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Spagna, studenti in piazza domani contro la riforma universitaria

di Giovanni Ragusa

Domani 6 maggio gli studenti in Spagna scenderanno in piazza per la giornata di mobilitazione nazionale lanciata congiuntamente dai due principali sindacati studenteschi del paese, il Frente de Estudiantes e Estudiantes en Movimiento. Sono previste manifestazioni in 18 città contro la riforma dell’università in via di discussione nel parlamento spagnolo. Questa riforma si inserisce in un contesto di più ampio respiro europeo, che a partire dal processo di Bologna va di anno in anno radicalizzando l’attacco all’università pubblica sotto la maschera della meritocrazia, dell’efficientamento e della maggior connessione del mondo accademico col mercato del lavoro. Ma in cosa consiste precisamente il documento che i giovani comunisti spagnoli chiedono di abolire?

Allo stato attuale esiste la bozza di testo del “Decreto Regio sull’Organizzazione della Formazione Universitaria”, promosso dal Ministro dell’Università Manuel Castells, ministro indipendente del governo formato da PSOE, Podemos e Izquierda Unida. Il complesso della riforma è caratterizzato dalla volontà di instradare in maniera sempre più decisa il mondo universitario entro i binari dell’aziendalizzazione, e in questo va nella stessa direzione delle riforme sull’istruzione dei governi Renzi e Berlusconi. Tra gli elementi principali c’è l’incremento del cosiddetto “Dual Training”, ovvero una modalità di studio-lavoro che si avvale del contratto di doppia formazione universitaria, presente nel diritto spagnolo dopo l’ultima modifica dello Statuto dei Lavoratori. Questa modalità dona la possibilità per lauree e master di far svolgere tra il 20% e 40% di crediti all’interno di attività pratiche in azienda. I Collettivi dei Giovani Comunisti (CJC), annunciando la partecipazione in piazza della gioventù comunista, in un comunicato hanno evidenziato come questa riforma punti a legalizzare uno stato di cose che già da tempo era consuetudine, ovvero le forme di lavoro gratuito nei curriculum universitari. Ancor più importante è osservare come questa pratica vada a frammentare ulteriormente il puzzle dei contratti lavorativi, aggiungendo la figura dello studente “in pratica”.

Si tratta dunque di una riforma che va a colpire in maniera determinante le possibilità occupazionali giovanili, intensificando il clima di guerra tra poveri tra i giovani, che si ritrovano a doversi muovere in un mercato del lavoro che, se approvata la riforma, vedrebbe una crescente pressione al ribasso del costo della forza-lavoro. Soprattutto, un simile cambiamento renderebbe lo studente-lavoratore inscindibilmente legato all’azienda di riferimento, poiché dal completamento delle ore lavorative dipenderebbe il conseguimento del suo titolo di studio. Ovviamente, inoltre, questa riforma fa avanzare gli spazi di intromissione del capitale nella definizione della didattica, andando a creare forme di iper-settorizzazione delle competenze a tutto svantaggio dello studente: andando a sviluppare capacità sempre più specifiche e sottomesse alle immediate esigenze produttive del privato, infatti, i nuovi lavoratori formati saranno manodopera facilmente sostituibile grazie ad un panorama lavorativo sempre più precario. Chi voglia uscire da questa impasse deve poi confrontarsi con l’estremo classismo dei più alti gradi della formazione universitaria, con le spese per master e simili che sono decisamente fuori dalla portata delle classi popolari.

Tale procedimento può e deve interessare direttamente anche gli studenti universitari italiani per un motivo molto semplice: l’ombrello sotto cui si sviluppa una simile politica universitaria, ovvero l’Unione Europea, da tempo cerca di promuovere meccanismi di integrazione nei sistemi didattici dei vari paesi che ne fanno parte. Si tratta di un tentativo di cui già abbiamo parlato qui, che è profondamente utile alla borghesia dell’area europea: perpetuando una tendenza del genere, infatti, le università diventano centri a cui il capitale demanda i costi di formazione della manodopera, potendo così giovarsi della schiera di forza-lavoro formata con le medesime competenze. Questi processi di massificazione ed adattamento a criteri funzionali all’accumulazione capitalistica sono mediati da appositi organismi integrati nei ministeri dell’istruzione (ANVUR in Italia; ANECA in Spagna), che hanno il compito specifico di creare indicatori ad hoc volti a sancire quanto gli atenei si “adattino” alle normative europee, andando poi a premiare quelli più “virtuosi” con maggiori finanziamenti e, viceversa, a castigare quelli che non si adeguano.

Proprio alla luce di questa serie di contraddizioni, domani gli universitari spagnoli scenderanno in piazza per rivendicare un’università realmente pubblica, gratuita ed accessibile a tutti, con punti che chiedono apertamente la totale gratuità dell’istruzione, un sostanziale aumento del finanziamento pubblico agli atenei, ma anche, tra le varie cose, un incremento della spesa statale in favore del settore della salute mentale, denunciando le gravi difficoltà che gli studenti hanno subito nell’ultimo anno da questo punto di vista.

Dalla mobilitazione spagnola si può e si deve apprendere molto. Di fronte ad un rimodellamento delle strutture universitarie, a livello europeo, che spinge in maniera sempre più prepotente verso l’assunzione del modello aziendalistico quale unico ed incontrovertibile, l’opposizione degli studenti delle classi popolari deve essere chiara e compatta: accettare riforme del genere diviene pericoloso infatti non solo a livello meramente economico e sindacale (come evidenziato sopra), ma sul piano sovrastrutturale contribuisce a rendere le università stazioni sempre più centrali per la creazione di egemonia culturale da parte della classe dominante. Così facendo, infatti, viene instillata in maniera preponderante l’idea che l’unica prospettiva utile alla crescita degli universitari (o quantomeno la migliore) sia solo l’immissione massiccia dei privati nella didattica e che la competitività debba essere il dogma della propria formazione culturale: la riproduzione ideologica del capitalismo si appiglia così ad un luogo, come l’università, che è formidabile creatore di senso comune, e che in un panorama di crescente integrazione dei sistemi didattici va a creare una futura classe lavoratrice pericolosamente formata entro questi principi, che una volta introiettati rendono la risposta di classe ben più complessa. 

Nell’osservare come, a livello europeo, i processi di aziendalizzazione procedano a passo spedito, il livello di attenzione di studenti e lavoratori deve alzarsi decisamente anche e soprattutto in Italia, dove le riforme del mondo accademico hanno ridotto l’università pubblica in macerie. Una sola risposta può essere l’alternativa: la lotta, unita e cosciente, di studenti, lavoratori e disoccupati.

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