi sondaggi la maggioranza dei francesi si dichiara contro la riforma sostenuta dal governo Hollande e dal servile sindacato giallo della CFDT (Confederazione Francese Democratica dei Lavoratori) che distrugge il Codice del Lavoro per soddisfare le esigenze del Medef (Confindustria francese). L’enorme mobilitazione del 14 giugno che ha coinvolto oltre 1 milione e 300mila manifestanti in tutto il paese, è stata la più grande dall’inizio delle proteste a dimostrazione che il movimento conta su un’importante forza che continua ad espandersi, sviluppatesi in questi mesi nonostante la forte repressione di polizia e esercito nel quadro dello “Stato d’Emergenza” permanente a seguito degli attentati dello scorso novembre.

La loi Travail come il Jobs Act in Italia e nel resto d’Europa: tutto per il capitale!

Da oltre un decennio in tutti i paesi dell’Unione Europea si stanno portando avanti delle controriforme del lavoro che mirano a distruggere le minime garanzie e diritti conquistati dal movimento operaio negli anni precedenti al fine di rispondere alle necessità dell’incremento della redditività delle grande imprese e dell’accumulazione dei capitali dell’oligarchia finanziaria nel quadro della crisi capitalistica. Liberalizzazione del mercato del lavoro, maggiore flessibilità dei lavoratori, dumping salariale, aumento dell’età pensionabile, distruzione della contrattazione collettiva e delle libertà di lotta sindacale, libertà di licenziamento, ecc. sono le misure comuni in tutti i paesi che lasciano il lavoratore senza alcuna protezione di fronte al padronato, garantendo nuovi margini di profitti alle borghesie monopolistiche nella competizione internazionale abbassando il prezzo della forza lavoro e incrementando il plus-valore estorto. Come in Italia con il Jobs Act, questo è avvenuto in Grecia, Portogallo, Germania, nei Paesi Bassi, in Spagna, ecc ed ora in Francia e in Belgio. Nel nostro paese, il governo di centro-sinistra di Matteo Renzi ha spiegato come le regole contro i licenziamenti dei lavoratori, le tutele economiche per le discriminazioni, la poca flessibilità fossero un freno per l’economia e che i grandi monopoli economici erano riluttanti ad investire nel nostro paese a causa dell’eccessiva difesa dei lavoratori. In questo modo, in nome della “modernità” e sotto il pretesto di ”creare nuova occupazione stabile”, sconfessato dai fatti e dai numeri, sono stati cancellati i frutti delle dure lotte passate, già di per sé esigui e non definitivi. Lo stesso avviene anche in Francia, uno dei pochi paesi con ancora residuali ma importanti diritti sociali.

La Loi Travail (equivalente francese del Jobs Act) presentata dal ministro del lavoro Myriam El Khomri prevede importanti diminuzioni dei diritti dei lavoratori a vantaggio del padronato: possibilità di incremento della giornata lavorativa fino a 12 ore e la settimana fino a 60 ore in caso di “circostanze eccezionali”; ore di straordinario non più pagate maggiormente delle ore normali di lavoro; licenziamenti facilitati; supremazia degli accordi aziendali su quelli di settore e collettivi con l’istituzione di referendum aziendali; possibilità di una compressione salariale fino a due anni sia per il mantenimento dell’occupazione che per l’espansione degli affari e conquista nuovi mercati, incremento dell’orario di lavoro degli apprendisti di minore età fino a 40 ore a settimana e 10 al giorno, riduzione del risarcimento in caso di licenziamento illegittimi. Evidenti sono i punti in comune con il Jobs Act approvato in Italia: i lavoratori sono costretti a lavorare di più e in condizioni peggiori, retribuiti di meno e licenziati quando vogliono i padroni. Il padronato ha la possibilità di operare licenziamenti collettivi non solo per motivazioni economiche e di ristrutturazione ma anche per mantenere una certa competitività sul mercato. I lavoratori potranno essere licenziati non solo se l’azienda rischia di chiudere ma anche se per un trimestre vende ad es. meno auto, e quindi ha meno profitti. Tutti questi licenziamenti verranno, come in Italia, soltanto indennizzati con una piccola cifra che non ridarà il posto di lavoro al lavoratore. Si inverte la gerarchia delle norme con la negoziazione aziendale che regolerà i diritti, orari, ritmi, salari dei lavoratori, nelle condizioni che ben conosciamo: i padroni presentano le loro richieste esercitando il ricatto del lavoro, minacciando la chiusura, la delocalizzazione ecc. se i dipendenti non accettano le richieste padronali. L’azienda diventa l’unico luogo della negoziazione, con l’accordo che ha valore superiore a quello collettivo, di settore e al Codice del Lavoro stesso. Questo è il cuore della Legge El Khomri che rompe l’intero quadro delle garanzie collettive, sopprimendo di fatto il Codice del Lavoro. Una situazione che porta i lavoratori nella situazione di inizio ‘900 dove il lavoratore è totalmente sottomesso al suo padrone.

Più di un secolo di lotte vengono distrutte dal governo socialdemocratico Hollande-Valls per soddisfare la borghesia francese e internazionale. Una distruzione sistematica del Codice del Lavoro francese che procede con vigore e regolarità metodica dal 2012: l’ANI, il Patto di responsabilità, la Legge Macron (I e II), tutte controriforme miranti a rimuovere ogni ostacolo all’intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori scaricando sull’insieme degli strati popolari il peso della crisi cronica del capitale sostenuto dallo Stato borghese nel quadro dell’alleanza interstatale dell’UE. Questa legge va a completare e allo stesso tempo preparare il terreno su cui sarà implementato il TTIP, che dovrebbe permettere lo stabilimento di un vasto raggruppamento imperialista di libero scambio tra USA, Canada e UE. Questo è uno dei motivi per cui l’insieme legislativo che si vuol definire con la Legge El Khomri in Francia è uguale o simile in tutti i paesi dell’UE. Controriforme che sono strutturali e vitali per il capitalismo di fronte alla sua crisi e l’acutizzazione delle contraddizioni inter-imperialiste.

La borghesia francese, con i suoi partiti (dal PS alla destra di Sarkozy fino a quella di Le Pen) e il suo governo, hanno dietro la borghesia europea e la macchina dell’Unione Europea, con il presidente lussemburghese della Commissione Europea, Junker, che ha dichiarato: “La riforma del diritto del lavoro, voluta e imposta dal governo Valls, è il minimo di quello che bisogna fare”, perché l’obiettivo, sono “riforme come quelle imposte ai Grecii, rendendo palese l’obiettivo dell’UE: sostenere i capitalisti perché possano incrementare l’accumulazione di capitale, aumentare lo sfruttamento dei lavoratori e spezzare la resistenza della classe operaia e delle masse popolari. Gli fanno eco le parole di Emma Marcegaglia, presidente dell’ENI e del BusinessEuropeii, che afferma: “Penso che la riforma sia molto importante per attrarre gli investimenti, per avere più competitività, un più alto livello di competitività ed anche per convincere le aziende a investire. Quello che sta succedendo non è affatto piacevole. Penso a quanto stiamo assistendo: i blocchi delle raffinerie e delle strade. È davvero triste. Spero che questo finisca e che la Francia completi le riforme strutturali, perché ne ha bisognoiii.

La lotta di classe tra Stato d’Emergenza e Europei di calcio

La legge El Khomri sta concentrando il malcontento e la collera generale del mondo del lavoro e della gioventù di estrazione popolare che si trascina ormai da tempo, sostenendosi sulla congiunzione tra lavoratori e studenti e allargandosi anche a strati della piccola borghesia e dei funzionari pubblici. Più emblematica e dura delle precedenti, questa legge ha aperto gli occhi di tutti sul carattere di classe del governo e dello Stato. Significativo un recente sondaggio realizzato dall’Istituto Odaxa in cui alla domanda se la lotta di classe è una realtà, il 69% dei francesi ha di risposto di sì, e quasi 6 francesi su 10 risponde di esser toccato da questa lotta. La borghesia con il suo apparato politico (dal Partito Socialista al Front National, passando per coloro che addormentano le masse, dal Fronte di Sinistra alla CDFT e l’UNSA), mediatico e repressivo sta mettendo in campo le sue armi per bloccare e dividere la lotta. La guerra ideologica viene condotta sul tema della modernità, ma non riesce ad imporsi nella popolazione così come il sindacalismo giallo è in difficoltà e non riesce a fermare la mobilitazione che si muove sulla parola d’ordine del ritiro incondizionato della legge che si estende ad altre rivendicazioni di categoria. La congiuntura offre al governo strumenti supplementari utilizzando il “terrorismo” per legittimare la repressione sul quale si sostiene la politica draconiana, anti-popolare e reazionaria dell’UE e del MEDEF e allo stesso tempo delegittimare le ragioni della protesta e le mobilitazioni. Le leggi contro il terrorismo, come già avevamo anticipato dopo gli attentati di novembre, sono servite a rafforzare notevolmente il controllo sulla popolazione: rafforzamento dei poteri di polizia, controllo dei movimenti e dell’utilizzo di internet, intercettazioni ampie, accentuazione della politica repressiva, perquisizioni e detenzioni anche senza aver commesso alcun reato nel quadro della riforma del codice penale adottata lo scorso 9 marzo, che rafforza il potere esecutivo e i poteri della polizia a scapito della magistratura e dei giudici. Tutte le armi repressive sono state affilate in tempo per promuovere questa nuova legge di regressione sociale e politica e bloccare qualsiasi tentativo di minare le basi dell’ordine capitalista.

Tuttavia, la risposta dei lavoratori e della gioventù è stata molto forte dando vita ad una mobilitazione continua da marzo fino ad oggi. Dopo decenni, con lo sciopero generale dello scorso 31 marzo i sindacati della CGT (Confederazione Generale del Lavoro), FO (Forza Operaia), FSU (Federazione Sindacale Unitaria), Solidaries (Solidarietà) e altri hanno ritrovato una sorta di unità d’azioneiv e si sviluppano forme di lotta dure, con blocchi, scioperi, picchetti e cortei molto partecipati e combattivi a cui si unisce una forte componente di studenti. I lavoratori dei trasporti, dell’energia, della logistica, della meccanica, dei servizi pubblici, della grande distribuzione, dell’industria automobilistica, dei cantieri navali ecc., tutti i principali settori economici sono paralizzati per giorni e funzionano ad intermittenza per le massicce astensioni da lavoro che creano sempre più danni ai profitti dei padroni e rendono – attraverso blocchi e scioperi senza preavviso – la situazione ingestibile al governo. La lotta più significativa è ad esempio il blocco totale di 6 delle 8 raffinerie del paese che lasciano le navi cisterne scariche e le pompe di benzina a secco, così anche in 12 delle 19 centrali nucleari che forniscono l’80% dell’energia elettrica del paese costringendo la società di energia elettrica ad importare energia ad un costo molto alto. Azioni che hanno messo in ginocchio per giorni l’intero paese e le tasche dei grandi padroni e azionisti. La maggior parte degli addetti alla pulizia delle strade e della nettezza urbana sono in sciopero dal 3 giugno. Continui blocchi nei centri di smistamento fuori Parigi, così come nei porti e stazioni. Anche nei trasporti scioperi e blocchi sono determinati e prolungati, in particolare nel settore aereo con i controllori del traffico aereo e i piloti di Air France così anche nel trasporto pubblico locale e nel settore ferroviario gli scioperi sono continui e duraturi da metà maggio con azioni simboliche come il blocco di qualche giorno fa nella stazione di Parigi del treno che portava la Coppa degli Europei di calcio. Gli appelli “alla concordia nazionale” che provengono da più parti per fermare le proteste durante la competizione calcistica internazionale che sta portando in Francia milioni di turisti e sportivi, sono stati rigettati da alcuni leader sindacali, anche se le azioni e gli scioperi hanno avuto un rallentamento. Il risalto internazionale della protesta e le difficoltà di gestione in un tale contesto, potrebbe esser un ulteriore arma per spostare i rapporti di forza a favore della lotta dei lavoratori e l’enorme successo dello sciopero generale del 14 giugno segnano un punto importante in questo senso che i sindacati vogliono utilizzare già dal tavolo convocato dal ministro El Khomri per venerdì 17 giugno.

Migliaia di studenti nelle prime settimane della protesta sono scesi in piazza per chiedere il ritiro del vergognoso articolo che prevede orari di lavoro per giovani minorenni in apprendistato fino a 10 ore giornaliere e 40 settimanali. Gli studenti, indignati e convinti che si trattasse di vero e proprio sfruttamento di lavoratori minorenni, hanno organizzato assemblee, occupazioni delle scuole e grandi manifestazioni per protestare contro la precarizzazione di tutti i lavoratori e soprattutto dei giovani. A fine marzo, nelle giornate di mobilitazione nazionale, in tutta la Francia sono stati bloccati 120 licei con picchetti e oltre 100mila studenti sono scesi in piazza a manifestare affianco ai lavoratori. La polizia francese ha continuamente attaccato le manifestazioni studentesche e operaie con metodi brutali e violenti ferendo centinaia di manifestanti, anche in modo grave, ed effettuando 1.600 fermi e 1.000 arresti. Dalle strade, alle piazze, fino ai posti di lavoro come nel caso degli sgomberi delle raffinerie occupate dagli operai con l’uso di proiettili di gomma e idranti causando numerosi feriti tra gli operai dando vita a “scene di guerra” come affermato dai rappresentanti della CGT nel caso di Fos-Sur-Mer. Ma per Marine Le Pen del Front National, questo non è sufficiente e chiede il pugno di ferro contro i lavoratori per far rispettare lo Stato d’Emergenza, maggiori misure a sostegno della polizia, il divieto di cortei e lo scioglimento di quelle che chiama “milizie di estrema sinistra” che alimenterebbero la protesta facendo un gioco di sponda con il governo che identifica le proteste come una “strategia condotta da una minoranza“, mentre deboli e marginali sono le critiche del FN alla loi Travail. Non è da meno il presidente del Medef, Pierre Gattaz, che paragona i lavoratori scioperanti a “teppisti e terroristi”.

Alla repressione e i tentativi di screditare le proteste e legittimare la legge nel nome di una presunta modernità, il governo sotto assedio è costretto a tentare anche la strada della trattativa con i sindacati dei lavoratori e studenteschi proponendo a quest’ultimi alcuni compromessi-trappola al fine di dividere il movimento tra giovani e lavoratori come l’aumento delle borse di studio per i liceali del 10%, la creazione di 10mila posti in più negli istituti di formazione tecnica superiore, il mantenimento della remunerazione degli apprendisti e l’aiuto finanziario da parte dello Stato francese per cercare il primo impiegov o innalzare il costo dei contratti a tempo determinato. Tutte misure che non rispondono alla povertà crescente degli studenti degli strati popolari e non toccano per nulla l’impianto dei provvedimenti né la legge El Khomri e si rivolgono ad un infima minoranza di “beneficiari”. I sindacati studenteschi riformisti hanno salutato positivamente queste misure “strappate”, calcolate con un costo approssimativo di 500mila euro, ma ribadiscono comunque l’unità con i lavoratori e chiedono il ritiro del progetto di legge.

Le mobilitazioni e gli scioperi stanno ottenendo importanti risultati soprattutto nell’opinione pubblica che è sfavorevole alla legge. Secondo un sondaggiovi dell’IFOP (Istituto Francese di Opinione Pubblica) il 46% dei francesi vogliono il ritiro del progetto di legge, il 40% chiede delle modifiche e solo il 13% è d’accordo con la Loi Travail. Il primo ministro di Hollande, Manuel Valls, ha minacciato di utilizzare nuovamente l’articolo della costituzione 49.3 che permette, in casi specifici, di approvare una legge senza farla votare dal senatovii che si unisce alla crescente criminalizzazione delle lotte fino alla minaccia di vietare tutte le manifestazioni: “Nel momento in cui la Francia ospita l’Euro, in cui deve far fronte al terrorismo, non si potranno dare più autorizzazioni a manifestare se le condizioni per la sicurezza dei beni e delle persone e dei beni pubblici non potranno essere garantite” ha dichiarato Stéphane Le Foll, portavoce del governoviii, preceduta dalle dichiarazioni di Hollande e Vallsix che hanno accusato la CGT di esser responsabile per gli incidenti avvenuti durante lo sciopero da cui il sindacato maggiore ha preso le distanze. Misure autocratiche che dimostrano come il governo sia nettamente in difficoltà, sia dentro che fuori il parlamento, pressato dall’evento internazionale che sta ospitando e da un movimento popolare che non cede con importanti aree radicalizzate al suo interno che mirano a unificare e estendere le lotte.

Solidarietà internazionale

Le parole di Junker, come quelle della Marcegaglia, prima citate, rendono palese come la loi Travail faccia parte dell’attacco generalizzato contro la classe lavoratrice internazionale, pianificato a livello centrale come scelta strategica dei monopoli e dell’Unione Europea. Ne deriva l’importanza della lotta del proletariato francese per tutto il movimento operaio e popolare internazionale al fine di aprire una breccia nel potere dei monopoli. La Federazione Sindacale Mondiale (FSM) ha inviato un messaggio di solidarietà internazionalista e sostegno alla lotta per il ritiro della loi Travail, e di condanna delle azioni repressive contro i lavoratori in sciopero e l’autoritarismo del governo (leggi qui). Anche il PAME, a nome del movimento di classe greco, si solidarizza con la lotta dei lavoratori francesi affermando “che in Francia come in Grecia vengono promosse misure antioperaie che mirano alla tutela dei profitti dei monopoli. Presupposto per la loro redditività è la macellazione della classe operaia, con tagli salariali, alle pensioni, l’abolizione dei diritti dei lavoratori, la privatizzazione della sanità e istruzione. Vittima principale di questo attacco è la gioventù, condannata alla disoccupazione o relazioni lavorative da schiavitù! L’imposizione di queste politiche antioperaie passa attraverso l’eliminazione di qualsiasi voce di resistenza. Questo è il motivo per cui si assiste al crescente attacco contro i diritti e libertà sindacali, contro i lavoratori che combattono e si mobilitano. Per questo hanno enormi responsabilità quelle forze del movimento sindacale che per anni hanno coltivato la posizione collaborazionista, di ritiro e compromesso a favore delle esigenze padronali.x Una delegazione del PAME si è recata in Francia ad assistere agli scioperi, picchetti e assemblee di fine maggioxi mentre il Segretario Generale della FSM, George Mavrikos, si è recato alla manifestazioni di sciopero di Marsiglia parlando davanti a 45.000 lavoratori esprimendo la solidarietà della classe operaia di tutto il mondo.xii

Anche in Italia, il movimento sindacale di base e conflittuale prova a mobilitarsi per costruire un legame di lotta contro l’offensiva padronale diretta dai vari governi borghesi e l’UE su scala internazionale e rilanciare l’opposizione contro il Jobs Act. Presidi di fronte ai consolati francesi e cortei sono stati svolti a Roma (1° giugno presidio USB) e Milano (4 giugno corteo di SiCOBAS, SGB, CUB, USI), altre azioni e assemblee sono state realizzate il 14 giugno in diverse città. Un tentativo di rilancio, necessario ma con ancora grandi limiti, che segue l’assenza di un opposizione forte al passaggio del Jobs Act che le proteste attuali in Francia stanno negativamente risaltando. Ma sarebbe un errore considerare questo come derivazione da fattori antropologici tra popolo francese e italiano: in Italia le proteste a seguito della presentazione del ddl del Jobs Act, sono state incanalate dai sindacati confederali in un sentiero morto, non solo non promuovendo la lotta come base della mobilitazione, ma facendo di tutto per impedirlo al fine di mantenere un finto ruolo concertativo per ottenere il ritiro di punti marginali e contemporaneamente rendendosi complice anche delle norme sulla rappresentanza e la limitazione del diritto di sciopero, per infine adesso fermarsi ad una inutile e forviante raccolta firme.

Rompere l’UE con le lotte di classe

La mobilitazione francese al momento rimane essenzialmente sindacale molto distante dal lanciare un’offensiva in senso rivoluzionario. Sezioni del Partito Socialista “più a sinistra”, il Front de Gauche e il PCF (che ricordiamo hanno votato a favore dello Stato d’Emergenza il cui ambiente consente le misure autoritarie e repressive con il quale il governo sta portato avanti la legge sul lavoro), così come settori sindacali a loro vicini, cercano di non far andare la sempre maggiore presa di coscienza dei lavoratori oltre la visione interna al capitalismo, la riformabilità dell’UE e le sue istituzioni. Allo stesso tempo si sviluppano forme di movimento simili a quelle già conosciute al tempo degli “indignados”, “occupy Wall Street” ecc. di cui abbiamo già visto i palesi limiti e distorsioni nella visione e conduzione della lotta che esse portano in sé. Il successo mediatico della cosiddetta nuit debout mentre contestualmente si denigra la lotta di sciopero è emblematico su ciò che fa realmente paura al governo, al padronato e all’UE. Le nuit debout sono dei luoghi dove tutti possono dire la loro e lamentarsi, partecipato in particolare da giovani e intellettuali – scollegati dal movimento operaio – in cui ciascuno ha tre minuti per parlare di tutto e di niente. Al di là della buona fede di coloro che partecipano, magari anche a prime spontanee esperienze di lotta e gli interrogativi che si pongono, esso non può assolutamente sostituirsi all’organizzazione nei posti di lavoro e alle forme proprie della lotta di classe, in primis lo sciopero prolungato.

Le attuali proteste in Francia, come in Grecia, sono l’esempio che le lotte organizzate dei lavoratori hanno una grande potenzialità di sviluppo di massa e rivoluzionario. Gli scioperi, blocchi e altre forme radicali intraprese dai lavoratori e settori sindacali conflittuali evidenziano come queste sono le uniche a far male al padronato e al governo, scuotendo i rapporti di forza e gli ingranaggi del potere sui cui si fonda l’UE. Dimostrano che la classe lavoratrice produce tutto e quando si ferma nulla si muove, da cui deriva che essa è l’unica classe che è portatrice del cambiamento reale e radicale necessario a sempre più ampi strati della società. Oggi in Italia in settori della sinistra radicale e di movimento si acclama alle proteste francesi, soprattutto alle nuit debout, senza però vederne la vera essenza. Le lotte sono partite dai luoghi di lavoro e di studio, dalle fabbriche e dalle scuole, e ancora oggi quelli che costituiscono il nervo principale delle proteste sono gli operai a cui si legano gli studenti e da qui si estende in modo convergente e unificante al resto dei settori popolari. L’essenza delle lotte in Francia, contro questa legge, sta in chi la costruisce, in chi fa valere una giusta analisi e organizza giorno dopo giorno in tutti i capoluoghi dei département, in tutte le fabbriche, in tutte le scuole assemblee, manifestazioni e picchetti. Un esempio di questa battaglia sta nella solidarietà tra lavoratori: da quando è stato lanciato il pot commun, il fondo di aiuto ai lavoratori in sciopero, sono stati raccolti in poche settimane oltre 350mila euro (https://www.lepotcommun.fr/pot/x9a9rzjr).

Con la legge El Khomri, l’obiettivo del governo e dell’UE è quello di creare un rapporto di forze permanentemente a favore del grande capitale, nazionale e internazionale. Lo Stato francese è l’arma dei capitalisti transalpini, l’arma della sottomissione dei lavoratori con i loro legislatori e le loro forze dell’ordine, è il loro strumento di classe per mantenere la dittatura del capitale che si rafforza con l’Unione Europea. Per il movimento francese sarà vitale che l’opposizione alla loi Travoil, così come da noi al Jobs Act, sia collocata nel solco della lotta di classe per gli interessi propri del popolo lavoratore e la gioventù d’estrazione popolare contro il sistema che la produce e la classe a cui essa è funzionale, e quindi contro l’Unione Europea. La mancanza di una forte direzione politica rivoluzionaria, così come di un offensiva popolare su larga scala, sono l’elemento di debolezza attuale dei lavoratori francesi che rende plausibile che superata la fase di opposizione che si accompagna al voto parlamentare questo movimento di lotta possa andare a scemare: ma al di là del risultato che conseguirà sulla loi Travail, se il ritiro o solo parziali concessioni (a cui alcuni settori sindacali propendono), l’intensità della lotta apre nuovi spazi per tramutare il potenziale di lotta espresso in consapevolezza della forza del proletariato per il Potere, dalla scintilla all’incendio, unico modo per risolvere il nodo centrale.

Le lotte in Francia devono esser un esempio per lavoratori e studenti. Devono essere un esempio per quelle migliaia di giovani che non credono più nelle proteste per ottenere miglioramenti alle loro condizioni di vita o rifuggono dal lavoro politico di classe e organizzato che è l’unico percorso per cambiare qualcosa in meglio ed aspirare ad un futuro diverso. Guardiamo alle lotte del proletariato francese non con “ammirazione” e “verbale solidarietà” ma come ulteriore elemento per la costruzione di percorsi reali e di classe per estendere la lotta nel nostro paese contro il governo Renzi, il Jobs Act e il complesso delle politiche antipopolari e antioperaie che hanno nell’UE la loro fonte comune. Il proletariato francese, come quello greco e di tutta europa, nelle lotte condotte nel proprio paese ha bisogno contestualmente della lotta negli altri paesi per alimentarsi e indebolire l’UE e il potere capitalista aprendo profonde contraddizioni intra-borghesi e di classe. Solo conducendo la lotta di classe – che è nazionale nella forma e internazionale nella sostanza – nei propri paesi, si può rompere l’UE ed esprimere concretamente l’internazionalismo proletario e la solidarietà, rovesciando in ogni paese il potere del capitale.

Note

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