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È davvero solo uno spoiler? Il caso “The Last of Us” e lo sfruttamento nel settore dei videogiochi

Un vero e proprio uragano si è abbattuto sul mondo dei videogiochi e sta facendo discutere tutti gli appassionati (che non sono pochi). La vicenda riguarda uno dei titoli più attesi dell’anno, cioè “The Last of Us: parte II”, seguito del gioco che nel 2013 chiuse in bellezza la stagione della PS3 vendendo più di 20 milioni di copie fino ad oggi e imponendosi come vero e proprio cult tra i videogiocatori, grazie soprattutto all’ottima qualità della narrazione. L’uscita del secondo episodio su PS4 era prevista per maggio (dopo aver già subito dei rinvii), ed era stata di recente rinviata a data da destinarsi a causa del coronavirus.

In sintesi, un utente noto col nickname di “Covid 19” ha diffuso sui social network e su Youtube dei filmati originali del gioco contenenti pesantissimi “spoilers” sulla storia, praticamente tutti gli snodi fondamentali della trama e il finale. Inutile dire che in questo modo la fruizione di un’opera che ha il suo principale punto di forza proprio nella narrazione viene fortemente compromessa per decine di migliaia di persone che hanno subito lo spoiler. L’impatto di questo leak è stato enorme, vista anche l’importanza del titolo in questione, atteso letteralmente da milioni di persone. In poco tempo si è sollevato un polverone: la casa di sviluppo californiana Naughty Dog, autrice di serie di successo come Uncharted, Jak, Crash Bandicoot e affiliata al colosso giapponese Sony, si è impegnata da subito per bloccare e arginare la diffusione dei filmati, ma come si sa una volta che un contenuto è sul web è difficile farlo sparire del tutto. Nella giornata di oggi sono state diffuse dall’azienda dichiarazioni di forte amarezza, ed è stato annunciata per giugno la data di uscita del gioco, probabilmente anticipata rispetto alle intenzioni dei publisher, come misura per arginare i danni. È una delle poche volte in cui si vedono i media e gli organi di informazione che trattano di videogiochi, così come gli youtuber, lanciare appelli unificati a non diffondere il leak invece di rincorrersi per pubblicarlo, sia pure munito di avviso. Il polverone che si è alzato per questa vicenda non ha praticamente precedenti nella storia del mondo videoludico.

La svolta arriva quando si scopre che il responsabile è un dipendente della stessa Naughty Dog, che ha agito per frustrazione dopo aver lavorato per molto tempo senza essere stato pagato dall’azienda. La casa di sviluppo californiana, d’altronde, non è nuova a denunce di questo tipo, che purtroppo emergono con sempre più costanza da varie software house (BioWare, Rockstar, CD Project Red) in un mercato che ha oramai totalmente assimilato la cosiddetta “crunch culture”, ovvero la prassi di richiedere straordinari pesanti che arrivano a toccare vette anche di 100 e più ore settimanali, a ridosso delle scadenze impossibili imposte dalle aziende, con la retorica del lavorare uniti per il bene dell’azienda e del progetto. Da anni ex dipendenti di Naughty Dog denunciano la condotta particolarmente oppressiva della casa di sviluppo, i turni massacranti imposti ai dipendenti ottenuti fissando obiettivi di produzione spropositati. Alcuni dipendenti denunciarono addirittura di aver lavorato per 24 ore consecutive senza fermarsi.

A essere furiosi come si può immaginare non sono solo Sony e Naughty Dog per il presumibile danno economico, ma anche migliaia di affezionati che attendevano l’uscita del titolo. Al centro delle discussioni c’è sostanzialmente questa domanda: a chi bisogna dare la colpa per questa fuga di notizie? Molti sarebbero tentati dal dire che la colpa è sostanzialmente e unicamente del dipendente. Ma è vero anche che, senza escludere le colpe individuali, questa vicenda apre  una considerazione più ampia sul mercato e sulle responsabilità delle aziende che sottopongono i propri lavoratori a regimi di sfruttamento elevati. Se riflettiamo dal punto di vista dei lavoratori, l’azione impulsiva e individuale commessa dal dipendente è anche frutto della natura di un settore lavorativo, quello degli sviluppatori di software, che oggi sta conoscendo un processo di rapida sindacalizzazione che viene contrastato dalle aziende con politiche fortemente anti-sindacali (iscriversi al sindacato in molte aziende significa essere licenziati). E proprio quando convergono condizioni di lavoro senza diritti e politiche anti-sindacali che impediscono un’azione collettiva, ecco che si sviluppano le azioni isolate di singoli lavoratori animati da rabbia e frustrazione. E a volte questo tipo di azioni, oltre a danneggiare lo sfruttatore danneggia anche terzi che non ne avrebbero colpa. Per quanto si possa essere arrabbiati se si è tra gli “sfortunati” che non sono sfuggiti allo spoiler, resta importante comprendere quali sono le più profonde responsabilità, che a nostro avviso vanno ricercate a monte.

Se quel dipendente è arrivato a fare quello che ha fatto non è stato per “cattiveria” o per spionaggio aziendale. Un periodo di tempo prolungato di lavoro senza stipendio, con ritmi estenuanti, il tutto accentuato dall’alienazione provocata dallo smart working, hanno giocato un ruolo fondamentale in tutto questo. Ma scaricare tutte le colpe di un fenomeno generale su una responsabilità individuale è, oltre che molto comodo, tremendamente sbagliato. Il dipendente, con questo gesto, oltre ad essersi sicuramente giocato il posto di lavoro che ha attualmente, si è probabilmente compromesso a vita. Chi lo ha costretto a lavorare per mesi 90 ore a settimana senza percepire stipendio, invece, rimarrà al suo posto (ed anche se così non fosse, verrebbe immediatamente rimpiazzato da qualcuno della stessa risma), contribuendo ad infettare e ad intossicare un mercato già di per sé saturo dalle logiche dello sfruttamento capitalistico, intrinsecamente legate al sistema produttivo in cui lo sviluppo videoludico è comunque inserito, che risultano essere dannose tanto per chi lavora, tanto per chi fruisce.

Proprio quest’ultimo punto potrebbe essere spunto per accennare una riflessione più ampia. L’industria videoludica e il consumo di massa di videogiochi (si stima che ne facciano uso 2 miliardi di persone in tutto il mondo) sono certo il prodotto del progresso e dell’elevato sviluppo capitalistico odierno, e forse anche uno dei più emblematici. Solo negli USA il mercato videoludico vale 20 miliardi di dollari, con 2457 compagnie che impiegano un totale di 220mila persone. A livello globale l’enorme apertura dei mercati asiatici, fra tutte Cina e Corea del Sud che oggi ospitano diversi tornei mondiali di e-sports, ha dato una ulteriore spinta a questo settore.

Ma se è vero questo, è anche vero che proprio le logiche del mercato oggi finiscono sempre più per danneggiare la qualità e la fruibilità dell’opera finale, similmente a quello che avviene nel cinema o nella musica. Molto spesso avviene con la “censura” imposta dal mercato nei contenuti, ma ancora più spesso con l’imposizione per quelle stesse logiche di ritmi produttivi che portano di conseguenza a rilasciare prodotti incompleti, chiusi in fretta e furia per rispettare rigide scadenze e con mancanze evidenti, spesso richiedendo innumerevoli patch e correzioni post-lancio per essere fruibili (si pensi a titoli recenti come Dragon Age II, Mass Effect:Andromeda, Metal Gear Solid V, Final Fantasy XV, tutti titoli importanti che hanno pagato queste logiche). Di tutto questo i videogiocatori sono ben coscienti, e da tempo si discute di quanto questi meccanismi abbiano rovinato titoli potenzialmente validissimi.

Oggi accade che a compromettere per migliaia di persone la fruizione di una delle opere più attese dell’anno –e di questa generazione di hardware- sia un’azione individuale. E questo, a prima occhiata, si presta sicuramente molto di più a scaricare le responsabilità sul singolo, assolvendo quelle dei colossi per conto dei quali lavorava. Ma siamo sicuri che, a conti fatti e in ultima istanza, quello che è avvenuto per “The Last of Us parte II” non sia conseguenza di quelle stesse logiche che in nome delle scadenze di mercato impongono sfruttamento, turni massacranti e schiacciamento dei diritti dei lavoratori finendo per compromettere anche l’opera finale? Se la vediamo così, forse non si tratta solo di uno spoiler, ma del sintomo che c’è davvero qualcosa che non va. Forse le dichiarazioni amare dei vertici di Naughty Dog, che si dichiarano vicini agli appassionati, sono davvero lacrime di coccodrillo.

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