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Carlo di Sarno

Morire in auto dopo 12 ore di lavoro. Fin dove arriva la colpa dei padroni

È di pochi giorni fa la notizia di un operaio morto mentre tornava a casa, dopo un turno di 12 ore di lavoro presso l’ex Ilva di Taranto, oggi Arcelor Mittal. Erano le 4 di mattina quando il 47enne Carlo Di Sarno, dipendente di un’azienda subappaltatrice della Modomec (a sua volta ditta dell’indotto Arcelor Mittal), ha perso il controllo dell’auto finendo per schiantarsi contro un albero, perdendo la vita. Una vicenda che fa riflettere sulla responsabilità che c’è dietro un evento per il quale nessuno sarà indagato né definito colpevole. La chiameranno tragedia.

Nel 1907, un bel passaggio del celebre libro di Jack London, “il Tallone di Ferro” (riportato in fondo all’articolo) spiegava come i turni massacranti siano correlati con gli incidenti sul lavoro. E in effetti ciò che bisogna chiedersi è proprio questo: è davvero una fatalità se si muore per un colpo di sonno dopo un turno con straordinari in fabbrica durato 12 ore? O forse c’è responsabilità da parte di chi, proprio grazie a quei turni massacranti, guadagna e trae profitto sulle spalle di altri?

Per i padroni oggi è molto più redditizio far lavorare un solo operaio 12 ore piuttosto che due operai per 6 ore, e poco importa se questo costa del benessere e spesso e volentieri della salute dei lavoratori. La forza lavoro è considerata equivalente a un macchinario, che va utilizzato fino allo stremo, e poco importa se un uomo dopo ore di lavoro ininterrotte può subire infortuni o fare incidenti tornando dal lavoro non per negligenza, ma perché consumati dal troppo lavoro. Per il padrone gli orari di lavoro che devono avere i dipendenti sono quelli per cui sono più “produttivi”, non quelli per cui possano avere una vita dignitosa.

Oggi giorno, grazie allo sviluppo tecnologico, sarebbe possibile lavorare meno e lavorare tutti se i frutti di questo progresso fossero utilizzati per l’avanzamento collettivo della società. Ma c’è chi preferisce imporre ai lavoratori turni notturni di 12 ore in nome del profitto.

Se un operaio, dopo questi turni massacranti, muore tornando a casa, la colpa non è di nessun altro se non di chi, con il ricatto del salario, lo costringe a quei turni. Non c’è nessun fato ma solo la necessità dei padroni di spremere chi lavora.

In conclusione, l’estratto già citato da “Il tallone di ferro”, nel quale Avis Everhard indaga sulla vicenda di un operaio che ha perso il braccio durante un turno di lavoro, e che riflette su come gran parte di questi incidenti accada sistematicamente nelle ultime ore di lavoro, quando la stanchezza si fa sentire.

Ecco cosa scriveva Jack London:

Non immaginavo neppure la parte importante che il braccio di Jackson avrebbe avuto nella mia vita. Lui personalmente, quando riuscii a trovarlo, non mi fece una grande impressione. Lo scovai in una baracca (1) dalle parti della baia, al limite della palude.

Tutt’intorno, c’erano pozze d’acqua stagnante, la cui superficie era coperta da una schiuma verde e dall’aspetto putrido; e se ne levavano miasmi intollerabili.

Scoprii che era veramente la persona umile e mite che mi era stata descritta.
Era tutto intento a un lavoro di impagliatura, e mentre parlavo con lui, lavorava senza smettere. Nonostante la sua rassegnazione, colsi nella sua voce come un senso di amarezza nascente, quando mi disse:

“Avrebbero potuto impiegarmi come guardiano notturno, almeno”.

Riuscii a cavar poco da lui: aveva un’aria ebete che contrastava con la destrezza mostrata nel lavorare con la sua unica mano.

Questo mi suggerì una domanda:

“Come le è successo di restare impigliato col braccio nella macchina?”.

Mi guardò come trasognato. Rifletté, poi scosse il capo.

“Non so, non so come sia accaduto”.

“Negligenza?”.
“No, non la chiamerei negligenza: facevo delle ore supplementari ed ero un po’ stanco. Ho lavorato diciassette anni in quella filanda, e ho notato che gli incidenti capitano proprio poco prima del fischio della sirena.
Scommetterei che ne accadono più nell’ora che precede l’uscita, che nel resto della giornata. Dopo aver lavorato per parecchie ore senza interruzione, si è meno attenti. Lo so perché ne ho visti tanti fatti a pezzi, affettati o sfracellati“.

“Molti?”
“Centinaia. E anche bambini”.

Tranne alcuni particolari raccapriccianti, il racconto che Jackson mi fece dell’incidente fu lo stesso di quello che avevo già sentito. Quando gli chiesi se nella manovra della macchina non avesse per caso infranto qualche norma di sicurezza, scosse il capo.

“Staccai la cinghia con la destra”, disse poi, “allungai quindi la sinistra per togliere la pietra senza verificare se la cinghia era staccata. Credevo di averlo fatto con la destra – invece no. Non del tutto, almeno; avevo agito troppo in fretta. E il braccio mi venne maciullato”.

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