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La Resistenza operaia nelle fabbriche

di Jacopo Pascale

I primi atti importanti di Resistenza nelle grandi fabbriche del Nord avvengono ancor prima della firma dell’armistizio dell’8 Settembre 1943. A Torino il 5 Marzo gli scioperi iniziarono tra gli operai di Mirafiori e alla Fiat Grandi Motori, fino ad estendersi all’intera Fiat ed ad altre aziende torinesi, arrivando a coinvolgere 100mila operai, dei quali 50mila solo alla Fiat. A Milano gli scioperi iniziarono il 23 Marzo e durarono per cinque giorni, scioperarono gli operai della Ercole Marelli, della Borletti e della Pirelli. Determinante fu il contributo degli operai iscritti al Partito Comunista, i quali anche se in numero ridotto – calcolati in poche migliaia di iscritti – furono in grado di lavorare segretamente ed organizzare uno sciopero che coinvolse gran parte delle masse operaie delle città. Gli scioperi termineranno solo dopo tanti arresti e qualche concessione economica, cosi da poter intendere quali erano i rapporti di forza e la situazione con la quale molti lavoratori rischiarono l’arresto e la tortura per rivendicare pane e pace. In ogni caso il loro impatto fu molto importante nel determinare la caduta di Mussolini alcuni mesi dopo.

L'Unità clandestina del 15 marzo '43
L’Unità clandestina del 15 marzo ’43

Giustamente scriverà l’Unità del 31 marzo 1943:

«La classe operaia sente che è giunto il momento di riprendere, sul terreno dell’azione, la sua importante funzione di avanguardia del popolo italiano nella lotta contro la guerra ed il fascismo. La coscienza di classe si ridesta e con la coscienza rinasce la capacità di lotta dei lavoratori italiani che vogliono rimuovere dalle loro spalle il pesante fardello di sacrifici e privazioni di una guerra ingiusta ed antinazionale». Sul piano internazionale incrina l’asse Roma – Berlino. L’Italia diventa pericolosa per l’incapacità del regime e della monarchia di tenere il fronte interno e sia anche per il pericolosissimo contagio. Inoltre indicava a tutta la classe operaia europea la via da seguire ed apre al proletariato ed ai popoli la via della lotta: prendere risolutamente nelle proprie mani le sorti del Paese e dell’Europa, agire da protagonista in quanto classe egemone e dirigente.1

Gli scioperi non ebbero solo un carattere politico, che fu quello promosso dai comunisti inseriti nelle fabbriche per far cadere il governo fascista, ma si basavano fortemente sulle condizioni materiali che doveva affrontare la classe operaia. Bisogna ricordare che durante i vent’anni di fascismo ci fu una politica repressiva durissima contro i lavoratori e i sindacati fascisti erano promotori attivi della pace sociale. Gli ultimi grandi scioperi precedenti al ‘43 furono quelli del Biennio Rosso e gli scioperi antifascisti del ‘22. I principali aspetti che spinsero gli operai a scioperare furono legati alle rivendicazioni salariali ed alla riduzione dell’orario di lavoro. Durante il Ventennio ci fu una compressione salariale costante, che con i costi della guerra fu ancora più pesante, tant’è che i pagamenti arrivavano in ritardo tanto da mettere ancora più in difficoltà i lavoratori nel far fronte alle spese per il cibo. Importante fu anche la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro, che arrivò a raggiungeva facilmente anche le 11-12 ore lavorative giornaliere. Da questi avvenimenti, si denota come la classe dirigente fascista, sostenuta dalla borghesia, ha voluto far pagare i costi della guerra alla classe operaia, come anche della crisi del ‘29. Situazione analoga che si ripresenta all’occorrere di ogni ciclo di crisi capitalista, come a quello che succede alla masse di lavoratori dei nostri giorni, costretti a dover pagare le crisi. Il tallone di ferro imposto dal fascismo sulla classe operaia ne fa comprendere la natura di classe, il uso affermarsi come strumento nella repressione delle fase rivoluzionaria degli anni ‘19-’21 e la base delle politiche economiche sviluppate per tutto il ventennio nell’interesse del rafforzamento della borghesia monopolistica italiana e delle sue ambizioni espansive. Il peso di questa storia ventennale sulle spalle degli operai divenne insostenibile con la guerra, e le condizioni materiali giocarono quindi il loro ruolo nello spingere i lavoratori ad un nuovo protagonismo.

Con la firma dell’armistizio dell’8 Settembre 1943 e l’occupazione del Centro-Nord da parte delle truppe tedesche si aprì quindi una fase nuova. I partiti antifascisti clandestini si coordinarono nel CLN, con l’immediato impegno di quelli della sinistra ad organizzare materialmente la Resistenza, con il PCI in testa con la sua lotta contro ogni forma di attesismo. Mentre venivano formate le brigate per condurre la guerriglia in montagna, fondamentale fu l’organizzazione della lotta militare nelle città, che andava ad affiancare la resistenza già presente nelle fabbriche. In questo ambito il contributo maggiore fu ancora del Partito Comunista, unico a capire l’importanza di questa strategia, e a impegnarsi nella formazione dei GAP (Gruppi d’Azione Patriottica). Nelle fabbriche gli scioperi furono uno strumento fondamentale di lotta, considerando che la politica degli occupanti era quella di sfruttare le capacità produttive dei paesi occupati, così da garantire beni ad uso militare e di consumo alla macchina bellica nazista. Nel marzo del 1944 venne organizzato uno sciopero generale, correlato al crescente malcontento popolare. Le condizioni di guerra erano un fardello che gravava pesantemente sulle condizioni di vita delle masse operaie: moltissime case nelle grandi città vennero distrutte, aumentarono gli sfollati, crebbe la disoccupazione, e aumentarono anche i prezzi dei beni di prima necessità, tanto che molti lavoratori si ritrovavano a lavorare anche se denutriti o ammalati. Per fare un esempio, un operaio Fiat guadagnava 240 lire la settimana per 44 o 48 ore di lavoro. Un kg di burro costava 260 lire, l’olio era a 600 lire il litro e il riso costava 22 lire al kg.

Dopo un’ulteriore mobilitazione operaia a cavallo tra il dicembre ‘43 ed il gennaio ‘44, il PCI nel Marzo 1944 fu promotore degli scioperi e

Lavoratori della Breda d Sesto San Giovanni in sciopero nel '44
Lavoratori della Breda d Sesto San Giovanni in sciopero nel ’44

indirizzò le proteste affinché assumessero anche un carattere politico contro il fascismo e l’occupazione nazista. La portata di questo fenomeno non ebbe riscontri in nessun altro Paese occupato. L’obbiettivo era quello di fermare la produzione per colpire direttamente la macchina bellica nazifascista, bloccando i rifornimenti che arrivavano dal Nord Italia. Lo sciopero ottenne un gran successo: nelle regioni Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana ed Emilia – dove come oggi erano situati i più grandi siti industriali – si arrivò a certificare che scioperarono fino ad 1 milione di lavoratori. Lo sciopero iniziò il 1 Marzo. A Torino I fatti più importanti li troviamo alla Fiat Mirafiori, i cui operai erano stati protagonisti già degli scioperi degli anni precedenti con una forte presenza di operai iscritti al PCI. Chiaramente non si fece attendere la macchina repressiva del prefetto Zerbino che annunciò che avrebbe risposto con licenziamenti ed arresti, in un contesto in cui si correva il rischio costante della deportazione in Germania. Lo stesso accade in Lombardia: il 1 Marzo gli scioperi si segnalarono a Milano, Busto Arsizio, a Legnago – dove alla Manifattura Lombarda scioperarono in 1200 e alla De Angeli-Frua in 1000 – a Varese – alla Censa in 1700 e alla Isotta Fraschini in 2300 – e anche a Saronno e Como – con il coinvolgimento di quasi 300mila operai nella regione. Gli scioperi ebbero particolare rilevanza anche a Porto Marghera – il porto industriale di Venezia – ed in generale coinvolsero il servizio di trasporti tranviario, i lavoratori delle tipografie e anche le Università, con studenti e professori che solidarizzarono con gli operai.

Ai grandi scioperi vanno aggiunte le decine di migliaia di azioni quotidiane di sabotaggio alla produzione, ai rifornimenti di materie prime, ai prodotti finiti, oppure i ritardi volontari nei tempi di lavorazione. Gli operai impiegavano qualsiasi mezzo per rallentare, ostacolare, sabotare la produzione. Migliaia e migliaia furono anche le azioni quotidiane di sabotaggio dei trasporti, che si aggiungevano al rallentamento delle consegne e del ritiro dei materiali prodotti. A queste attività dei lavoratori attivi si sommavano le migliaia di azioni quotidiane dei gappisti nelle città, nei quartieri, nei bar e nei luoghi di ristoro ecc. I nazifascisti incontrarono una costante, quotidiana, fastidiosa azione di opposizione, che ne sfiancava il morale, tagliava le gambe, mostrava appieno tutta l’inefficacia della repressione e faceva chiaramente intendere la sconfitta. Il sabotaggio alla produzione era un duro colpo alla macchina bellica tedesca.

L'Unità clandestina sottolinea l'importanza degli scioperi del marzo '44
L’Unità clandestina sottolinea l’importanza degli scioperi del marzo ’44

Gli occupanti nazisti, con l’aiuto dei fascisti italiani attaccarono duramente gli scioperi già nei primi giorni della protesta. Pare che Hitler avesse ordinato come reazione la deportazione di almeno 70.000 lavoratori, un numero spropositato in pochi giorni. Nei fatti in oltre 2000 furono deportati nei campi di prigionia e lavoro in Germania. I nazisti decisero di colpire duramente i lavoratori con l’intenzione di colpire i gruppi organizzati, principalmente dei comunisti, all’interno delle fabbriche. Lo sciopero rientrò il 5 Marzo e tre giorni dopo il lavoro riprese. Nonostante non si fossero ottenute nemmeno le rivendicazioni alimentari, i risultati dello sciopero erano molto importanti. Una grande massa di lavoratori aveva dimostrato il suo livello di coscienza e il fatto che era pronta ad affrontare fascisti e nazisti. Questa forza della classe operaia fu determinante nel momento decisivo, quando gli operai scesero in campo in massa per lo sciopero insurrezionale del 25 aprile del 1945, che contribuì in modo fondamentale alla cacciata dei nazisti e alla sconfitta del fascismo.

Volantino per lo sciopero insurrezionale del CLNAI
Volantino per lo sciopero insurrezionale del CLNAI

Da questo resoconto traspare quanto determinate fu il contributo per la lotta di Liberazione dato dagli operai nelle fabbriche. La classe operaia fu insieme “retrovia” della lotta partigiana più prettamente militare, ma anche prima linea della lotta contro i nazisti ed i fascisti. Dentro la fabbrica si era sviluppata quella lotta che contribuiva a formare i quadri per la Resistenza, tramite la lotta nelle fabbriche vennero reclutati molti partigiani, fino al momento in cui ciascuna fabbrica si faceva carico di un distaccamento partigiano, sostenendolo e provvedendo a fornirgli sempre nuovi partigiani e quadri per la lotta armata contro i fascisti ed i nazisti. La lotta di fabbrica costituiva un esempio e uno slancio per lotta di tutte le altre categorie: impiegati, lavoratori della sanità, ecc. Era ancora la lotta di fabbrica che teneva impegnate le forze di repressione nazifasciste, sottraendole così ai rastrellamenti contro i partigiani, inchiodando il nemico nelle città e costringendolo a concentrare lì le sue forze per tenere sotto controllo le zone industriali dell’intera Italia del Centro e del Nord. Grazie a questa lotta l’insurrezione del 25 aprile ha avuto una così grande forza d’impatto.

1 https://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust3d24.htm

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