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Lenin e la Comune di Parigi

di Lorenzo Soli*

La Comune come governo operaio e come risultato della guerra civile

La Comune di Parigi ha lasciato un segno indelebile nella storia mondiale. Supportata o disprezzata, glorificata o vituperata, la Comune istituita dagli operai della capitale francese nel contesto della guerra franco-prussiana, ha sempre rappresentato agli occhi del movimento operaio internazionale uno spartiacque: il primo vero tentativo rivoluzionario di instaurare un ordine nuovo non basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; il primo «governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l’emancipazione economica del lavoro»1 . La Comune costituì uno spartiacque non soltanto per il semplice fatto di essere stata instaurata, ma anche perché separò in due la storia del movimento operaio e del capitalismo nel suo complesso. Con la Comune di Parigi, nonostante la sua crudele repressione – nella cosiddetta “settimana di sangue” – la parte più cosciente della classe operaia si indirizzò sempre più verso una maggiore strutturazione delle organizzazioni di lotta – partiti e sindacati – adottando il marxismo come dottrina politica fondamentale di emancipazione e andando a costituire le premesse per la formazione della Seconda internazionale. Il capitalismo mondiale, d’altro canto, si sviluppò in direzione della sua fase monopolistica, l’imperialismo, generando in seguito tutte quelle condizioni che avrebbero portato allo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914.

Tuttavia, anche se sempre nei cuori di tutti i lavoratori, gli esponenti politici del movimento operaio della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento ebbero perlopiù un rapporto ambiguo nei confronti della Comune. Il grande merito storico della Seconda internazionale è stato, tra le altre cose – e in una fase di relativo sviluppo pacifico del capitalismo – di affermare la necessità dei partiti operai come strumenti di lotta essenziali contro lo Stato e il sistema economico e sociale borghesi. Con queste premesse, i lavoratori ebbero modo di sviluppare la lotta economica e politica nelle condizioni della democrazia borghese – più o meno sviluppata – inserendosi altresì con forza all’interno delle istituzioni locali e nazionali con propri delegati e sviluppando ad esempio il movimento cooperativo come contraltare al predominio economico degli agrari e dei grandi industriali. Un altro aspetto fondamentale fu che le organizzazioni di classe si impegnarono nell’elevamento della cultura di base e della cultura politica in seno ai ceti popolari, arrivando con ciò a sviluppare un sentire comune basato sulla coscienza di appartenere ad un unico movimento nazionale ed internazionale. In queste condizioni, tuttavia, con l’ampliamento di una base sociale rappresentata dalla cosiddetta “aristocrazia operaia” in alcuni Paesi avanzati – inseritasi nelle dirigenze dei principali partiti e sindacati di massa – ebbero modo di affermarsi anche le tendenze riformiste e revisioniste della teoria marxista, specialmente nei confronti dell’analisi dello Stato. In particolare, è stata proprio l’analisi della Comune di Marx a spaventare coloro che, anche se formalmente si richiamavano alla rivoluzione socialista, di fatto non facevano nulla per indirizzare il movimento operaio verso una comprensione del suo ruolo storico e dei suoi obiettivi politici mediati e immediati, alleandosi di fatto con la propria borghesia – come poi si sarebbe evidenziato plasticamente nella scissione del movimento socialista internazionale con lo scoppio della guerra mondiale.

Al contrario Lenin capì perfettamente le lezioni della Comune di Parigi e quale contributo essa diede per determinare a tutti gli effetti l’atteggiamento dei marxisti nei confronti dello Stato borghese. Facendolo si basava sulle considerazioni di Marx esposte ne La guerra civile in Francia e nella sua lettera a Kugelmann del 12 aprile 1871, oltre che sulle lettere di Engels del 18 e del 28 marzo 1875 e sulla prefazione di Engels alla edizione del 1891 dell’opera di Marx dedicata alla Comune. Nella lotta politica precedente lo scoppio della guerra mondiale, durante la guerra stessa e nel contesto della rivoluzione russa, Lenin fece numerosi e importanti riferimenti all’esperienza comunarda come tassello fondamentale dell’elaborazione tattica e strategica rivoluzionaria del partito bolscevico. Ad essa vi si riferì ad esempio come caso fondamentale di trasformazione di una guerra voluta dalla borghesia in guerra civile rivoluzionaria. L’importanza della Comune, isolata dalle forze prussiane e attaccata dalle forze contro-rivoluzionarie del governo di Versailles guidato da Thiers, era vista proprio nel suo carattere insurrezionale; nel fatto che, anche se operò una resistenza disperata, essa non fu affatto futile, bensì servì alla ulteriore educazione delle masse lavoratrici in visione di future e più dure lotte. La Comune evidenziò, in particolar modo, che i lavoratori non avrebbero mai potuto trovare appoggio dalla borghesia per emanciparsi dalle catene dello sfruttamento capitalistico: solo distruggendo l’ordinamento vigente, solo con la guerra civile per l’appunto, e sfruttando in tutti i modi possibili le crisi provocate dal capitalismo stesso, si era in grado di fare ciò. Lenin fece appello costantemente a queste considerazioni per denunciare il tradimento dei capi opportunisti della Seconda Internazionale i quali, durante la Grande guerra, mentre i giovani contadini e operai morivano in massa nelle trincee di tutta Europa, disattesero i documenti da loro stessi votati nei congressi internazionali del 1907 (Stoccarda), 1910 (Copenaghen) e 1912 (Basilea). Nel manifesto del congresso di Basilea si faceva, anzi, diretto riferimento alla Comune del 1871, così come all’insurrezione del 1905 in Russia, presi come modelli di guerre civili condotte dal proletariato, in diretta contrapposizione alla futura guerra imperialistica che sarebbe di lì a poco scoppiata.

Sinteticamente, così si esprime Lenin: «Per quanto grandi fossero stati i sacrifici della Comune, essi furono compensati dalla sua importanza per la lotta proletaria in generale: la Comune risvegliò il movimento socialista in tutta Europa, mostrò la forza della guerra civile, dissipò le illusioni patriottiche e distrusse la fede ingenua nelle aspirazioni nazionali della borghesia. La Comune insegnò al proletariato europeo a stabilire concretamente gli obiettivi della rivoluzione socialista»2.

Il governo della Comune

Altre considerazioni di Lenin sulla Comune si riferirono alla particolarità delle misure prese durante la sua breve esistenza, fra cui si ricordano: la proroga degli affitti e delle cambiali; la sostituzione dell’esercito permanente con l’armamento generale del popolo («…il primo decreto della Comune fu la soppressione dell’esercito permanente, e la sostituzione ad esso del popolo armato…» , Marx, La guerra civile in Francia); la separazione netta fra Stato e Chiesa; la soppressione del bilancio dei culti; l’istituzione della istruzione pubblica e laica per tutti; la proibizione del lavoro notturno per le panetterie; l’abolizione del sistema delle multe nei luoghi di lavoro; la rimessa in moto delle officine, delle fabbriche e degli opifici abbandonati o lasciati inutilizzati per colpa della crisi bellica e della fuga di molti borghesi dopo l’instaurazione della Comune; lo stabilimento dello stipendio dei membri del governo e dei funzionari in conformità a quello normale di un operaio; eleggibilità e revocabilità dei funzionari in qualsiasi momento.

Tutte queste misure contribuiscono a far meglio capire il reale carattere innovativo della Comune, anche se purtroppo, in alcune circostanze, essa non operò come si sarebbe dovuto fare: il governo della Comune, ad esempio, non espropriò la Banca di Francia e la lasciò completamente intatta. L’esistenza di varie anime all’interno della Comune, la mancanza di una reale determinazione degli obiettivi principali – anche militari – per mobilitare tutte le masse lavoratrici in direzione di una espansione del movimento all’esterno della capitale – è la Comune che infatti fu costretta ad accettare battaglia dalle truppe di Thiers e di Versailles, non il contrario – fece sì che il suo destino fosse segnato dall’inizio. Il non avere operato a dovere nella repressione della borghesia e nella saldatura di una alleanza tra classe operaia parigina, classe operaia di altre città – dove pure ci furono brevi tentativi insurrezionali, ad esempio a Marsiglia, Lione, Saint-Etienne, Digione – e massa dei contadini, si risolse nella condanna a morte della Comune. In queste considerazioni, sviluppate da Lenin nei suoi interventi Gli insegnamenti della comune (1908) e In memoria della comune (1911), si può notare una grande attenzione riservata alle forze sociali, politiche ed economiche in campo, così come agli aspetti tattici e strategici. La sua sentenza non poté che essere una: la Comune fallì in una situazione di assenza di vera preparazione del proletariato – e quindi del partito di avanguardia rivoluzionario – e in un contesto ancora poco sviluppato di sviluppo delle forze produttive; elementi che generarono una saldatura tra tutte le classi maggiorenti del Paese in alleanza con la grande massa dei piccoli contadini possidenti e della piccola borghesia cittadina – quella parigina, in particolare, quando la disfatta divenne chiara, disertò il campo e abbandonò gli operai a loro stessi.

Un elemento è però importante sottolineare, perché coglie l’attenzione di Lenin più e più volte: quello della milizia popolare.

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Sulla milizia

Nella terza delle sue Lettere da lontano (marzo 1917), a fianco della questione dei soviet dei deputati operai, dei contadini e dei soldati – come organizzazioni proletarie di tipo nuovo per mobilitare le grandi masse oppresse e come organismi di governo – Lenin affronta il tema del potere in sé, il tema dello Stato, che in quanto dittatura di una classe sull’altra – in qualsiasi caso e senza eccezione alcuna – poggia la sua esistenza sulla violenza e sulla forza armata. In questo senso, specifica Lenin, il proletariato necessita dello Stato operaio in via transitoria, ma non dello Stato borghese: quest’ultimo, al contrario, andrebbe “spezzato”, con tutto il suo complesso apparato di potere repressivo (esercito e polizia in primis), rimpiazzandolo con il popolo in armi (ovvero la milizia proletaria armata) che abbina senza soluzione di continuità compiti di polizia e di difesa militare in qualità di organo esecutivo dei soviet. Il proletariato sostanzialmente, organizzandosi e armandosi in massa, prende le redini del potere statale e forma esso stesso le istituzioni di questo potere, educandosi in tal modo a partecipare a tutti gli affari pubblici e al mantenimento dell’ordine, contro qualsiasi tentativo contro-rivoluzionario e contro le manovre eversive dei governi borghesi. Così spiega: «Seguendo la strada indicata dall’esperienza della Comune di Parigi nel 1871 e della prima rivoluzione russa del 1905, il proletariato deve organizzare e armare tutti gli strati più poveri e sfruttati della popolazione, affinché essi stessi prendano direttamente nelle loro mani gli organi del potere statale e formino essi stessi le istituzioni di questo potere»3.

Lenin specifica che queste misure non sono il socialismo, e la stessa cosa si può dire delle misure adottate dalla Comune nei suoi pochi giorni di esistenza e a cui Lenin si richiama in questa circostanza come esempio storico concreto dello Stato-Comune operaio avente per l’appunto una milizia popolare armata. Si sta parlando delle misure minime a cui un governo rivoluzionario dovrebbe attenersi per mantenere il potere e per creare le condizioni per l’instaurazione a tutti gli effetti della dittatura proletaria. Misure che devono essere adottate anche prima della effettiva presa del potere: la milizia popolare che Lenin proponeva doveva anzi servire a chiarificare una situazione che rischiava di distruggere i soviet sorti spontaneamente nel corso della Rivoluzione di Febbraio, per colpa sia dei menscevichi che dei socialisti rivoluzionari, i quali appoggiavano la politica del governo provvisorio. Difatti esse non si occupano della riorganizzazione della produzione, e non costituirebbero di per sé la dittatura del proletariato, ma la “dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini poveri”. Come sempre Lenin analizzava la situazione secondo la determinazione dei fatti concreti e proponendo misure praticamente realizzabili – o che si stavano già praticamente realizzando – consapevole che durante una rivoluzione la situazione è in continua evoluzione, comportando quindi un adeguamento della tattica e gli obiettivi immediati del partito proletario alle condizioni oggettive. Così egli si esprime: «all’ordine del giorno si pone oggi il problema organizzativo, non già nel logoro senso di lavorare esclusivamente nelle consuete forme organizzative, ma nel senso di mobilitare le grandi masse delle classi oppresse in una organizzazione che assolva funzioni militari, statali ed economiche. Il proletariato si è accostato e continuerà ad accostarsi per vie diverse a questa sua originale funzione»4.

Queste questioni vennero riprese nelle tesi di Aprile, dove Lenin dice sostanzialmente che il compito immediato, nel passaggio dalla prima alla seconda fase della rivoluzione, non era l’instaurazione del socialismo come complesso di relazioni economiche organizzate che solo in un periodo di dittatura proletaria più o meno lunga si sarebbe potuto fare, bensì soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai, con una serie di rivendicazioni specifiche annesse. La milizia in contrasto con gli apparati repressivi borghesi si inserisce esattamente in questa serie di problemi.

Lenin ritorna sulla questione ne I compiti del proletariato (sempre nell’aprile del ’17) dove si espresse così: «[…]a cominciare dalla fine del secolo XIX, le poche rivoluzionarie ci offrono un tipo superiore di Stato democratico, uno Stato che sotto certi aspetti cessa, secondo l’espressione di Engels, di essere uno Stato, «non è più uno Stato nel senso proprio della parola». È lo Stato del tipo della Comune di Parigi, che sostituisce la polizia e l’esercito distinti dal popolo con l’armamento diretto e immediato del popolo stesso. È questa l’essenza della Comune, vilipesa e calunniata dagli scrittori borghesi che, fra l’altro, le attribuiscono erroneamente l’intenzione di «introdurre» subito il socialismo»5.

Successivamente egli rimarca: «La sostituzione della polizia con una milizia popolare è una riforma che scaturisce da tutto lo svolgimento della rivoluzione e che si sta realizzando nella maggior parte delle località della Russia. Noi dobbiamo spiegare alle masse che questa riforma è stata del tutto effimera nella maggior parte delle rivoluzioni borghesi di tipo ordinario e che la borghesia, anche la più democratica e repubblicana, ha ricostituito la polizia di vecchio tipo, zarista, separata dal popolo, comandata dalla borghesia, capace soltanto di opprimere il popolo in mille modi. Per impedire la ricostituzione della polizia c’è un solo mezzo: creare una milizia di tutto il popolo e fonderla con l’esercito (sostituire l’esercito permanente con l’armamento generale del popolo). Di questa milizia dovranno far parte tutti i cittadini e le cittadine senza eccezioni, da 15 a 65 anni […]. I capitalisti dovranno pagare agli operai salariati, ai domestici ecc le giornate dedicate al servizio civile nella milizia. Fino a quando le donne non saranno chiamate a partecipare autonomamente non solo alla vita politica nel suo insieme, ma anche al servizio civile permanente e generale, non si potrà parlare non solo di socialismo, ma nemmeno di democrazia integrale e durevole. Funzioni di «polizia», come l’assistenza agli infermi e all’infanzia abbandonata, il controllo igienico sull’alimentazione, ecc, non possono essere garantite in modo soddisfacente fino a che le donne non avranno ottenuto di fatto, e non soltanto sulla carta, l’uguaglianza giuridica. Impedire la ricostituzione della polizia, mobilitare le capacità organizzative di tutto il popolo per la creazione di una milizia di tutti, ecco gli obiettivi che il proletariato deve indicare alle masse per difendere, consolidare e sviluppare la rivoluzione»6.

Nel complesso, le previsioni e i suggerimenti di Lenin, nella linea portata avanti dal partito bolscevico durante la rivoluzione in Russia, furono fattori importanti nello stabilimento dei compiti primari della classe operaia organizzata e delle grandi masse contadine, nella costruzione dei primi istituti dello Stato sovietico dopo l’Ottobre e nella risposta alla minaccia militare proveniente dai contro-rivoluzionari in Russia e all’estero. Le menzioni di Lenin alla Comune di Parigi durante tutto il 1917 non si contano: in ogni occasione possibile, tra gli operai, i soldati, i compagni di Partito, nei suoi articoli e manifesti, Lenin si riferisce sempre alla nuova forma dello Stato dei soviet come ad uno Stato che deriva direttamente dall’insurrezione del 1871. Nei fatti, la Comune di Parigi è importante per la rivoluzione d’Ottobre perché è uno degli argomenti principali a cui egli si appella per giustificare la presa di tutto il potere da parte dei consigli dei lavoratori, dei soldati e dei contadini poveri.rrusa1

Il contenuto di classe dello Stato

Tutti questi passaggi ci fanno intuire come Lenin avesse una straordinaria capacità nel districarsi tra questioni pratiche e teoriche, mantenendo allo stesso tempo quella necessaria flessibilità per saper trovare all’occorrenza soluzioni nuove ed innovative. Ma un punto su cui non ebbe in alcun modo di batter ciglio fu la difesa del vero contenuto del pensiero di Marx, ristabilendo il suo pensiero in merito alla Comune e allo Stato in generale, cosa di cui i revisionisti – come prima riferito – avevano assoluto terrore. Come Lenin ricorda in Stato e rivoluzione, fu Marx stesso a dichiarare, nella prefazione al testo del Manifesto del partito comunista nella sua edizione tedesca del 1872, che l’esperienza parigina aveva apportato un nuovo contenuto al testo del 1848, sulla scia della sua affermazione in proposito che «la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini»7. L’idea di Marx, come dice peraltro nel 18 Brumaio in riferimento alla prevista successiva rivoluzione francese, è appunto quella di “spezzare” la macchina statale borghese (zerbrechen, in tedesco), demolirla. Nel Manifesto si fa riferimento a questo passaggio come all’organizzazione del proletariato come classe dominante, non sbilanciandosi, riporta Lenin, su determinazioni che soltanto il movimento reale poteva disvelare. Con l’ordinamento statale proletario realizzato – di cui la Comune è il primo esempio – si inaugura quindi la dittatura proletaria, periodo transitorio in cui lo Stato continua ad esistere ma in una forma affatto nuova. In Stato e rivoluzione Lenin esprime sostanzialmente l’idea, come Marx ed Engels, che lo Stato operaio sia in contrapposizione aperta allo Stato borghese, anche se ritiene per necessità alcuni attributi che sono propri di uno Stato borghese. Secondo la teoria marxista-leninista della rivoluzione proletaria, sono poi le circostanze oggettive a determinare il come e il perché nell’adeguamento della azione politica della classe operaia e del partito d’avanguardia che si pone il problema storico della costruzione del socialismo. Il principio però rimane e, soprattutto, a fronte dell’esperienza di molti partiti comunisti del secolo scorso (primo fra tutti il PCI), che ripiegarono verso l’accettazione del sistema democratico borghese, verso l’elettoralismo e ad una progressiva mutazione di linea politica in direzione della social-democrazia, la critica leninista dello Stato e l’analisi di Lenin in particolare sulla Comune, rimangono un pilastro a cui ancora oggi i comunisti, fuori di ogni schematismo, si dovrebbero poter chiamare con forza contro le sperticate apologie della democrazia nella quale viviamo e la condanna delle esperienze del socialismo reale.

A quale esito dovrebbe poi portare lo Stato proletario è chiaramente detto nella proposizione che esso non viene abolito, bensì comincia ad estinguersi gradualmente, in quanto viene col tempo meno di un apparato repressivo separato rappresentante una determinata classe sociale ed in quanto i rapporti di sfruttamento vengono meno nel complesso della società, permettendo il passaggio alla amministrazione delle cose e alla direzione della produzione sociale in comune8.1917petrogradsoviet_assembly

Questa proposizione così “felice” è del resto uno dei fattori essenziali di distinzione fra anarchismo e marxismo, che si differenziano non soltanto nel loro contenuto di classe, nel fatto che i marxisti sono a favore della grande produzione centralizzata e gli anarchici no, nell’incomprensione da parte degli anarchici della natura dello sfruttamento capitalistico, dei tempi e dei modi per arrivare alla rivoluzione, ma anche e soprattutto per il fatto che i marxisti riconoscono la necessità dello Stato proletario rivoluzionario nella lotta per il socialismo, contro ogni proposizione astratta anti-autoritaria e “libertaria”, che non hanno nulla a che vedere con la disciplina e gli interessi del proletariato. Il principio del riconoscimento della dittatura del proletariato è ciò che distingue i marxisti dai revisionisti ed opportunisti di ogni risma. Non vi può essere alcun potere popolare duraturo, nessun socialismo, nessun abbattimento dei rapporti di produzione capitalistici, senza dittatura del proletariato: la dittatura della stragrande maggioranza della popolazione contro la minoranza degli sfruttatori, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere il comunismo.

La critica del parlamentarismo e dell’amministrazione borghese

L’istituzione cardine delle moderne democrazie borghesi viene visto nel Parlamento. In opposizione al parlamentarismo e contro la nozione, che peraltro è anche sancita dalla nostra Costituzione (art. 67), che l’istituto parlamentare dovrebbe rappresentare una non meglio specificata “volontà nazionale”, così si esprime Marx: «La Comune non doveva essere un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo»9. La sua critica nei confronti del Parlamento – così come quella di Lenin – si pone sempre nei termini della negazione determinata (dialettica), non indeterminata. I comunisti utilizzano il Parlamento borghese per avanzare nello scontro di classe e se esso può garantire una accumulazione di forze indirizzate verso la rivoluzione socialista. Non c’è poi bisogno di ricordare che Marx, allo stesso modo di Engels, considerarono la repubblica democratica come la forma in cui meglio poteva avanzare il lavoro organizzativo del movimento operaio. Già dai tempi del 1848, Marx ed Engels – come poi in seguito Lenin – capirono il profondo legame esistente tra il passaggio dalla rivoluzione democratica e nazionale a quella socialista e comunista. Marx ed Engels, pochi anni prima dell’esperienza della Comune, furono anche attenti osservatori e sostenitori critici della Unione nordamericana e del presidente Abraham Lincoln nel momento della Secessione degli Stati del Sud, soprattutto quando la guerra civile si trasformò in una guerra “rivoluzionaria” per la liberazione degli schiavi neri, garantendo con ciò il trionfo della democrazia e delle forze del lavoro “libero” contro quelle del lavoro “non libero”.

Ma essi mai si nascosero, nemmeno per un secondo, che la vera essenza del sistema parlamentare e rappresentativo borghese, fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla detenzione della proprietà privata dei mezzi di produzione nelle mani di una ristretta oligarchia di parassiti, è soltanto la democrazia per i ricchi: il dominio della borghesia sulla classe lavoratrice. La base delle istituzioni di uno Stato proletario, dice Lenin, deve per forza essere differente: senza venire meno al principio dell’eleggibilità, si tratta di creare (citando Marx) organismi che “lavorino”, distaccandosi da tutte le logiche precedenti. Cosa significa tutto ciò? È noto, a chi ha un minimo di esperienza politica, che i Parlamenti borghesi hanno poco potere, che spesso si trasformano soltanto in occasioni di esercizi di oratoria senza alcuna sostanza, che le decisioni più importanti vengono determinate altrove, dai consigli di amministrazione di poche grandi concentrazioni monopolistiche, le quali dettano perfino l’agenda e fanno leggi solo per sé, con i grandi mezzi di comunicazione al loro soldo. Così si esprime Lenin in proposito, avendo sempre come riferimento l’esperienza parigina: «La Comune sostituisce questo parlamentarismo venale e corrotto della società borghese con istituzioni in cui a libertà di opinione e di discussione non degenera in inganno; poiché i parlamentari debbono essi stessi lavorare, applicare essi stessi le loro leggi, verificarne essi stessi i risultati, risponderne essi stessi direttamente davanti ai loro elettori. Le istituzioni rappresentative rimangono, ma il parlamentarismo, come sistema speciale, come divisione del lavoro legislativo ed esecutivo, come situazione privilegiata per i deputati, non esiste più. Noi non possiamo concepire una democrazia, sia pur una democrazia proletaria, senza istituzioni rappresentative, ma possiamo e dobbiamo concepirla senza il parlamentarismo, se la critica della società borghese non è per noi una parola vuota di senso, se il nostro sforzo per abbattere il dominio della borghesia è uno sforzo serio e sincero e non una frase “elettorale” destinata a scroccare i voti degli operai»10.

Naturalmente, nel dire questo in Stato e rivoluzione, Lenin seguita che queste considerazioni non sono affatto utopistiche, ma derivano dall’analisi dello sviluppo storico; lo stesso vale per la burocrazia e l’amministrazione. L’esistenza della burocrazia e dell’amministrazione è presente naturalmente anche nello Stato operaio, dove operano “sorveglianti” e “contabili” responsabili, modestamente retribuiti e sempre revocabili, subordinati all’organizzazione e alla disciplina proletaria generale. Le modalità con cui questi principi possono essere portati avanti dipende da vari fattori, ma è chiaro che questo processo porterebbe alla graduale estinzione di ogni funzione speciale, perché le mansioni svolte a turno da tutti i lavoratori diventerebbero semplicemente abituali. Non sarebbe neanche poi così difficile. La base materiale e l’ampliamento della produzione sociale ha già messo tutto a disposizione della classe lavoratrice. Così scrive Lenin: «Verso il 1870 un arguto socialdemocratico tedesco considerava la posta come un modello di impresa socialista. Giustissimo. La posta è attualmente un’azienda organizzata sul modello del monopolio capitalistico di Stato. A poco a poco l’imperialismo trasforma tutti i trust in organizzazioni di questo tipo. I “semplici” lavoratori, carichi di lavoro e affamati, restano sempre sottomessi alla stessa burocrazia borghese. Ma il meccanismo della gestione sociale è già pronto. Una volta abbattuti i capitalisti, spezzata con la mano di ferro degli operai armati la resistenza di questi sfruttatori, demolita la macchina burocratica dello Stato attuale, avremo davanti a noi un meccanismo mirabilmente attrezzato dal punto di vista tecnico, sbarazzato dal “parassita”, e che i lavoratori uniti possono essi stessi benissimo far funzionare assumendo tecnici, sorveglianti, contabili e pagando il lavoro di tutti costoro, come quelli di tutti i funzionari “dello Stato” in generale, con un salario da operaio. E’ questo il compito concreto, pratico, immediatamente realizzabile nei confronti di tutti i trust e che libererà dallo sfruttamento i lavoratori, tenendo conto dell’esperienza praticamente iniziata (soprattutto nel campo dell’organizzazione dello Stato) dalla Comune. Tutta l’economia nazionale organizzata come la posta; i tecnici, i sorveglianti, i contabili, come tutti i funzionari dello Stato, retribuiti con uno stipendio non superiore al “salario da operaio”, sotto il controllo e la direzione del proletariato armato: ecco il nostro fine immediato. Ecco lo Stato, ecco la base economica dello Stato di cui abbiamo bisogno. Ecco ciò che ci darà la distruzione del parlamentarismo e il mantenimento delle istituzioni rappresentative, ecco ciò che sbarazzerà le classi lavoratrici dalla prostituzione di queste istituzioni da parte della borghesia»11.

Lenin, affermando queste cose nell’estate del 1917 in piena tempesta rivoluzionaria, si preoccupava in primo luogo di difendere la teoria marxista dello Stato, ponendo degli obiettivi pratici immediati, a cui la successiva esperienza di lotta avrebbe dovuto dare una chiarificazione più compiuta. Egli voleva rendere limpido il fatto che gli organi del potere statale, la burocrazia, l’amministrazione, devono essere creati ex novo dal proletariato e da esso gestiti secondo il principio del centralismo democratico, gettando le basi per la trasformazione dell’economia in senso socialista.

A rivoluzione compi4ba2619498d2c4c66a89e9cc72afe3dfuta, Lenin – il cui insegnamento sarà poi ereditato da Stalin – ebbe modo di esprimersi più di una volta contro alcune tendenze che per forza di cose sarebbero rimaste anche in regime socialista per un periodo di tempo più o meno lungo e come sopravvivenze del regime passato, in particolare: il formalismo nel metodo di lavoro, il burocratismo, l’indifferenza e il distacco dalle masse popolari. Queste tendenze, che sono naturali in uno Stato borghese, devono essere strenuamente combattute dalla classe operaia: se si allenta il controllo delle masse sulla organizzazione statale e si lascia spazio all’arretratezza degli strati non proletari nella loro natura sociale ed ideologica, la persistenza di questi fenomeni deleteri rappresenterebbero un serio rischio ed un ostacolo alla costruzione del socialismo. Lenin definì il burocratismo il peggior nemico per una società che costruisce il socialismo; un nemico da cui ci si deve liberare con l’aiuto e il contributo di tutti i lavoratori coscienti e con l’ausilio degli organismi economici e politici messi a disposizione dal potere proletario, con l’indirizzo unitario garantito dal partito comunista.

In conclusione, è chiaro che Lenin vedeva proprio nei soviet una forma più sofisticata del tipo di governo popolare instauratosi a Parigi nel 1871: è lì che per la prima volta si instaurò una dittatura proletaria – se pure in una forma parziale e imperfetta – e il governo sovietico ne rappresenta una naturale prosecuzione perché forma particolare della dittatura proletaria, democratica perché per l’appunto proletaria e dittatoriale perché democratica. In effetti, il colore della bandiera dei comunardi rappresenta il vessillo con cui poi si costruì l’Unione della Repubbliche Socialiste Sovietiche, che G. Dimitrov definì una “meravigliosa Comune” dall’enorme forza politica, economica, militare, culturale e morale. Il collegamento è calzante se si segue il filo del ragionamento di Lenin, che come trait d’union tra Marx, Engels, l’esperienza comunarda e la rivoluzione d’Ottobre, seppe determinare nella corretta maniera la questione dello Stato per la classe operaia nell’epoca dell’imperialismo.

Sul collegamento tra il regime sovietico e la Comune così ebbe modo invece di esprimersi Stalin nei Principi del leninismo (lezioni tenute all’università Sverdlov al principio d’aprile 1924): «La Repubblica dei Soviet è, dunque, la forma politica cercata e finalmente trovata, nel quadro della quale deve essere condotta a termine l’emancipazione economica del proletariato, deve essere ottenuta la vittoria completa del socialismo. La Comune di Parigi fu l’embrione di questa forma. Il potere sovietico ne è lo sviluppo e il coronamento»12.

Soltanto nel trionfo del revisionismo e dell’opportunismo social-democratico, nell’allentamento della lotta di classe a livello interno e mondiale, si ebbe modo di disattendere questi principi politici ed ideologici e la loro esplicazione pratica. Il fatto di saper adeguare e controllare a dovere le forme organizzative statali e di massa della classe operaia nella sua lotta contro l’oppressione capitalistica, rappresenta un fattore essenziale per raggiungere una piena vittoria del socialismo e del comunismo i quali, a differenza di qualsiasi altro modo di produzione precedente nella storia dell’umanità, per essere conquistati necessitano di essere costruiti in maniera pianificata e scientifica, non potendosi evolvere in maniera in alcun modo spontanea.

[continua]

*Membro del CC del FGC

1K. Marx, La guerra civile in Francia, Roma, Editori riuniti, 1977, pp. 85.

2Lenin, Gli insegnamenti della Comune, in Opere complete, v. 13, Roma, Editori riuniti, 1965, pp. 449-450.

3Lenin, Terza lettera da lontano, in Opere complete, v. 23, Roma, Editori riuniti, 1970, p. 325. Nello scrivere la lettera la preoccupazione principale di Lenin si riferiva in particolare alla fase di dualismo presente al tempo in Russia, tra soviet e governo provvisorio, dove quest’ultimo, in alcuni suoi esponenti, si proponeva di formare una “milizia popolare” che però non avrebbe avuto che l’esito di ricostituire la vecchia polizia zarista, trattandosi in ogni caso di un corpo in contrasto con la maggioranza della popolazione. In quel momento Lenin si trovava ancora in Svizzera, impaziente di rientrare in Russia.

4 Ivi, p. 330.

5 Lenin, I compiti del proletariato, in Opere complete, v. 24, Roma, Editori riuniti, 1966, p. 61.

6 Ivi, pp. 63-64.

7 K. Marx, La guerra civile in Francia, cit., p. 76.

8 Questo passaggio fondamentale, che affronteremo nel dettaglio solo in seguito, si riferisce naturalmente ad una fase avanzata di costruzione del socialismo e del comunismo, non soltanto a livello nazionale ma internazionale: a maggior ragione in considerazione della possibilità, anzi l’inevitabilità, dello scoppio della rivoluzione socialista in un solo Paese o in una serie limitata di Paesi, come conseguenza delle contraddizioni inter-imperialistiche e come prodotto dello sviluppo diseguale del capitalismo. Inoltre la dittatura del proletariato si presenta comunque e in ogni caso come un regime pur sempre reversibile, perché se pur dialetticamente determinato da forze motrici storiche ben precise, al suo interno la lotta di classe contro i rimasugli delle vecchie classi spodestate, gli elementi che sabotano la costruzione del socialismo magari in combutta con potenze straniere, la stessa ideologia delle classi possidenti, prosegue per lungo tempo.

9 K. Marx, La guerra civile in Francia, cit., pp. 80-81.

10 Lenin, Stato e rivoluzione, Roma, Editori riuniti, 1970, pp. 111-112.

11Ivi, p. 114.

12Stalin, Dei principi del leninismo, in Questioni del leninismo, Mosca, Edizioni in lingue estere, 1946, pp. 44-45.

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