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“La GAP”, alla resistenza che fu e a quella che sarà

La lotta partigiana è stata raccontata anche attraverso tante canzoni, contemporanee e successive al suo svolgimento. In questo articolo si ripercorre attraverso una di esse – “la GAP” – la narrazione della lotta dei gappisti a Milano e del tradimento dei loro ideali nel dopoguerra.

di Antonio Maffei

Fra i numerosi brani musicali che parlano della Resistenza uno spicca fra tutti per la sua forza descrittiva: la Gap. La canzone fu inizialmente scritta per lo spettacolo “Vorrei morire stasera se dovessi pensare che non è servito a niente” di Dario Fo e Franca Rame, con testo del succitato Dario Fo. Narra di un’azione partigiana avvenuta il 15 marzo 1945 nel Milanese. Qui Giovanni Pesce, comandante della 3a GAP “Rubini” uccise Cesare Cesarini, ingegnere dello stabilimento Caproni, che secondo le parole di Pesce “ha fatto deportare centinaia di operai e di tecnici, quasi tutti ad Auschwitz, ha fatto imprigionare e fucilare compagni e amici.”

Il linguaggio della canzone riesce perfettamente a rendere l’idea dell’aria che si respirava durante la Resistenza, il pericolo che i partigiani correvano nel compiere le loro azioni, la paura delle rappresaglie, degli arresti, della morte.

Ripercorriamo i fatti dall’inizio: i tedeschi volevano smantellare lo stabilimento, importante per la sua produzione di aerei e imbarcazioni da guerra, di fronte all’avanzata degli alleati. I lavoratori fecero uno sciopero per salvare “le macchine che sono il loro pane” e la rappresaglia dei fascisti non si fece aspettare: molti scioperanti furono arrestati con la complicità di Cesarini, detto “il boia della Caproni”. Vi erano già stati alcuni tentativi della 3a GAP di uccidere Cesarini, ma fino ad allora nessuno aveva avuto successo, poiché il boia aveva sempre con sé un corpo di guardie armate della Muti. Nonostante ciò l’eroico comandante Visone – nome di battaglia di Giovanni Pesce – da solo uccise Cesarini e le sue guardie riuscendo a fuggire, davanti agli operai della fabbrica che dapprima spaventati dallo scontro a fuoco, successivamente applaudirono ed esultarono per il gesto. Il brano continua descrivendo la rappresaglia dei fascisti, il loro tentativo di far esplodere la fabbrica e lo scontro armato in cui gli operai riuscirono a respingere l’orda fascista salvando lo stabilimento.

Dopo questa parte il brano si concentra su una riflessione ancora tristemente attuale: il tradimento degli ideali della Resistenza. Nonostante il ruolo fondamentale dei comunisti e della classe lavoratrice nella lotta partigiana su tutti i fronti – gli scioperi, i sabotaggi, la guerriglia, fino agli assassini politici come quello di Cesarini – di fatto ciò che venne costruito dopo la guerra fu un sistema in totale continuità nei rapporti di produzione a quello che favorì l’ascesa del fascismo e che da questo venne tutelato. Come la canzone ricorda, dopo la guerra i padroni tornarono nelle fabbriche, la repressione del movimento operaio continuò attraverso incarcerazioni, licenziamenti e talvolta anche con il sangue, lo stesso sangue operaio che aveva versato il fascismo fino a poco tempo prima. Nella strofa finale del brano è contenuta tutta la morale della storia: “per noi operai la liberazione l’è ancora da far”.

Tutt’oggi la classe lavoratrice – ancora più che negli anni in cui fu scritta la canzone – sopravvive con contratti da fame, orari di lavoro massacranti, disoccupazione. Sempre meno lavoratori hanno accesso alla sanità, a una formazione scolastica e universitaria per i propri figli, in sostanza a una vita dignitosa della quale il fulcro costante non sia il guadagno del padrone, ma il proprio arricchimento materiale e culturale.

Quel 25 aprile 1945 fu il culmine di anni di organizzazione e di lotta in clandestinità, che ancora oggi come allora tocca a noi comunisti portare avanti per la liberazione reale non solo dal fascismo, ma dal capitalismo, lo stesso sistema di sfruttamento che storicamente ha prodotto il fascismo con l’intento di indebolire le conquiste dei lavoratori colpendo le organizzazioni proletarie.

A noi spetta fare tesoro della lotta condotta da coloro che si sono battuti contro il fascismo, e continuando la loro lotta per un’Italia diversa, una società socialista.

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