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L’imperialismo italiano in Libia e la guerra ai migranti

di Ivan Boine

Nella giornata di ieri il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha fatto visita al nuovo Primo ministro libico Abdul-Hamid Mohamed Dbeibeh, guida del governo di unità nazionale di Tripoli (l’esecutivo riconosciuto dall’ONU, ma non da Francia e Russia). Nel corso dell’incontro il premier italiano – il primo capo di governo a incontrare Dbeibeh – ha confermato il sostegno al governo già presieduto da al-Sarraj.

Il proseguimento dei buoni rapporti tra Roma e Tripoli è fondamentale per tutelare gli interessi dell’imperialismo italiano. Non è un caso che l’Italia sia stato il primo paese a incontrare Dbeibeh, il 21 marzo, con una delegazione formata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi.

I rapporti Italia-Libia sono cruciali non solo dal punto di vista degli idrocarburi ma anche per la gestione dei flussi migratori. «Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia», ha detto ieri Draghi. Ma di quali salvataggi stiamo parlando? Delle operazioni condotte dalla Guardia costiera libica, capace negli anni di aprire il fuoco su imbarcazioni di fortuna stracolme di persone, di fare lo stesso verso una motovedetta italiana (10 ottobre 2018) e verso diverse navi gestite da ONG. 

Si potrebbe dire che la Guardia costiera libica non è proprio paladina del diritto internazionale e dei diritti umani. Questo, però, non interessa ai governi italiani da quando nel gennaio 2017 l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti (PD) si recò in Libia per incontrare l’allora premier al-Sarraj. In quell’occasione fu siglato un accordo in materia di immigrazione, controllo delle frontiere e contrasto al traffico di esseri umani, in linea con quello siglato dal ministro Maroni con Gheddafi nel 2008 e dalla ministra Cancellieri con al-Jalil nel 2012. In sintesi, l’Italia sostiene la Libia tramite fondi, tecnologie (come i radar che intercettano le persone che arrivano dal Sahara) e addestramento di personale libico da parte delle forze dell’ordine e delle forze armate italiane. In cambio, Tripoli deve far partire meno persone possibili. Sui mezzi, in sostanza, si chiude un occhio, anzi due: sono ormai famosi i campi di detenzione in cui il governo di Tripoli rinchiude i migranti, in cui torture, stupri e violenze sono all’ordine del giorno.

Sulla politica migratoria comune italo-libica, inoltre, è appena scoppiato lo “scandalo” delle intercettazioni effettuate, ai tempi di Minniti, nei confronti di alcuni giornalisti, come Nancy Porsia, che documentavano le attività delle ONG nel Canale di Sicilia. Non c’è troppo da stupirsi che ci sia stato un controllo da parte degli apparati statali nei confronti di giornalisti non appartenenti alle testate di proprietà dei grandi gruppi editoriali e che mettevano in luce la realtà dell’immigrazione, in barba a tutti i proclami che dipingono ancora l’Italia come luogo in cui qualsiasi libertà di dissentire è rispettata.

Mario Draghi ha confermato la linea antiumanitaria nella gestione dei flussi migratori del Mediterraneo, suggellata tra l’altro da decennali politiche europee. Gli interessi dell’imperialismo italiano, Eni in testa, vengono tutelati con impegno e meticolosità. Nel luglio 2020 il Parlamento italiano ha confermato diverse missioni militari, tra cui le diverse operazioni in Africa. Soldati italiani operano in Libia, Somalia, Golfo di Guinea, Sahel, per tutelare gli interessi dei grandi monopoli italiani nelle diverse aree.

Migliaia di persone ogni anno sono vittima dell’imperialismo, non solo dove esso scatena guerre. Migliaia di persone scelgono di emigrare per scappare da condizioni di vita insostenibili, causate in larga parte dallo sfruttamento umano e ambientale portato da grandi monopoli economici, a cui si accompagna la presenza militare di diversi paesi. I governi europei e africani, così come l’Unione Europea e l’Unione Africana (stampella dell’UE), non hanno la volontà di mettere in campo nessuna misura concreta per tutelare le persone. Draghi non ha detto nulla di scandaloso, ha solo confermato questa realtà.

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