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Scuola, continua il ricatto tra diritto allo studio e diritto alla salute

di Fabrizio Russo

Mai come in questi mesi la scuola è stata al centro del dibattito pubblico italiano. Abbiamo assistito a discussioni così accese che se avessero come argomento le politiche scolastiche volute dai governi di centro-destra e centro-sinistra avrebbero sicuramente dato la giusta attenzione a un settore pubblico massacrato negli anni da tagli e riforme peggiorative.

Il grande tema che si pone in questi giorni è il rapporto tra diffusione del Covid-19 e le riaperture (seppur limitate) dei plessi scolastici. Sui giornali nazionali è stata pubblicata una ricerca che, accompagnata da dati raccolti dalla rivista scientifica The Lancet, scagiona le scuole dall’essere possibili luoghi di diffusione del virus. I vari articoli in merito evidenziano una mancanza di correlazione tra le riaperture scolastiche e la crescita del valore Rt mettendo a confronto la curva dei contagi di due regioni italiane prima e dopo la riapertura. Tralasciando l’impossibilità di definire il ruolo delle riaperture degli istituti nell’aumento dei contagi considerando l’andamento di soltanto due regioni, sono invece numerosi i rapporti e le analisi che dicono il contrario. Il Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità n. 4/2021 del 13 Marzo 2021 attesta che “sarebbe opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri, laddove possibile e specialmente in tutte le situazioni nelle quali venga rimossa la protezione respiratoria”. Già questo basterebbe per convincere chiunque viva ogni giorno la scuola pubblica di quanto il rischio di contagio sia elevato: garantire 2 metri di distanza per banco è impossibile con il numero e le dimensioni attuali delle aule. Per ora si raggiunge al massimo un metro tra un banco e l’altro ma solo lateralmente, nella maggior parte dei casi tra i banchi di fronte e di dietro la distanza sfiora a stento i 60 cm. Inoltre i dati epidemiologici dell’Istituto Superiore di Sanità segnalano il sostanziale raddoppio dei casi di contagio da Covid-19 verificatisi nelle fasce di età scolare in corrispondenza con la ripresa delle attività scolastiche in presenza.

Ma allora come mai i quotidiani nazionali si continuano a sostenere che le scuole siano luoghi sicuri? Perché ci si ostina a citare la prima indagine, quella ampiamente smentita dai dati dell’ISS?

La risposta sta, come spesso accade, nei nomi di chi ha svolto tale analisi. Gli “esperti” che hanno scritto l’articolo, poi ampiamente ripreso dalla stampa nazionale, da The Lancet e da diverse organizzazioni di centro-sinistra, si erano già espressi a inizio lockdown contro le tesi dell’OMS sostenendo che fermare l’economia fosse impensabile e immorale. I nodi dunque vengono al pettine confermando come si voglia portare avanti la logica della “libera circolazione del virus” per non fermare i profitti di chi sulla scuola e sulla pandemia lucra da tempo. La Confindustria infatti si è sempre espressa chiaramente per le riaperture in quanto i lockdown, tanto locali quanto nazionali, sono un danno alla produzione e ai consumi, ovvero ai guadagni dei padroni. È necessario, per loro, aprire almeno le scuole primarie dato che altrimenti i genitori sono costretti a casa ad assistere i figli. Inoltre bisogna ricordare che mentre si stanno perdendo mesi di lezioni in presenza gli studenti impiegati nei progetti di alternanza scuola lavoro continuano a lavorare gratuitamente per le aziende. Anche durante le zone rosse ci sono studenti che lavorano 8 ore al giorno negli impianti produttivi, senza diritti e senza salario.

Come sta reagendo il governo? In perfetta continuità con la sua natura politica ed economica il governo Draghi ha deciso di mettere i profitti prima della salute pubblica. Nel nuovo DPCM infatti si è deciso di fissare il numero di 250 casi su 100.000 abitanti come soglia da non superare per tornare in classe. Si supera quindi il limite stabilito dalla Germania, di 50, e quello degli Stati Uniti, di 100, entrambi paesi certamente non famosi per la loro abilità nella gestione della pandemia. Bisogna però non cadere nell’ipocrisia che caratterizza gran parte del dibattito a sinistra del paese: chi chiede una riapertura dei plessi senza effettivamente porre la necessaria attenzione alla situazione in cui versa la scuola pubblica e senza rivendicare un serio piano di investimenti per garantire un rientro in totale sicurezza non dà una risposta al problema. Oggi, come un anno fa, per rientrare a scuola in sicurezza è necessario abolire veramente le “classi pollaio”, non cadere nella finta contrapposizione tra chi vuole tutto aperto perché la Dad è un chiaro fallimento e chi invece vuole tutto chiuso visti i numeri ancora altissimi di contagi e decessi. Questo problema si somma a quello dei trasporti affollati su cui viaggiano gli studenti, che evidentemente non è l’unico. 

Il governo ha già chiarito che non è questa la strada che vuole percorrere. Al posto che aumentare il numero di insegnanti, di personale ATA e di aule preferisce appaltare a imprese private il lavoro di sanificazione, col plauso della Confindustria. Ancora una volta i padroni trovano nella scuola pubblica una redditizia fonte di guadagno.

Draghi e il ministro Bianchi vogliono continuare a farci scegliere tra il diritto allo studio e il diritto alla salute, ma un rientro davvero in sicurezza lo conquisteremo solo con la lotta.

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